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117 Raposo 1991, p 105-106, cat 260, 264, 266.

2.4.3 Il gruppo dei santi penitenti.

Illustriamo adesso il gruppo dei santi penitenti, che prende il nome dalla preminenza con cui viene trattata la Maddalena al centro del registro inferiore, e dalla presenza di San Pietro e San Girolamo nell’iconografia del pentimento (fig.9). Sei opere nel nostro inventario rispondono a questa iconografia, ma è documentata l’esistenza di statuette di questo tipo negli ambienti privati portoghesi alla fine del XX secolo.118 La rocca propone la solita tripartizione dei registri iconici.

In quello inferiore, più alto e spazioso che in altri gruppi, troviamo la grotta della Maddalena addobbata nella cornice esterna e all’interno da un ricco fogliame. Qui la Maddalena è rappresentata in versione distesa (inv.87; cat.10) o seduta (inv.82, 83, cat.9), con le braccia incrociate sul ginocchio destro.

L’iconografia in posa reclinata sembra riferirsi al culto di Maria Egiziaca, leggendaria santa eremita della prima cristianità, che sintetizza nella sua vicenda di peccato, redenzione e penitenza, una serie di figure femminili che nei Vangeli si confondono sotto il nome di ‘Maddalena’. Nel vangelo di Luca si parla di Maria Maddalena fra le tre donne che assistevano Gesù agli esordi della predicazione pubblica, colei che Gesù aveva liberato da sette demoni (Lc 8:2-3). Il personaggio compare anche durante l’ultimo viaggio del Cristo a Gerusalemme, durante la crocifissione (Mt 27:55; Mc 15:40-41; Lc 23:55-56; Gv 19:25) e nell’episodio della resurrezione (Mt 28:1; Mc 16:1-2). Soffermandoci su quest’ultimo passaggio assistiamo ad una profonda differenza tra i sinottici e il testo giovanneo. Oltre a trovare il sepolcro vuoto ed avere la visione degli angeli, Maria Maddalena riceve anche la visita di Gesù stesso che la esorta ad annunciare la sua resurrezione (Giovanni 8:1-11). Per questo motivo la Maddalena ha assunto la valenza di prima tra gli apostoli ed evangelista, aprendo un’intera tradizione di matrice gnostica che la

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identifica come autrice stessa del vangelo di Giovanni.119 Ai fini del nostro soggetto artistico, la

radice giovannea alla base del personaggio rinsalda ancora una volta la lettura complessiva dell’iconografia secondo le immagini del quarto vangelo e dell’Apocalisse. Nell’esegesi medievale il personaggio evangelico è stato sovente sovrapposto ad altre figure femminili. È il caso di Maria di Betania e dell’anonima peccatrice, entrambe raccontate nella scena assai prefigurativa in cui lavano i piedi e ungono il capo di Cristo (Gv 12:1-11; Mt 26:6-13; Lc 7:36- 50). E ancora, le analogie tra l’anonima peccatrice e l’episodio dell’adultera salvata dalla lapidazione nel vangelo di Giovanni (8:1-11). In tutti questi casi i personaggi che ricorrono nelle pagine evangeliche ci offrono la stessa parabola didattica: figure marginalizzate dal patriarcato ebraico, costrette al peccato, quindi diventate esempi di pentimento e devozione dopo l’incontro col Signore. Nel XVI secolo la Maddalena assurge a modello sociale della retorica controriformata, in parte coadiuvata dal revival mistico che si andrà sviluppando negli ambienti religiosi femminili, dove segregazione sociale ed escatologia spirituale si trovano spesso a convergere in modo controverso. 120

Nel repertorio eburneo indo-portoghese è il personaggio femminile più rappresentato dopo la Vergine. La troviamo intagliata sia su placche a bassorilievo che in statuette singole, sempre secondo l’iconografia e gli attributi del pentimento. Il modello della posa reclinata era tra i più diffusi nelle arti delle colonie indiane, rintracciamo esempi significativi nell’interno decorato di un cassettone, 121 in una placca del Museo Archeologico di Santarém122 e in numerosi calvari

eburnei, posta ai piedi della croce. Altra variante assai comune sono le statuette in cui la Maddalena è rappresentata seduta, in posa meditativa appoggiata ad un teschio. Da notare l’attenzione per gli attributi iconografici ricorrenti come: la chioma fluente e la boccetta di unguento, simboli della condotta peccaminosa. E ancora il libro, la frusta e il crocifisso inserito all’interno di un teschio (o di una zolla rotonda) riferimenti dell’espiazione (fig.14b). Il crocifisso nel teschio è intriso di riferimenti teologici, dal momento che vuole rappresentare una sorta di miniatura del colle Golgota, il luogo dove venne crocefisso Gesù. Secondo una tradizione scritturale il monte Golgota era il luogo mitico dove morì e venne sepolto Adamo. Per questa ragione la montagna veniva chiamata ‘calvarium’, dal latino ‘calvaria’, ‘teschio’, calco dall’aramaico ‘gūlgūtā’, ‘luogo del cranio’. Esso era infatti il luogo dove era sepolta la testa dell’uomo antico, che Cristo, homo novus, andava a redimere col suo sacrificio. L’immagine si diffuse già nell’arte paleocristiana come attributo degli eremiti penitenti, fra cui San Girolamo,

119 Brown 1982. 120 Moura 1996, p. 22. 121 Pinto 1991, pp. 136-137. 122 Távora 1983, p. 187 fig. 225.

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santo eremita della prima cristianità. Ritroviamo il santo in una delle nicchie laterali del registro inferiore (inv.82; cat.10). Anch’egli è rappresentato secondo il modello penitente: a torso nudo, con barba e capelli incolti, inginocchiato davanti alla croce o al crocifisso conficcato sul teschio, intento a lacerarsi il petto con una pietra (fig.14d). Il santo si trova in composizione col leone, riferimento ad uno degli episodi agiografici.

Ci spostiamo quindi al registro mediano, che mostra San Pietro, in ginocchio oppure seduto con le mani giunte in preghiera o con le braccia incrociate sul petto secondo la formula del pentimento. Al suo fianco destro troviamo una colonnina sormontata da un gallo. Si tratta ovviamente di un riferimento all’episodio della Negazione di Cristo così come premonito da Gesù stesso durante l’ultima cena, quando il Maestro usò l’immagine del gallo per indicare l’ora del tradimento. Al lato opposto è spesso presente un libro, simbolo della trasmissione delle scritture sacre affidata all’apostolo (fig. 14e).

L’opera custodita al Museu Oriente di Lisbona (inv.83) presenta nel registro mediano un personaggio di difficile interpretazione, non immediatamente riconducibile a nessuno dei modelli agiografici. Si tratta di un uomo maturo, con barba e capelli lunghi, rappresentato a mani giunte e seduto a gambe incrociate secondo ciò che potrebbe apparire come un āsana yogico (fig.57). La figura è stata interpretata come incorporazione di un elemento iconografico locale. L’eccezionalità del personaggio non trova infatti repliche in tutto il repertorio preso in esame. Non disponiamo di fonti e informazioni relative alla storia dell’oggetto capaci di sciogliere l’enigma della figura, che per ora ci limiteremo a indicare come un unicum all’interno della produzione artistica.

Infine, nel terzo registro ritroviamo la Fonte della Vita nelle variazioni finora descritte. La combinazione di questi personaggi, inequivocabilmente rappresentati secondo l’iconografia del pentimento, e la posizione di Pietro nel registro mediano, ci conducono all’identificazione del gruppo secondo questa declinazione iconografica. L’iconografia dei penitenti Pietro e San Girolamo la ritroveremo nel registro inferiore della Rocca all’interno delle nicchie laterali di altre statuette. È interessante notare come solo in un caso (fig.4a) San Pietro è rappresentato secondo l’iconografia del custode della chiave, a sua volta connessa al tema del papato, come difensore della Chiesa dalle eresie, tutti temi che non ci stupiremmo di trovare nel contesto controriformista in cui si sviluppò l’iconografia del Buon Pastore indo-portoghese. Nel nostro soggetto è stata data rilevanza all’episodio dell’espiazione.

Dal punto di vista stilistico notiamo una certa distanza dalle opere precedentemente incontrate. Gli oggetti in esame si contraddistinguono per un intaglio assai particolareggiato, una ridondanza dell’apparato decorativo che le iscrive in quell’horror vacui tipico della cultura barocca. Lo notiamo per esempio nella diffusa vegetazione che ricopre le superfici dei registri, così come la ripetizione del mascherone leonino nell’opera al numero 9 del catalogo,che punteggia e connette

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i moduli narrativi tra un registro e l’altro, abbellendo con minuta perizia le vaschette che si sviluppano dal corpo della fontana. Questa sorprendente ricchezza decorativa e le maggiori dimensioni delle statuette ci lasciano ipotizzare che fosse un gruppo iconografico di minor diffusione, possibilmente connesso a committenze specifiche. Segnaliamo l’eccezione iconografica della statuetta n. 8 del catalogo, recante l’angelo al posto del consueto personaggio penitente al centro del registro mediano. Nonostante ciò l’opera mostra gli stessi tratti stilistici del gruppo in oggetto e per questa ragione quivi la includiamo.