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Il ruolo delle arti nel progetto controriformista, con riguardo all’India portoghese.

Dinamiche di committenza e fruizione locale

7 Il contesto ideologico e socio-politico delle missioni.

7.2 Il ruolo delle arti nel progetto controriformista, con riguardo all’India portoghese.

Concludiamo questa analisi del contesto storico con una disamina del ruolo delle arti nell’azione di governo portoghese e nella coincidente opera dei missionari. Il punto di partenza per qualsiasi riflessione sull’arte tardo-cinquecentesca e seicentesca in ambito cattolico è il Concilio di Trento. L’ultima sessione dello stesso fu infatti dedicata al ruolo delle arti nel progetto di riforma dell’ideologia cattolica (sessione XXV, 3-4 dicembre 1563). In opposizione alla retorica iconoclasta luterana, le autorità cattoliche ribadirono la centralità del culto delle immagini nel percorso escatologico della salvezza. Questi assunti si tradussero nel controllo e nella riformulazione delle iconografie secondo canoni uniformi e autorizzati, in accordo con la tendenza verticistica e gerarchica della riforma delle istituzioni nel suo complesso. Le disposizioni finali del Concilio diedero avvio ad una nuova stagione artistica, successivamente etichettata come ‘barocco’.326

L’arte smetteva di essere indagine della natura fisica e metafisica dal momento che nuove scienze andavano prendendo questo ruolo, concludendo definitivamente la stagione neo-platonica rinascimentale, successivamente evolutasi nel concettualismo manierista votato all’astrazione e al capriccio. Dal tronco ludico e autoreferenziale del manierismo, prendeva corpo un’idea di arte come esperienza autonoma, pura teoria della comunicazione, destinata all’esaltazione dell’immaginazione in cui i canoni del razionalismo e quelli del suo superamento (l’assurdo, l’irrazionalismo mistico), potessero coesistere grazie a formule puramente realiste usate in contesti trascendenti. Una concezione dell’arte ‘totale’, nel senso che abbracciava tutti i campi dell’esperienza artistica, tra loro speculari, dalla musica all’architettura, dalla scultura alla pittura, dalla letteratura al teatro. Questa celebrazione del potere immaginifico trovava coerenza in ambito soteriologico, come tensione al superamento dei vincoli contingenti della realtà mondana; una realtà all’interno della quale erano consacrate le gerarchie di potere come strumenti necessari per la salvezza spirituale, individuale e collettiva. L’esperienza artistica era quindi pensata come strumento di persuasione politica non più rivolta ad una cerchia ristretta di eruditi, ma fruita dalle masse in una molteplicità di letture a seconda della posizione sociale del destinatario finale. La

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società per ceti diventava infatti più interconnessa, così come la sua razionalizzazione nella politica delle monarchie nazionali. Per questa ragione potremmo sostenere che l’arte barocca fu il primo esperimento di creazione di una cultura popolare di massa diretta dai vertici di potere.327

Come per le capitali europee, anche nell’India portoghese questo processo si tradusse in una rinnovata considerazione della monumentalità. Nelle colonie di epoca manuelina gli esempi di architettura monumentale celebravano la dignità monarchica attraverso edifici di carattere militare. Con Giovanni III si diede l’avvio alla fase dei grandi cantieri civici e religiosi, la maggior parte dei quali destinati agli ordini regolari.328 La monumentalità rientrava in quel processo di

‘spettacolarizzazione’ dell’arte barocca attraverso formule ‘totali’ che comprendevano la sintesi di più esperienze artistiche. Questa tendenza non riguardava il solo campo delle arti visuali ma anche quelle performative. Un esempio di particolare rilievo è il dibattito gesuita sul ricorso (legittimo o meno) alla danza, al teatro e la musica locale durante le cerimonie liturgiche e nelle processioni religiose a Goa.329 O l’insegnamento della musica nei collegi agostiniani, una pratica

di propaganda religiosa di particolare persuasività, che andava ad inserirsi nel servizio liturgico.330

Nella sua analisi dell’architettura gesuita goanese, Cristina Osswald ha delineato la demarcazione tra due fasi di evoluzione; una fase iniziale contraddistinta dall’adozione di modelli italiani metropolitani di puro carattere controriformista, e una fase successiva di adattamento degli stessi a canoni di derivazione locale.331 Questa pratica di adattamento, visibile a Goa nell’intaglio ligneo

e nella scultura, consisteva nell’incorporazione di tre fattori tra loro interconnessi: materiali, maestranze e formule stilistiche locali. Il ricorso a materiali di origine locale implicava il fatto che fossero lavorati da specifiche classi artigiane familiari con il loro utilizzo, che a loro volta influenzarono le scelte della committenza attraverso il proprio bagaglio culturale. È all’interno di questa dinamica che dobbiamo situare lo sviluppo di una tradizione di intaglio eburneo cattolico sotto la direttiva degli ordini missionari.

La tendenza comune in queste pratiche di adattamento culturale è nella sovrapposizione dell’opera missionaria al tessuto artistico-culturale preesistente. Già osservando l’evangelizzazione della colonia goanese ci rendiamo conto di come essa coincidesse con la geografia cultuale locale, per esempio nella realizzazione di santuari mariani in luoghi precedentemente consacrati a divinità femminili.332 La conversione delle tradizioni religiose

implicava la cooptazione delle caste artigiane, secondo un parallelo con lo stesso processo di

327 Argan 1986. 328 Moreira 1995. 329 Wicki 1975, p. 735. 330 Gomes 2003, pp. 191-92. 331 Osswald 2011. 332 Xavier 2008b, pp. 264, 277-331, 324.

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selezione e conversione dei gruppi sociali culturalmente determinanti verificatosi nei confronti delle élite sacerdotali, e che tratteremo analiticamente al paragrafo 8.2.1. Tra il 1559 e il 1560 è testimoniata la conversione degli orefici e dei pittori goanesi per opera dei gesuiti. 333 L’impiego

di muratori e carpentieri nei cantieri di questo ordine suggerisce la possibilità della loro conversione. Abbiamo visto al paragrafo 4.2 che le affinità tecniche tra l’intaglio ligneo e quello eburneo potrebbero ricondurre il secondo nell’alveo del primo, con molta probabilità rientrante nelle dinamiche di evangelizzazione. La conversione delle caste artigiane segna un momento di cesura con la precedente attitudine contraddistinta dall’interdizione sociale dei nativi e dalla distruzione del patrimonio artistico indigeno. In linea con la nuova legislazione sociale, assistiamo ad un processo di normazione delle coscienze attraverso la conversione dei modelli di riproduzione dei codici culturali. Curiosamente, l’unica fonte a nostra conoscenza a parlare in modo esplicito dell’uso delle statuette del Buon Pastore nelle pratiche di conversione deriva non dall’India ma da una missione dei padri Ambrozio dos Anjos e Pedro dos Santos condotta nel 1627 da Isfahan, in Persia, alla Georgia. Così nelle parole dei missionari:

“e isto fora outras peças que levão os padres particulares que cada hum adquirio por industria propria, por tenção de las aplicarem a missão; como são muitos mininos pastores de marfim”334

La dinamica dell’adattamento culturale recava importanti ragioni di ordine economico, fondamentali per comprendere anche il contesto artistico. L’evangelizzazione stimolò la formazione di una moltitudine di confraternite e delle fabricas attraverso cui i gruppi di neo- convertiti si auto-organizzavano. Questi istituti seguivano il tracciato dei precedenti modelli organizzativi locali, le cosiddette mazanias, e servivano al sostentamento dei luoghi di culto di recente formazione 335; sostentamento economico che passava per forme di auto-tassazione,

rendite agricole e commerciali, incluse quelle derivanti dalla produzione artigianale locale.

333 Souza F. 1979, p. 157.

334“Rellação da Jornada que fizerão o Padre Ambrozio dos Anjos e o Irmão Fr. Pedro do Santos de Aspão até ao Georgistão e os Successos que tiverão nella” (1627), in Rego 1996, vol. XII, p. 233. Una delle statuette eburnee appartenenti al lascito di Papa Pio IX riporta una nota autografa del pontefice che ne documenta il ritrovamento a Baghdad nel 1861, confermando il commercio dei manufatti nella rotta tra l’India occidentale e il Medio Oriente (Morey 1936, p. 90).

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