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30 1.3 Il repertorio devozionale.

2 La Rocca del Buon Pastore: analisi del soggetto storico-artistico.

2.3 Le componenti del soggetto: analisi iconografica e tipologico-comparativa.

2.3.2 La Rocca simbolica.

Immediatamente sotto la figura del Buon Pastore, troviamo la componente di maggiore ricchezza iconografica e decorativa, ovvero la Rocca Simbolica. Nella letteratura sul tema e nelle attribuzioni iconografiche sono stati usati termini diversi per riferirsi a questa componente come per esempio ‘montagna’ e ‘giardino’, e in parte la duplicità di significato dipende dalla coesistenza di entrambe le interpretazioni iconografiche. Sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento la montagna si presenta come il luogo teofanico per eccellenza. Nel nostro soggetto essa potrebbe spiegare la natura visionaria della scena. Allo stesso tempo l’idea del giardino potrebbe essere messa in connessione con l’albero, come riferimento alla Genesi. Di sicuro il modello della Rocca Simbolica non trova corrispondenze dirette nella tradizione iconografica precedente, costituendosi pertanto come un’elaborazione originale delle botteghe in esame.

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La superfice è intagliata su tutte le facce sebbene solo quella frontale e quelle laterali ospitino soggetti di carattere iconico e narrativo. Il retro è immancabilmente decorato con un tipico motivo a scacchi, che non trova varianti alcune. Le superfici frontali e laterali sono suddivise in tre registri, raramente di più. Tutti i registri sono percorsi nelle parti laterali dall’intaglio, più o meno abbondante, del gregge, simboleggiante la comunità dei fedeli (fig.41a, 41b). Quello inferiore ospita le nicchie dei Santi Penitenti e dei leoni guardiani, portandoci a pensare che esso simboleggiasse un luogo selvatico e remoto di eremitaggio; il deserto, locus metaforico di tentazione e conflitto morale.108 Il registro mediano sembra avere il valore d’un emblema

identificativo in una gamma di stilemi fissi: una pecora dormiente, una lattante, un cane pastore, un santo penitente, un angelo, il Battista o Gesù pastore stesso. È interessante come questi stilemi si rivelino utili all’identificazione delle famiglie iconografiche, notandosi una corrispondenza tra l’apparizione di questo e quell’emblema e le scene intagliate negli altri registri. Infine, nel registro superiore troviamo il topos della Fonte della vita eterna interpretato come mascherone leonino o di fontana in forma di colonnina. Da questa sgorgano getti d’acqua che vanno a riempire la vasca sottostante da cui si abbeverano coppie di agnelli e uccelli.

Riferimenti alla Fonte della vita si trovano già nel Vecchio Testamento (Genesi 2:10-14; Salmi 36:9; Cantico 4:12-15), ma è ancora Giovanni l’evangelista a riservare le corrispondenze più attendibili ai fini della nostra iconografia. Il motivo si ritrova nell’episodio del dialogo tra Gesù e una donna samaritana, nei pressi del pozzo di Giacobbe (4:6-26). L’espediente del pozzo è utilizzato dal narratore per introdurre un dialogo teologico in cui Gesù, dichiarandosi il Messia, paragona la sua parola all’acqua della vita eterna: “(13) Gesù le rispose: Chiunque beva di quest'acqua avrà sete di nuovo; (14) ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna”. Più del Vangelo è l’Apocalisse di Giovanni a fornire ulteriori chiarimenti. Qui l’immagine ricorre in tre passaggi:

- In Apocalisse 7:17 “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”, riferito alle schiere dei martiri salvati dall’ira del giudizio, che vengono traghettati dall’Agnello verso la salvezza.

- E ancora in 21:6, uno dei passaggi conclusivi, quando Iddio stesso si rivolge a Giovanni: “E mi disse: Ecco, ogni cosa è compiuta! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita.”

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- E infine in 22:1, nella descrizione del fiume che attraversa la Gerusalemme celeste, “Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell’Agnello.”

Il terzo registro si configura come il luogo della salvezza eterna, contrapposto al registro inferiore, allegoria della realtà mondana. L’interpretazione è confermata dalla presenza di un agnello o di una pecora nel registro mediano, metafora cristologica che, in accordo con l’Apocalisse giovannea, segna il passaggio tra i due mondi. E ancora, dalla presenza del Padre Benedicente alla sommità dell’albero, simboleggiante il trono del passo 22:1 dell’Apocalisse. La coppia di uccelli che si abbeverano alla fonte rappresenta la partecipazione dei credenti alla salvezza eterna (fig.42). Nel nostro soggetto gli uccelli assumono la forma più plausibile di pavoni, secondo un modello codificato in epoca tardo-antica. Il pavone, già sacralizzato nel mondo greco-romano come simbolo di immortalità, in ambito paleocristiano assume l’accezione cristologica della resurrezione, nonché immagine della vita eterna del credente in paradiso quando raffigurato in coppia, con gli uccelli intenti ad abbeverarsi ad una coppa, una fonte o un albero (fig.43).109

A. Saviello ha proposto un’interpretazione alternativa della rocca come riferimento al Monte di San Tommaso, un’altura nei paraggi di Mylapore, sede di pellegrinaggio della comunità cristiana siriaca radicata nel Malabar.110 Nelle fonti portoghesi la montagna è spesso indicata come ‘monte pequeno’ o ‘monticello’. Sin dalla sua scoperta essa attrasse l’attenzione dei portoghesi che identificavano il luogo come sede del martirio del santo anche a seguito della miracolosa riesumazione di un antico tempio e delle ossa del santo nel 1522, e di una croce scavata nella roccia e macchiata del suo sangue nel 1547. Saviello basa le sue osservazioni su diversi resoconti storiografici e missionari che raccontano la presenza di una fonte salvifica e di una grotta adibita alle pratiche di penitenza, corrispondenti ai diversi registri dell’iconografia in esame. Secondo questa linea di ricerca, l’iconografia venne elaborata all’interno delle missioni gesuite per contatto con la comunità siro-cristiana del Malabar. L’episodio del martirio del santo costituiva un evento precursore dell’opera di evangelizzazione in India, e quindi degno di devozione da parte degli ordini missionari.

In alcuni casi la rocca termina con un prolungamento forato finalizzato all’inserimento del Pastore o del supporto in forma di cuore. Lungo i lati della rocca troviamo sempre un numero speculare di fori perpendicolari, da due a tre per lato, ricavati nelle scene laterali di ogni registro al fine di ospitare i rami dell’albero. In molti casi la rocca simbolica poggia su una base circolare, di altezza e ampiezza variabile. A differenza delle scene intagliate nella rocca, il cui contenuto