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alla comunicazione

1.16 I diversi concetti di comunicazione

Comunicare è un’attività sociale complessa.

In essa risiede un oggetto di studio “denso”, una molteplicità di significati, l’identità umana stessa. Occupa un posto centrale nella vita interiore di ogni persona, ma anche nell’azione sociale o interazione umana. Per affrontare l’analisi dei processi comunicativi pertanto, come già rammentato nei precedenti paragrafi, occorre rifarsi a teorie e ricerche provenienti da numerosi campi, spesso privi di un modo di intendere comune. A fronte di ciò D. McQuail (1987), eminente studioso dei fenomeni inerenti la comunicazione di massa, tenta di proporre il modello sociologico di carattere generale, che ponga l’attenzione sulla dimensione sociale dei processi o, per meglio dire e con i termini con cui egli stesso lo definisce, sul “livello di organizzazione sociale” in cui la comunicazione avviene. Tale modello è interessante poiché consente di procedere ad ulteriori distinzioni.

Ogni livello, infatti, presenta sia caratteristiche proprie che caratteristiche comuni agli altri livelli.

In questo modo è possibile analizzare l’oggetto comunicazione attraverso differenti punti di vista, non solo sul piano dei contenuti, ma anche dei metodi e dai quadri di riferimento concettuale. In altre parole, si possono

comprendere modelli provenienti dalla semiotica, dalla antropologia, dalle neuroscienze, dalla psicologia e non solo, alcuni dei quali saranno in seguito affrontati. Il modello di McQuail è raffigurabile come un triangolo.

Alla base trova collocazione la comunicazione intrapersonale che considera i processi mentali di elaborazione dell’informazione come la comprensione, l’interpretazione e la memorizzazione, ma anche, secondo il punto di vista di E. Cheli, la “sub-personalità” intesa come “il dialogo interiore tra le diverse parti che costituiscono la persona”109. Naturalmente la base rappresenta la maggior quantità di casi possibili.

Al livello intermedio si trova la comunicazione “interpersonale e infragruppo”. Ne costituiscono un esempio: l’interazione con gli altri e le diverse definizioni o forme di discorso, controllo, vincoli, regole, condivisione, appartenenza.

Al vertice, infine, si situano “i livelli istituzionale e macrosociale” che rappresentano un minor numero di casi e condizioni più complesse. Si è così giunti a livello della società con le comunicazioni di massa e le istituzioni o organizzazioni formali come i sistemi politici, le assicurazioni e le imprese. Tra tutti i livelli sussiste una stretta interdipendenza, ma nel presente lavoro dedicato alla centrale dimensione del linguaggio nella relazione interpersonale, l’approfondimento riguarderà soprattutto, e nell’ordine, il primo e il secondo livello.

Accanto all’interpretazione di McQuail, altri modelli sono stati messi a punto al fine di studiare il vasto campo delle scienze della comunicazione. Facendo un piccolo passo indietro si può notare come ancora fino agli anni della Seconda guerra mondiale il concetto di comunicazione si identificasse più nel suo carattere fisico, di mezzo, di circuito di trasmissione che informativo e immateriale.110

Dopo la Seconda guerra mondiale l’idea di comunicazione assunse un significato più ampio e più vicino a quello che anche oggi riveste.

Tuttavia i primi modelli elaborati si basarono su teorie di tipo matematico o ingegneristico, per il passaggio tecnico di informazioni su cavi telefonici o telegrafici. Nel 1949 C. Shannon e W. Weaver costruirono il modello

109 Cheli E., Teorie e tecniche della comunicazione interpersonale, Milano, Angeli, 2004, pag. 21. 110 Volli U., Il nuovo libro della comunicazione, Milano, Il Saggiatore, 2010, pag. 21.

“informazionale” di tipo matematico e lineare, per la trasmissione e ricezione di segnali. Tale modello si fondava sui due elementi essenziali di un processo comunicativo: l’emittente (colui che parla) e il ricevente (colui che ascolta) e sulla presenza di interferenze esterne definite rumore.

Anche nel campo delle scienze sociali si andava nel frattempo affermando un modello simile, predisposto da H. Lasswell.

Entrambi i modelli erano però di tipo “descrittivo-strtturale” e non consideravano l’aspetto dinamico della comunicazione.

In ambito linguistico lo schema di Shannon e Weaver, venne ripreso da R. Jakobson, ma la linearità del modello proposto da quest’ultimo studioso, oltre all’idea di un messaggio trasmesso in modo chiaro ed inequivocabile dall’emittente ed esattamente compreso dal suo interlocutore, non riflettono le reali condizioni in cui la comunicazione umana ha luogo.

Nonostante i limiti rimane importante perché ha costituito il punto di partenza degli studi sulla comunicazione. Negli ultimi decenni l’idea di comunicazione è cambiata rispetto allo schema di Jakobson e Shannon. Una definizione alternativa si connette al significato etimologico di “mettere in comune”. Secondo questa visione, fatta propria ad esempio da B. Pearce (1989), la comunicazione rappresenta soprattutto l’azione condivisa di costruzione della realtà e pertanto l’accordo, la natura collettiva di valori, opinioni, risorse in una data società.

Solo in seconda istanza la comunicazione presiede al trasferimento di informazioni.

Proseguendo nell’ordine di una crescente complessità rispetto all’idea di comunicazione come trasferimento di informazione codificata, si trova il concetto di comunicazione”come inferenza”. Significa che il messaggio non viene interpretato dal ricevente in senso letterale, ma per quanto consente di capire. Se ne deduce che è strettamente collegato alle conoscenze proprie di ciascun interlocutore e di un interlocutore rispetto all’altro.

L’inferenza è un’attività deduttiva della quale molto si avvale la comunicazione di massa perché permette di agire, con le parole stesse di Sperber e Willson (1986), “sull’ambiente cognitivo” del destinatario, inducendolo a modificare la sua percezione della realtà.

Vi è inoltre un concetto di comunicazione che tenta di superare l’eccessiva semplificazione del ruolo assunto dal destinatario del fatto comunicativo, intendendo la comunicazione come scambio. Tra il processo di emissione e quello di ricezione si crea, infatti, una condizione che non è riducibile alla sola decodifica del messaggio, bensì costruisce e costituisce lo spazio di un processo interpretativo. Vi sono situazioni in cui di fatto non esiste reciprocità nell’attività comunicativa, quelle comunemente definite “comunicazioni di massa” la cui forma antica è riconducibile alle cerimonie religiose e civili, mentre quella moderna alla stampa, alla radio, alla televisione.

Alcune applicazioni di internet, danno luogo ad una condizione ancora differente, poiché non si distingue chiaramente il ruolo di chi parla e di chi ascolta. Quanto alla reciprocità nell’attività comunicativa U. Volli fa notare un aspetto interessante quando afferma che: “non bisogna pensare che prima ci sia una massa indifferenziata di “gente” e poi questa venga raggiunta dai media; al contrario sono i mezzi a raccogliere e organizzare le persone in forma di massa, togliendo (“alienando”) loro individualità e responsabilità e sostituendole con varie forme di consenso, divertimento, mobilitazione. 111 Sottolineando nuovamente che “il bisogno di comunicazione va nel senso dello scambio”, “che la comunicazione è essenzialmente scambio”, lo stesso autore ricorda infine che questa è una delle ragioni per cui “non è possibile ridurla a iscrizione o traccia, né a significazione” come già descritto nei precedenti paragrafi di questo lavoro.

Un’ultima integrazione allo schema elementare risiede nel concetto di comunicazione come ermeneutica o attività interpretativa. La scrittura è un esempio classico di informazione che non può essere chiarita, sulla quale non si possono chiedere spiegazioni attraverso il dialogo del lettore con l’autore. Insieme all’arte, al cinema e ai siti web è definita “comunicazione asincrona” poiché non vi è interazione fra i termini della comunicazione. In realtà, proprio questa impossibilità di intervenire apre lo spazio al processo interpretativo. L’interpretazione implica sempre una qualche forma di attribuzione di senso. La lettura di un testo richiede, con i termini di W.

Dilthey (1883), “una certa precomprensione” ovverosia una qualche ipotesi sul senso del testo stesso e “sull’intenzione dell’autore”.