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alla comunicazione

1.27 Interazione sociale

L’indagine filosofica iniziata da Austin nei primi anni Sessanta del secolo scorso e successivamente sviluppata da Searle e Grice, costituì un importante contributo della pragmatica all’analisi del linguaggio. Essa affermava che tutti gli enunciati, oltre ad avere un contenuto proposizionale o “letterale”, compiono delle azioni: ad esempio promettono, dichiarano, ordinano. Comprendere un atto linguistico significa pertanto analizzarne sia le componenti sintattiche sia “la forza” illocutiva” o cornice metalinguistica, ovvero l’azione che tale atto compie. Viceversa, la linguistica americana sorta nei primi anni Cinquanta e fondata sullo strutturalismo di Bloomfield, considerava i fattori sociali esterni al sistema linguistico, nonché irrilevanti. Qualche anno dopo, anche la rivoluzione chomskyana, in particolare con la distinzione tra “competence” (il sistema di regole che presiede all’uso della lingua) e “performance” (l’uso effettivo della lingua) escludeva gli aspetti psicologici e sociologici dei parlanti nell’analisi linguistica. Infine, sempre all’inizio degli anni Sessanta, ebbe luogo un’importante svolta linguistica, contrassegnata dalla presenza di due principali gruppi di studiosi: un gruppo interessato all’analisi dei fattori sociali del comportamento linguistico e un

secondo gruppo di antropologi di orientamento etnografico che, alla luce del pensiero di Sapir, mettevano in discussione la funzione referenziale del linguaggio, in particolare alcuni suoi concetti, come quello di comunità linguistica e di competenza comunicativa. In siffatto ampio contesto culturale, caratterizzato dagli sviluppi della linguistica e della teoria della comunicazione, cresce e matura il pensiero del sociologo americano Ervin Goffman (1922-1982). A dire il vero, l’ascrizione di Goffman nell’ambito della disciplina convenzionalmente definita sociologia, è questione piuttosto controversa. Il principale motivo verte sulla sua appartenenza di scuola. Alcuni autori riconducono Goffman innanzitutto al “verstehen weberiano”, ma anche all’interazionismo simbolico di G. H. Mead, all’etnometodologia di H. Garfinkel, alla sociolinguistica comportamentale, alla teoria del conflitto sociale. In realtà la caratteristica dominante è quella di un autore innovativo e molteplice, che si inserisce e nello stesso tempo riflette, un periodo di trasformazioni nella storia della sociologia occidentale. In secondo luogo, la questione della collocazione si connette al concetto di relazione sociale che egli ha analizzato con sorprendente originalità. In Italia l’interesse per il pensiero e l’opera di Goffman nasce alla fine degli anni Sessanta, la sua ricezione (nel senso di informazione sull’autore) a partire dagli anni Settanta-Ottanta, mentre la sua recezione (intesa come riconoscimento formativo intellettuale) negli anni novanta. Il testo più noto è considerato “The Presentation of Self in Everyday Life”, “La vita quotidiana come rappresentazione”, edito in lingua italiana nel 1969, in cui la vita quotidiana è vista precisamente come rappresentazione teatrale, alla messa in scena della quale ciascuno contribuisce.

Non meno pregnante è ritenuto anche un secondo libro: “ Asylums” (1961), “Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza”. I contenuti di questa raccolta di saggi si incontrano con il clima culturale degli anni della contestazione del sessantotto, della nuova psichiatria basagliana, della riforma delle istituzioni totali in generale e degli ospedali psichiatrici in particolare. Accanto ai temi citati nella presentazione dei due testi, la teoria sociologica e la ricerca di Goffman si distinguono per numerosi altri contenuti: l’analisi sul “self” (sé), sulle relazioni “face to face” (faccia a faccia), sui cerimoniali della vita sociale, la traduzione in

metafore teatrali delle interazioni, l’analisi conversazionale, il concetto di “frame” (cornice), di “labelling” (etichettamento) e di controllo sociale che confermano la ricchezza e la varietà dei suoi contributi. A questo punto non si tratta tanto di collocare l’autore in una determinata “scuola”, quanto piuttosto di indagare e argomentare il suo pensiero e il suo modus operandi, riconducibili a fonti e procedure metodologiche molteplici e non convenzionali. Goffam si caratterizza essenzialmente per tre oggetti di analisi:

• è innanzi tutto uno studioso delle relazioni sociali e in particolare della loro struttura interattiva;

• in secondo luogo delle forme simboliche dei comportamenti e delle relazioni sociali, soprattutto di carattere pubblico;

• infine, della struttura o contesto delle relazioni stesse, sempre presente e definito “frame”.

Naturalmente i tre oggetti sono presenti e vanno colti nelle loro reciproche interdipendenze. Nello studio della vita sociale, raccolto principalmente nell’opera “La vita quotidiana come rappresentazione” egli sottolinea la rilevanza dei rituali che si mettono in atto nelle interazioni tra individui. Nella prospettiva di Goffman, l’individuo mostra se stesso e le sue azioni agli altri come in una rappresentazione teatrale, con la differenza che il palcoscenico è fatto di finzioni, mentre la vita è reale. Nella vita il ruolo non è fittizio, ma quello vero che si interpreta nella società. Gli attori sulla scena si pongono l’uno di fronte all’altro, con la propria identità socialmente definita e da proteggere. Nell’interazione l’attore si trova a recitare la sua parte, nonché a costruire la maschera che dà forma al self (il sé).

Il self si costruisce nel corso dell’interazione diretta “faccia a faccia”. E’ stabilito normativamente, dalla situazione o palcoscenico su cui si recita e dagli spettatori presenti, nel susseguirsi delle varie situazioni concrete (esiste quindi una molteplicità di “selves”, non un solo self reale). Rappresenta la coscienza di sé “situazionale”, determinata dai rituali dell’interazione. Goffman afferma che il sé è un prodotto sociale, poiché “

una persona non è una cosa isolata, ma un’immagine formata dalle sue interazioni con gli altri”.143

La teoria di un continuo succedersi di “selves” ha originato interpretazioni contrastanti tra gli studiosi, , alcuni orientati verso la tesi utilitarista, altri verso il nesso Durkheim-Goffman, al di là del diverso valore che i due autori danno ai rituali sociali: l’uno sacro-religioso e rapportato all’intera società, l’altro riferito all’individuo e ridotto al quotidiano, ai piccoli rituali dell’interazione faccia a faccia.

In Goffman l’importanza del rituale è paradigmatica per la costruzione dell’identità. Le regole dell’interazione costringono ad apparire in modo controllato. Sulla ribalta, infatti, si recita, si finge di essere quello che non si è. Solo passando dalla scena al retroscena si può tornare ad essere se stessi. Il contrasto tra scena e retroscena fornisce all’individuo l’immagine di se stesso. Tradotto nella vita quotidiana, nell’interazione faccia a faccia il soggetto presenta un’immagine di sé costruita dai rituali stessi dell’interazione. L’identità non è qualcosa di preesistente, di interno alla persona e stabile nel tempo, ma viene prodotta e riprodotta dai rituali della vita quotidiana. L’esempio tipico di questa visione è costituito dall’interpretazione di Goffman del comportamento delle persone con disturbi psichici all’interno di istituzioni tradizionali. L’autore stesso dichiara nella premessa dell’opera “Asylums”144, che il libro tratta la questione delle istituzioni totali con lo scopo di mettere a fuoco il mondo dell’internato e che l’interesse primo è quello di presentare un’interpretazione sociologica della struttura del sé.

La violenza istituzionale da un lato favorisce la carriera del deviante, contrassegnata dall’etichettamento, dall’altra annienta il self. Allo stesso modo anche il senso delle azioni, non deriva dagli stati interni delle persone, bensì dai diversi ruoli “imposti e regolati socialmente”. Il self rappresenta il modo in cui l’individuo deve trasparire, l’entità da assumere, la maschera da indossare e dietro la quale nascondersi. Questo non significa che l’individuo non abbia una sua “identità biografica”, significa però che la complessità e

143 Straniero G., Faccia a faccia, interazione sociale e osservazione partecipante nell’opera di E. Goffman, To, Boringhieri, 2004, pag 78.

144 Goffman E., Asylums. Essays on the social situation of mental patients and other inmates, New York, Doubleday, 1961, trad. it. Asylums, Torino, Einaudi, 1968.

la differenziazione sociale forniscono molteplici ruoli e distanze dai ruoli in base ai quali l’individuo costruisce e ricostruisce discontinuamente il suo sé. La natura della realtà sociale per Goffman è convenzionale ed esterna all’individuo. Pertanto, non solo la costituzione del self, ma anche la conoscenza e la percezione della realtà sono costruite e organizzate socialmente. Goffman adotta il concetto di frame (cornice) dalla scuola di Bateson per indicare questa specie di “azione ordinatrice” della società rispetto al soggetto. Significa che il conferimento di senso, la percezione della realtà, sono dati dalla dimensione sociale, ovvero dagli elementi relazionali. Nel corso della vita sociale l’individuo si trova ad assumere una molteplicità di ruoli, a seconda delle persone e delle situazioni in cui agisce. Le stesse parole o oggetti possono avere significati completamente diversi, determinando una pluralità di “selves”. Il frame è un’entità interpretativa che si stabilisce nell’interazione faccia a faccia, rappresenta la valenza simbolica della comunicazione, il modo in cui l’individuo organizza la realtà quotidiana e l’assunzione di ruoli.

Il frame è la cornice “che fornisce le coordinate entro le quali parole, azioni, espressioni varie acquistano senso”.145

Naturalmente, la comunicazione nella vita reale avviene secondo modalità che vanno ben oltre il tentativo di programmare un copione rigido. Inoltre la rappresentazione sulla scena può subire variazioni rispetto al frame. La “rottura di un frame” comporta una forma di sostituzione o di “footing” con un altro frame. Per comprendere il tipo di comunicazione che sta avvenendo, diventa talvolta necessario compiere il passaggio da un ordine di significati simbolici ad un altro, chiamato “commutazione di codice”. La comunicazione linguistica faccia a faccia non è intesa da Goffman come conversazione verbale, bensì come azione, come “teatro di azioni comunicative”. E’ una “unità interazionale” che non coincide con l’alternanza dei turni, è una “forma totale di comunicazione”, ovvero sia linguistica che corporea. In questo modo viene meno la tradizionale distinzione dei ruoli di parlante e ascoltatore. Mentre in Austin e Searle i vincoli sul modo di parlare e rispondere risiedevano nell’aspetto formale del

145 Straniero G., Faccia a faccia, interazione sociale e osservazione partecipante nell’opera di E. Goffman, Boringhieri, 2004, pag. 122.

linguaggio, per Goffman avvengono all’interno della sfera dei rapporti sociali. “La sola coesistenza di due o più persone in un campo di reciproca percezione implica un continuum comunicativo nel quale i ruoli si sovrappongono inscindibilmente …”.146

Lo studio dell’interazione come azione nel pensiero di Goffman termina qui. Nonostante le contrastanti visioni degli studiosi nei confronti della sua opera e della sua posizione ufficiale di sociologo, si può dire che egli si ponga sul versante interpretativo ermeneutico del “verstehen”.

I suoi interessi però rinviano ad un ambito scientifico più ampio, che comprende la sociologia, l’antropologia, la psicologia sociale.

I suoi contributi sono importanti perché aiutano a riflettere su alcuni aspetti della vita interattiva talvolta lasciati a margine da altri insigni autori.

Il concetto principale rimane quella della costruzione sociale del self, un self oggetto, risultato di un processo di definizione del ruolo sociale, non soggetto idealistico e spirituale come nella filosofia kantiana, accanto al concetto di vita quotidiana vista come rappresentazione teatrale.