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Dal linguaggio come mezzo di conoscenza al linguaggio come istituzione storico-sociale

Dopo la breve, ma importante parentesi dedicata all’arte retorica, si riprende ora il discorso sulle scienze del linguaggio. Si è ormai giunti alla soglia del Milleduecento, in età medievale, e il viaggio conoscitivo prosegue con l’opera di San Tommaso d’Aquino (1224/25-1274), il grande teologo sistematico del tredicesimo secolo chiamato anche il Doctor Angelicus, forse per le sue virtù, in particolare la sublimità del pensiero e la purezza della vita.43 Infatti, accanto alla fede egli assegnò un ruolo importante anche al sapere, dedicando particolare attenzione agli studi e agli scritti di Aristotele. La sua filosofia del linguaggio emerse soprattutto dal commento al Perì hermeneias, opera di Aristotele che Tommaso approfondì ed estese pur mantenendosi fedele al contenuto originario. Tommaso afferma in modo chiaro due aspetti del linguaggio: il carattere sociale e la possibilità dello stesso di emancipare l’uomo dall’ hic et nunc (qui e ora) dell’esperienza. Il carattere sociale indica che la convivenza umana si fonda sul linguaggio. Il secondo punto enuncia la capacità del linguaggio di astrarre con la mente le situazioni che non sono immediatamente presenti e di pensare anche ad eventi futuri e lontani nel tempo e nello spazio. Le parole,dunque, esprimono contenuti astratti e il presupposto per la nascita dei concetti

universali è dato dalla separazione dell’hic et nunc dell’esperienza. Tuttavia Tommaso, come Aristotele, non riconosce il carattere creativo del linguaggio ritenendo, viceversa, che i significati delle parole siano uguali in tutte le lingue, ovvero non attribuendo a ciascuna lingua la possibilità di classificare diversamente la realtà. Come già ricordato Tommaso d’Aquino fu un grande teologo e un grande filosofo, molto amato per le sue virtù e la finezza del suo pensiero. Egli intese dimostrare, in un periodo in cui la cultura pre-cristiana di Aristotele radicalmente razionale e la cultura classica cristiana si fronteggiavano, che in realtà tra ragione e fede cristiana sussiste una naturale consonanza, come a dire la relazione di distinzione e nello stesso tempo di sintesi di filosofia e di teologia. Ragione e fede sono entrambe strumenti della conoscenza, anche se procedono da principi conoscitivi differenti, l’una basata sull’evidenza, l’altra sulla Parola di Dio.44 Come si è detto in precedenza, studiò a fondo e ampiamente commentò le opere di Aristotele del quale sapeva leggere personalmente i testi originali, ma la sua analisi del discorso si applica in primo luogo alla Parola Divina. Tommaso infatti, fu innanzi tutto un interprete della Sacra Scrittura. Il senso della Parola divina è molteplice: “Sacrae Scripturae interpretatio infinita est”, scrive Giovanni Scoto Eriugena (Periphyseon, II, 560A).45

Le parole dei testi sacri sono connesse a simboli e significati che vanno oltre il senso letterale. Inoltre, come coniugare le categorie di tempo e di spazio (modalità temporali) con l’Eterno ? Allo stesso modo, cosa accade al linguaggio ordinario quando è chiamato ad esprimere il Divino ?“Solo per analogia applichiamo a Dio verbi, participi, pronomi che includono tempo, spazio, relazione …omissis …quando nominiamo le cose conosciute, implicitamente le definiamo. Ma Dio può essere nominato solo per analogia con qualità creaturali (Summa theol. I,13,5)46, scrive San Tommaso, nel suo capolavoro (ed una delle principali opere teologiche) e dunque, il linguaggio teologico è essenzialmente un linguaggio analogico.

44 Benedetto XVI, considerazioni tratte da udienza 16 giugno 2010.

45 Formigari L., Il Linguaggio: storia delle teorie, Roma-Bari, Laterza, 2005, pag.49. 46 Ibidem, pag. 51.

La dottrina dell’analogia tra Creatore e creatura, nonostante la loro infinita distanza, consente all’uomo di parlare con parole umane di Dio e rimarrà centrale all’interno del dibattito sulla natura del linguaggio teologico fino all’età moderna. La teolinguistica non solo favorì lo studio dei dispositivi semantici del discorso, ma anche si estese all’analisi di temi quali il “modus essendi” di Dio, la sua opera redentrice, l’unità-distinzione delle Persone della Trinità, la Rivelazione biblica e la Transustanziazione eucaristica. Nella Summa, si può capire, vengono discusse sia le questioni dottrinali quanto le norme della grammatica sacra, come pure la determinazione di regole per la predicazione teologica, alla quale lo stesso autore si dedicò. Non si deve infine dimenticare che la filosofia del linguaggio medievale, così come alcuni scritti di Tommaso d’Aquino quali ad esempio le “Questiones disputatae de veritate”, presero in considerazione anche la teoria del segno. Quest’ultima, passo dopo passo, con i teorici Locke, Wolff, Jouffroy, Pierce, Saussure, Morris, ha condotto nel suo procedere sino alla semiotica moderna.

Ora, giunti a questo punto, non essendo obiettivo del presente lavoro illustrare una storia completa delle scienze del linguaggio, si procederà prendendo in esame il contributo di soli tre importanti studiosi (Locke, Condillac, Humboldt) particolarmente rappresentativi di un’idea di linguaggio come istituzione storico-sociale.

Dall’età del Rinascimento si manifestò un graduale mutato atteggiamento verso il linguaggio: un progressivo allontanamento dalla logica (e quindi dal linguaggio come mezzo di conoscenza, caratteristica del precedente pensiero linguistico del Medioevo) e una sempre maggiore assunzione nell’ambito della filologia47 (perciò considerato come istituzione storico- sociale).In sintesi, il linguaggio fu inteso non più come mezzo di conoscenza e funzione del pensiero, bensì come istituzione storico-sociale e, in altre parole, l’interesse degli studiosi passò dal linguaggio in generale all’interpretazione delle lingue nelle loro numerose manifestazioni culturali e storiche.

47 Il dizionario Devoto-Oli riporta “filologia: la disciplina relativa alla ricostruzione e alla corretta interpretazione dei documenti letterari di una determinata cultura: f. classica, romanza, italiana. … omissis

Si inizia ora l’analisi ora del pensiero dei succitati linguisti che hanno segnato questo nuovo orientamento , partendo da Locke.

John Locke (1632 – 1704) merita di essere citato perché nel suo saggio sull’intelligenza umana ( An Essay Concerning Human Understanding - 1690), egli afferma che lo scopo principale del linguaggio è la comunicazione. La comunicazione è intesa non soltanto come semplice scambio di idee, ma come “il grande strumento e il comune legame della società”. Secondo l’impostazione di Locke, il linguaggio ha una funzione strumentale, ha soprattutto carattere pratico e istituisce la società in quanto stabilisce un vincolo tra i parlanti. E’ possibile già intravedere in questa breve sintesi del suo pensiero alcuni originali spunti precursori della moderna teoria linguistica ? Certamente molte delle sue argomentazioni sono confutabili. Ad esempio nell’analisi del segno linguistico, a Locke sfugge che la parola sta sempre per la cosa intesa e non per la conoscenza limitata che delle cose le persone hanno. In questo modo egli identifica il contenuto delle parole con la conoscenza individuale (parziale) che il parlante ha dell’oggetto delle parole stesse. Tale aspetto verrà ripreso in tempi più recenti da Saussure secondo il quale, viceversa, il significato delle parole non consiste nel sapere che i parlanti hanno relativamente all’oggetto designato. In questo senso Saussure parla di funzione “diacritica” del linguaggio rispetto alla realtà extralinguistica e questo è pure quanto egli intendeva affermare quando dichiarava “che nel linguaggio non vi sono se non differenze”. 48Ciononostante, le sue idee si rivelarono importanti soprattutto riguardo al punto delle differenze semantiche tra le diverse lingue e,di conseguenza, alle differenze delle parole riguardo non solo al suono, ma anche al significato. Il pensiero di Locke costituì un importante punto di partenza per lo sviluppo della filosofia del linguaggio. In un primo momento si diffuse e si affermò in tutta Europa mentre, in prosieguo di tempo, si sviluppò con la scuola scozzese e, più tardi, con Bertrand Russel. Le sue idee vennero successivamente rielaborate anche dal filosofo americano Charles Sanders Peirce (1839-1914) e dal semiologo e filosofo statunitense behaviorista Charles W. Morris (1901-1979) il quale, a sua

48 Saussure F. de,Cours de linguistique générale, Paris, Payot, 1922, trad. it. Corso di linguistica generale, Roma, Laterza, 2011, pag. 145.

volta, le impiegò nell’istituzione di un nuovo e originale indirizzo della moderna linguistica denominato linguistica pragmatica.

Il secondo autore il cui pensiero è utile al presente lavoro è il filosofo francese Etienne Bonnot de Condillac (1714-1780) il quale afferma un pieno parallelismo tra linguaggio e conoscenza. L’ipotesi a sostegno della sua tesi muove dalla considerazione che vi sono operazioni elementari dello spirito come la sensazione, la percezione, la coscienza e l’attenzione che possono avere luogo senza richiedere l’uso di segni o di segni convenzionali, quindi senza l’esercizio del linguaggio poiché non derivano da azioni intenzionali, bensì da cause esterne. Viceversa, le operazioni intenzionali o logiche e lo sviluppo della riflessione per esistere necessitano di segni convenzionali, innanzitutto linguistici. Tali segni però non potrebbero sussistere senza l’esercizio della memoria la cui funzione fondamentale consiste proprio nel ricordare i segni delle idee che è quanto dire, collegare idee e segni. Linguaggio e memoria inoltre consentono all’uomo di distinguere, analizzare e rendere più astratte le idee e di conseguenza di sviluppare operazioni più complesse. La tesi sostenuta da Condillac, si può dedurre, è che il linguaggio svolge un ruolo centrale nel processo della conoscenza umana poiché, senza di esso, l’uomo non potrebbe “dare segni alle proprie idee” e, nondimeno, svolgere alcune operazioni superiori o passare delle operazioni concrete a quelle astratte, ossia dalla concretezza del sensibile alla astrattezza e generalità del segno. Il linguaggio è un’operazione primaria che segna il passaggio e il superamento del limite tra le operazioni inferiori dell’anima e quelle più elevate. In tale prospettiva diviene anche il principale tratto distintivo tra l’uomo e l’animale. Infine, nella sua opera sull’origine delle lingue, l’autore anticipa un’idea moderna che, detta con le parole di Coseriu, si traduce: “il genio della lingua non si manifesterebbe sin dall’inizio in una forma accessibile a tutti. Sono piuttosto i grandi scrittori che portano alla luce e dispiegano il genio della lingua”.49

Il terzo autore di cui si prende in considerazione il pensiero è Karl Wilhelm von Humboldt (1767-1835). Qual è il merito di Humboldt?

49 Coseriu E., Geschichte der Sprachphilosophie, Tubingen und Basel, A. Francke, 2003, trad. it. Storia della

Anzitutto l’approccio filosofico allo studio e alla comparazione delle lingue, in secondo luogo la stesura di un’opera chiave della filosofia del linguaggio contemporanea. Egli fu un filosofo altrettanto dedito alla pratica della ricerca linguistica quanto un linguista dotato di diretta conoscenza ed esperienza delle questioni propriamente filosofiche. Nonostante la complessità intrinseca alla sua trattazione, l’opera di Humboldt è presente fin dagli inizi degli sudi di linguistica italiani soprattutto grazie ai rinvii di Croce. Anche Pagliaro assegnò un ruolo centrale al pensiero di Humboldt nella sua visione del linguaggio(1930).La traduzione della principale opera di Humboldt “La diversità delle lingue”, in Italia avvenne però solo nel 1991. Humboldt considerò la lingua elemento prioritario nella formazione delle nazioni, delle culture, delle tradizioni e dello stesso essere umano. La definì “ manifestazione fenomenica dello spirito dei popoli”. Ora, per spiegare quanto detto più su, ci si ponga la seguente domanda: “In che senso il testo humboldtiano è filosofico e linguistico insieme?” Per rispondere ci aiutano le parole di Tullio de Mauro: “E’ filosofico in quanto si chiede quali siano le radici antropologiche sia della pluralità delle lingue e, in nesso con ciò, delle culture e delle nazioni, sia del loro divenire storico e, in nesso con ciò, della medesima storia o storicità degli esseri umani. E’ linguistico in quanto la risposta si articola attraverso una complessiva presa in carico del sapere positivo, specialistico … omissis … e sfocia nel progettare una linguistica che sappia osare di essere capace di risalire dallo studio accurato dei dettagli alla visione di insieme del carattere di ciascuna lingua, ciò che è possibile solo nel quadro di elaborata visone analitica delle caratteristiche comuni a tutte le lingue, dunque, diremmo oggi al linguaggio.” 50

Un altro importante aspetto del pensiero di Humboldt riguarda il modo in cui si può parlare del linguaggio. Egli riteneva di non poter definire il linguaggio a causa della dinamica essenza di quest’ultimo. Nella sua visione, definire il linguaggio secondo il paradigma scientifico significa oggettualizzarlo, nel senso di determinarlo interamente e al di là delle condizioni storiche ed individuali, ma questo non è possibile poiché il linguaggio ha essenza dinamica ed esiste solo nell’atto individuale del parlare. Così il paradigma scientifico, nella sua inadeguatezza, viene

superato in Humboldt dall’approccio filosofico secondo cui, ad essere messa in discussione non è soltanto la definizione, l’oggettualizzazione, ma la stessa domanda scientifica. Se, dunque, ogni definizione concettuale nega al linguaggio la sua compiuta essenza, Humboldt conclude che del linguaggio si può parlare solo metaforicamente. La metafora, infatti, per sua natura si presta ad una interpretazione aperta e rifugge da ogni formula fissa. La sua riflessione prosegue con la critica alla visione riduttiva del linguaggio in teso come semplice strumento di comunicazione, come insieme di segni convenzionali. Il linguaggio, egli afferma “è il mezzo con cui l’uomo forma a un tempo se e stesso e il mondo o, meglio, acquista autocoscienza separando da sé il mondo”51 che è quanto dire: sia l’uomo, sia il mondo si costituiscono linguisticamente. Ora, la funzione mediatrice del linguaggio tra Io e mondo rinvia alla determinazione del nesso tra pensiero e linguaggio. La tesi di Humboldt è la seguente: “il linguaggio è il necessario compimento del pensiero e il naturale sviluppo di una disposizione che caratterizza l’uomo in quanto tale”.52 Il linguaggio è “l’organo formativo del pensiero”53. Questo significa che il linguaggio produce il concetto e non designa oggetti già pensati, “verità già nota”, ma anche che tra intelletto e linguaggio esiste una relazione di inseparabilità e che tale alleanza risiede nella costituzione originaria della natura umana. Tuttavia, l’universalità linguistica ovvero la capacità di parola propria a tutti gli uomini deve, per potersi esplicare, individualizzarsi, operare nell’individualità. La manifestazione individuale del linguaggio, il quale assume pertanto infinite forme, si esprime attraverso le lingue storiche. Uno dei tratti distintivi e innovativi dell’opera di Humboldt è proprio questa: “il riconoscimento della lingua come condizione storica del pensiero” 54.

Occorre ora porsi però la seguente domanda: cosa si intende per concezione humboldtiana della diversità linguistica ?

Come si accennava in precedenza il mondo si costituisce nel linguaggio e il linguaggio si manifesta nelle lingue. La diversità delle lingue, tuttavia, non è data dalla diversità di suoni e segni, bensì da una “diversità di visioni del

51 Ibidem, pag. XXXVII. 52 Ibidem, pag. 206. 53 Ibidem, pag. 42. 54 Ibidem, pag. XLVII.

mondo”55. A ben guardare se ne deduce che non vi è un solo mondo, bensì una pluralità di mondi a sua volta corrispondente alla diversità di ciascuna lingua. Tale diversità non riguarda la sola designazione, ma anche i significati contenuti in ciascuna lingua. Ebbene, questa diversità di significati non costituirà un ostacolo alla reciproca comprensione, ben superiore a quello dato dalla diversità di segni e suoni e arginabile con la costituzione di una lingua universale ? Al contrario, Humboldt considera la diversità una grande ricchezza, tanto da auspicare il più possibile la moltiplicazione delle lingue poiché, nell’infinita circolarità tra universalità e individualità, ogni prospettiva individuale arricchisce la totalità del mondo, totalità dalla quale emerge lo spirito dell’umanità. Lo spazio della diversità di individualità si genera sempre all’interno “dell’unità“, della fondamentale unità del genere umano e dentro questo spazio va ricercata la via della comprensione. Come le lingue sono le forme empiriche del linguaggio, così tra nazione e lingua vi è quel nesso di inseparabilità, di “indissolubile alleanza” che, come si è visto poco sopra, unisce essere umano e linguaggio. L’essere umano, si diceva, è per natura parlante, capace di parola ovvero l’uomo è uomo in quanto possiede il linguaggio. La diversità linguistica è intesa da Humboldt come diversità delle visioni del mondo ed è proprio alla luce di questo assunto che filosofia e linguistica si incontrano per realizzare lo scopo ultimo dello studio del linguaggio. Assumendo una posizione alquanto critica verso il modello di una linearità evolutiva che non dà ragione dell’incontro della moltitudine di prospettive dischiuse da ogni lingua e non riporta alla totalità le diverse visioni del mondo, il progetto di studio del linguaggio non può avvenire se non da una accurata comparazione di tutte le innumerevoli varietà delle lingue. Non tanto, dunque, una storia del linguaggio e delle lingue, ma una storia del loro divenire, in sintesi una storia del pensiero e della creatività dell’intera umanità.

D’altro canto, ricorda più volte Humboldt, il linguaggio è “ per sua natura un ininterrotto processo di sviluppo sottoposto all’influsso della forza spirituale esercitata volta per volta dai parlanti”56.

55 Ibidem.

Il compito della ricerca sul linguaggio si riassume nell’indagare la totalità delle visioni del mondo e si concretizza nella sintesi linguistica. Giunti a questo punto rimane ancora da affrontare un aspetto importante del pensiero di Humboldt: l’intersoggettività del linguaggio.

Si è visto che il linguaggio è condizione storica del pensiero e che il pensiero viene oggettivato solo dal linguaggio. Si è ricordato anche che il linguaggio è “l’organo formativo del pensiero” e, quindi, la condizione della conoscenza che è quanto dire che senza la parola non si produce alcun concetto. Infine la funzione mediatrice del linguaggio congiunge l’Io e il mondo, ovvero l’essere umano al mondo.

Come avviene tutto ciò ?

La rappresentazione di un oggetto per divenire concetto deve oggettivarsi, ma il processo di oggettivazione si compie solo attraverso la mediazione del linguaggio e quest’ultimo prende forma nella parola.

“Nel linguaggio vi è una reciprocità, perché la parola viene restituita all’Io dal Tu che è realmente, a sua volta, un parlante …”57. Infatti l’Io di cui parla Humboldt non è un individuo astratto e trascendentale, bensì concreto e membro di una collettività che si definisce nella relazione con l’altro. Afferma l’autore che “il parlare è sempre un parlare-con-altri, il pensare è sempre un pensare-con-altri, lo stesso essere dell’uomo è in definitiva essere-con-altri. Il linguaggio è il fondamento stesso della socialità”.58

L’oggettivazione pertanto, in quanto linguistica, si compie nell’intersoggettività, nella reciprocità, nel dialogo. Nella risposta dell’altro non solo l’Io riconosce il mondo, l’altro da sé, ma anche se stesso.

A ben guardare la funzione del linguaggio si esplica oltre che nel rapporto soggetto-oggetto, come istanza mediatrice tra Io e mondo, anche e soprattutto nel rapporto soggetto-soggetto, secondo un modello dialogico della conoscenza. Allo stesso modo si può intendere il linguaggio non soltanto come una pòiesis, ma anche e in primo luogo come una praxis. Infatti, come si accennava in precedenza, l’oggettivazione del pensiero avviene soltanto mediante il linguaggio, più specificamente quando la parola torna, risuona all’Io proferita dall’altro, dal Tu. L’oggettivazione

57 Ibidem, pag. XLII. 58 Ibidem.

della soggettività si genera dunque nel dialogo, perché nel dialogo domanda e risposta si incontrano, l’Io e il Tu si riconoscono, gli oggetti prendono forma e l’insieme di questi oggetti costituisce il mondo ma, soprattutto, l’oggettività nel dialogo è sempre intersoggettiva. La dimensione dialogica del linguaggio, in definitiva, consente di superare la visione del mondo propria di ciascuna lingua. Per concludere l’analisi del pensiero di Humboldt si deve ricordare anche un aspetto molto attuale e peculiare della sua riflessione, ovvero la concezione dinamica della lingua. La dinamicità è la caratteristica distintiva della lingua poiché sottolinea che, quest’ultima, non può essere ridotta ad un sistema finito di regole fisse finalizzato alla produzione di un infinito numero di enunciati. Su questo punto appare chiara la diversa concezione della lingua e della sua creatività rispetto a Noam Chomsky, un altro significativo autore.

E’ importante qui sottolineare essenzialmente due concetti del pensiero di Humboldt: che forma e grammatica non vanno identificati e