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Saussurre riteneva che il termine linguaggio trovasse applicazione molto eterogenea, nonostante egli si riferisse con tale termine al solo sistema segnico verbale. Il campo si amplierebbe se si estendesse l’ambito della

90 Graffi G., Scalise S., Le lingue e il linguaggio, Bologna, il Mulino, 2002, pag. 19. 91 Volli U., Lezioni di filosofia della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2008., pag. XI.

semiosi verbale alla semiosi umana non verbale o, addirittura, a interpretanti di linguaggio privi di intenzionalità comunicativa.

Nel modo ordinario di esprimersi si usa spesso impropriamente il termine linguaggio per indicare in realtà un sistema di comunicazione (esempio linguaggio musicale, degli animali, gestuale, giornalistico, poetico, …). Dati i tanti possibili equivoci, quando il termine linguaggio viene impiegato per riferirsi unicamente al verbale, è bene specificarlo.

Il linguaggio verbale comprende sia quello scritto, sia quello orale o vocale, ovvero il parlare. A scendere ancora più in profondità, nell’analisi di A. Ponzio, il linguaggio prima di manifestarsi come verbale e di svolgere funzioni comunicative è, con le parole stesse di Sebeok, “una procedura modellizzante”, un “modello di costruzione del mondo”.92

La funzione specifica del linguaggio è quella di “significare, interpretare, di conferire senso”. Seguendo una tradizionale distinzione, accanto al linguaggio verbale il sistema segnico umano impiegato per comunicare,comprenderebbe anche segni e procedure riconducibili a norme e modi di comportamento non verbali come postura, gesti, versi definiti, appunto, linguaggio non verbale. Non tutti gli studiosi però concordano su questo punto. Bara e Tirassa (1999) considerano la distinzione tra verbale e non verbale imprecisa e contraddittoria. La principale critica concerne la collocazione nel non verbale di linguaggi strutturati come quello dei segni per sordomuti ASL, American Sign Language e LIS, Linguaggio Italiano dei Segni. Nella forma scritta il linguaggio dei segni afferisce al verbale, mentre nei gesti si riconduce al non verbale. Ancora più difficile risulta l’applicazione del criterio al linguaggio Braille, il linguaggio in rilievo per i ciechi, che è scritto, ma mediato da una via tattile.

Si torna ora a riflettere sul concetto di linguaggio e di lingua. In inglese la parola “language” significa sia lingua che linguaggio e così accade anche per la parola “sprache” in tedesco e “jazik” in russo. Viceversa, in francese e in italiano, esistono due termini distinti, rispettivamente “langue” e “langage” per la prima, “lingua” e “linguaggio” per la seconda.

Che valore assegnare a tale distinzione ?

Accade talora anche di impiegare in modo equivoco e scambiare il termine linguaggio per sistema di comunicazione. In realtà è importante rispettare la distinzione terminologica perché essa indica due diverse entità.

Si riserva pertanto il termine linguaggio alla semiosi (sistema di comunicazione) peculiare e comune a tutti gli esseri umani, mentre si parla di lingua per indicare la forma specifica che tale semiosi assume nelle varie comunità.

Un’ulteriore questione tuttora controversa sorge intorno alla universalità e alla relatività del linguaggio.La prima ipotesi è sostenuta soprattutto da N. Chomsky e considera unica e universale la struttura del linguaggio, mentre la seconda è formulata da Sapir e Worf e ritiene che il linguaggio dipenda dalla cultura di appartenenza.

Per quanto attiene alla lingua gli studiosi dimostrano che alcuni elementi, chiamati universali linguistici, sono comuni a tutte le lingue. Si consideri ad esempio il meccanismo della ricorsività e la dipendenza dalla struttura. Viceversa, una proprietà che distingue i vari gruppi di lingue riguarda l’ordine degli elementi principali della frase.

“Una lingua è un sistema articolato su più livelli, e dunque un “sistema di sistemi”. I livelli linguistici sono quello dei suoni (fonologia), quello delle parole (morfologia), quello delle frasi (sintassi) e quello dei significati (semantica). 93

Il linguaggio trova la sua espressione nella lingua, mentre la padronanza del linguaggio avviene ad opera della “funzione metalinguistica” (dal greco, metà, “sopra”). Parlante ed ascoltatore comunicano quando usano la stessa lingua, ovvero danno un senso condiviso alle cose e alle azioni. La lingua consente dunque di realizzare un atto di comunicazione, ma conoscere una lingua implica la conoscenza dei significati dei termini della lingua stessa, poiché ogni segno è dotato di un proprio significato.

Il segno linguistico non è riducibile al reale al quale rinvia (il referente) ma, come spiegano Ogden e Richards (1966), suppone e comprende dei rapporti di significazione. Per significazione si intende la relazione tra un simbolo (o segno) e la rappresentazione mentale (o concetto) di un oggetto o evento. Il rapporto tra significante e referente è indiretto e mediato dal significato.

La significazione “non è nelle parole” ma “nell’interiorità delle persone” le parole non significano in se stesse, ma agiscono al fine di far emergere la significazione, ovvero a dare significato al simbolo. La comunicazione avviene quando tra una o più persone vi è accordo di significazione.94

Il rapporti di significazione consentono di uscire dalla propria soggettività e di giungere alla rappresentazione simbolica della realtà. In senso più ampio la lingua rappresenta la cultura e i saperi del gruppo sociale di riferimento che la utilizza. E’ strettamente connessa alle esperienze extralinguistiche (ad esempio il vissuto, le percezioni, le emozioni) che l’uomo compie. Sistema linguistico e sistema extralinguistico realizzano la comunicazione integrandosi reciprocamente.

Quanto detto assegna valore alla tesi qui sostenuta secondo la quale si può parlare di linguaggio umano in termini di processo e di cambiamento. Il processo è una “realtà in corso” , “dinamica”, “interattiva”95 e dunque un’ incessante opera di costruzione e ricostruzione di una realtà (nel caso specifico, il linguaggio) con margini propri di competenza, libertà e creatività.

Questo concetto prende spunto dalla teoria della strutturazione elaborata dal sociologo inglese A. Gidddens (1979). I processi di strutturazione di sistemi sociali rappresentano i modi in cui i sistemi stessi vengono ininterrottamente prodotti e riprodotti “in processi interattivi”. Essi (i processi di strutturazione) dunque determinano la continuità o il mutamento delle strutture nel tempo e nello spazio. Il concetto di struttura sociale in Giddens, infatti, ha un carattere dualistico: se da un lato le strutture consentono di organizzare le condotte umane, nel contempo sono un risultato di quelle stesse condotte, secondo modelli ricorrenti di azione.

La teoria di Giddens è interessante perché tenta di superare la contrapposizione tra statica e dinamica presente nel dibattito sociologico. Giddens rifiuta l’idea di strutture “date e preesistenti ai soggetti” ed elabora il concetto di strutture come “insieme di risorse e di regole generative delle condotte umane”.

94 Padoan I., L’agire comunicativo, Roma, Armando, 2000, pagg.144-145. 95 Bonazzi G., Come studiare le organizzazioni, Bologna, il Mulino, 2006, pag. 19.

Anche la lingua parlata presenta questo carattere dualistico. Con le parole stesse di Giddens, si può intendere la lingua come “una struttura che si modifica continuamente attraverso l’uso ricorsivo che di essa fanno i soggetti che la parlano”. E ancora “… il significato delle parole cambia nel corso e proprio attraverso il loro uso”. 96

La teoria delle strutturazione ha aperto singolari prospettive di analisi sulle interazioni quotidiane. Lo studio dell’interazione fu al centro dell’opera del sociologo canadese E. Goffman (1922-1982), studioso meritevole di attenzione data la singolarità del quadro concettuale e il posto che la sua opera occupa nell’ambito della produzione scientifica.