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alla comunicazione

1.23 Lo spazio comunicativo come luogo linguistico

Lo spazio comunicativo, che può anche essere denominato ambiente discorsivo, è uno spazio che esiste in virtù della presenza dei discorsi dei suoi partecipanti.

E’ per definizione “uno spazio aperto ai discorsi, che ha bisogno dei discorsi per sussistere”.130

Ad esempio un Parlamento è un luogo in cui si discute di politica, una conferenza è un ambiente in cui si affrontano dei contenuti, ma anche una mostra d’arte può essere considerata un luogo di comunicazione, in questo caso visiva.

Significa che negli ambienti discorsivi chi ne ha titolo, poiché come si è visto esistono implicitamente dei limiti alla partecipazione e relative regolamentazioni come ad esempio i titoli o le competenze, è autorizzato a “intervenire”.

Chi prova ad intervenire esprime il desiderio di essere riconosciuto e diventa interlocutore dell’ambiente discorsivo. Le aree, che sono sinonimo di ambiente, discorsive, sono per definizione luoghi aperti in quanto strutturalmente disposte agli interventi dei partecipanti. Tuttavia, molte aree tendono, viceversa a “richiudersi” ovvero a delimitarsi rispetto ad un determinato e abituale luogo o tempo; oppure intorno a certi attori, argomenti, modalità. Questo accade anche alle conversazioni apparentemente non sottoposte a precise regolamentazioni, come ad esempio a quella tenuta da un gruppo di amici che si ritrova in un caffè. La chiusura assume particolare significato quando attiene ad ambiti discorsivi deliberativi (come i parlamenti) o scientifici (come i congressi). Ne conseguono, infatti, questioni molto importanti sul piano dei diritti polititi e

130 Ibidem, pag. 30.

di cittadinanza, nonché dell’inclusione o esclusione nell’area in cui si discute dell’interesse comune o del bene comune.

Si può attuare esclusione da un gruppo e dai suoi discorsi ma anche, semplicemente attraverso un discorso, mettere in atto strategie e concretamente cercare di includere gli altri. E’ però importante ricordare che, nonostante la tendenza a richiudersi un’area discorsiva non è mai completamente chiusa, poiché in ogni momento qualcuno può, almeno tentare di entrarvi, fosse anche soltanto per contrastarla o interromperla. “Questa possibilità deriva dal fatto che l’area discorsiva, in quanto tale, anche se i suoi confini sono chiusi da titoli speciali, è sempre un luogo aperto “tra” i partecipanti, in particolare un luogo aperto ”linguistico”, in cui ogni persona, in quanto capace di parlare, dunque per definizione competente, può cercare di penetrare – magari illegalmente – con la “lingua” .131

Il diritto di petizione illustra precisamente questo aspetto: l’essere umano, in quanto dotato di parola, può almeno tentare di rivolgersi ad altri per aprire con loro uno spazio discorsivo.

La possibilità di intervenire dovunque vi sia discorso si definisce “pretesa al discordo” e affonda le sue radici nella “comune appartenenza linguistica”. Essere umani “è avere linguaggio” che concretamente significa “poter parlare”, vedersi riconosciuto “un diritto alla parola” (Volli 2008).

La pretesa al discorso si riferisce ad ogni persona poiché ogni persona è capace di parlate. Aprire uno sazio discorsivo implica inoltre l’interpellazione ovvero “la chiamata al discorso che si rivolge a qualcuno”.132 Più precisamente,l’interpellazione è diretta verso una certa qualità di qualcuno e di conseguenza l’interlocutore si sente tenuto ad assumere il ruolo per il quale è stato chiamato al discorso. Rifiutare tale ruolo indica la volontà di uscire dalla dimensione discorsiva. Esempi di interpellazione possono essere una petizione politica, il modo virtuale in cui un conduttore parla ai telespettatori ma anche una semplice richiesta di informazioni o un testo. Tutti questi fatti rappresentano da un lato la chiamata al discorso, dall’altro la chiamata a essere letti. L’interpellazione è

131 Ibidem, pag. 31. 132 Ibidem.

sempre correlata alla “responsabilità” (Lévinas 1971), a partire dalla responsabilità di rispondere a chi formula un richiesta. Non adempiere alle responsabilità spesso deriva dal fatto di non accorgersi o di non prestare sufficiente attenzione alle domande poste. In Totalité et Infinì E.Lévinas, filosofo francese (1906-1995), afferma che “l’essenziale del linguaggio è l’interpellazione”. Lévinas descrive l’interpellazione come tratto fondamentale dell’essere umano, riflesso sia di un linguaggio esplicito, sia implicito, nei termini di una “presenza” che “parla” o “chiama”. “L’io è tenuto a rispondere”, anzi, “ciascun io è un altro”. In Lévinas il concetto di relazione vede “nell’unicità dell’io” “l’unico che possa rispondere ad altri”, esprimendo in questo modo sia “ la responsabilità per l’altro”, sia “l’impossibilità di sottrarvisi o di farsi sostituire”. Nel rapporto con l’altro il linguaggio è innanzi tutto “presentazione dell’altro”, il quale, prima di essere definito rispetto a qualche categorie o ruolo, ha senso in se stesso, in quanto altro. E’ una presenza dal senso assoluto che ha significato in sé, non in riferimento ad altro. La funzione presentativa del linguaggio (l’essenziale e preliminare presenza dell’altro) riguarda sia la comunicazione orale che scritta perché in entrambe vi è implicita interpellazione, ovvero richiesta della presenza dell’altro. La funzione preliminare del linguaggio che Lévinas attribuisce all’interpellazione può essere ricondotta alla funzione “fàtica” incontrata nelle pagine precedenti e descritta da Jakobson.

Nell’interpellazione, sempre presente in ogni discorso, il primo desiderio “è che l’altro sia presente”, presenza che il linguista e semiologo francese R. Barthes (1915-1980) spiega “non è rappresentazione, non è immagine, ma contatto“ (1980).

Analogamente il linguaggio interpella l’altro nella sua alterità. Momento centrale, questo, del linguaggio come comunicazione e che verrà ripreso nella parte dedicata al linguaggio come relazione.

Due considerazioni ancora vengono alla luce, tornando all’interpellazione: in primo luogo, sulla base della responsabilità è sempre possibile aprire uno spazio comunicativo comune, poiché comune ad ogni persona è la competenza e la capacità di parlare; in secondo luogo però, l’interpellazione si espone al rischio di definire, fissare, tematizzare l’interlocutore in una condizione precisa, in un ruolo, in un’immagine, in una parola, di reificare.

Viceversa, la responsabilità è condizione per l’attribuzione della libertà e della soggettività.

Avere linguaggio significa essere riconosciuto come soggetto in senso di poter entrare o uscire in qualunque discorso e interpellare chiunque. E’ una questione fondamentale della condizione umana. “Ogni area discorsiva, per chiusa che sia, è parte di un generale ambiente linguistico che coincide con la società umana. Espellere qualcuno dal linguaggio vuol dire escluderlo dall’umanità”.133 Significa che cercare di essere e l’essere inclusi in un’area discorsiva sia correla direttamente (è in relazione di reciprocità) all’essere umano in sé. La capacità di parlare è una caratteristica specifica dell’essere umano, ma non è soltanto uno strumento di comunicazione, bensì una produzione di senso ovvero la capacità di comprendere e organizzare il mondo. In questi termini il linguaggio è azione.