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CAPITOLOII: Il linguaggio come struttura

2.2 Il punto di vista semiotico

Il modello elementare della comunicazione prevede il trasferimento di un messaggio da un mittente a un destinatario. Le componenti di un messaggio, che nell’analisi semiotica sono definite segni, sono costruite e combinate secondo delle regole che nel loro insieme formano un codice. Per poter comunicare, mittente e destinatario devono condividere tali regole, mentre il messaggio codificato passa attraverso un canale fisico, materiale (fonico- uditivo ad esempio per le parole scambiate a voce, grafico uditivo per quelle scritte).

Il contesto, in questo modello di rappresentazione, assume un ruolo marginale.

Il linguista e semiologo Jakobson applicò questo stesso modello all’analisi del linguaggio osservando, tuttavia, che in ogni atto comunicativo accanto ai sei elementi sopraindicati, sono compresenti le funzioni che essi svolgono. Il modello elementare, infatti, ha rappresentato il punto di partenza degli studi sulla comunicazione, ma non può essere adottato nei codici comunicativi più complessi.

Da un punto di vista semiotico il segno costituisce l’unità minimale di ogni processo comunicativo e un messaggio si compone di segni. Ad esempio, nel linguaggio verbale sono segni le parole e le frasi; nelle lingue segnate sono i gesti delle mani, nell’aritmetica sono le espressioni numeriche. Tuttavia parlare di messaggi nella relazione tra essere umani è riduttivo, poiché il senso delle parole e i gesti rappresentano il punto di vista di ogni interlocutore. Mittente e destinatario potrebbero inoltre non condividere lo stesso codice, poiché il patrimonio linguistico di ciascuno include non solo accezioni comuni, ma anche sfumature e significati specifici che non fanno intendere tutti allo stesso modo. Significa che il modello elementare, lineare e unidirezionale, non è in grado di leggere e interpretare i segni (o segnali, che in questa sede si assumono come sinonimi), di giustificare il processo dell’interpretazione. Viceversa, la comunicazione tra esseri umani è un processo interattivo nel quale mittente e destinatario non si comprendono in

modo assoluto, bensì relativo a circostanze socialmente e individualmente determinate.

Il processo dell’interpretazione, non previsto nei codici comunicativi elementari, o di tipo meccanico, è invece sempre presente nei codici complessi e in particolare nel sistema di segni del linguaggio verbale.

Il segno stesso può essere inteso “come continuo processo interpretativo”180. Il segno indica una relazione tetradica: “si ha segno quando qualcosa sta per qualcos’altro per qualcuno, in certe circostanze”181.

In senso ampio, segno è ciò che serve “ad significandum”, a significare, rappresentare. Le parole, invece, sono segni in senso stretto poiché servono “solo” a significare.

Il modello elementare non descrive efficacemente la comunicazione perché non prevede, afferma U. Eco (1990), “la presenza di una mente che interpreti il messaggio”. In questo modo viene meno una caratteristica essenziale dei processi interattivi reali: la loro variabilità. Con il modello elementare non è possibile “indicare qualche altra cosa”, interpretare, conoscere le probabili intenzioni, ma soltanto attenersi rigidamente alle convenzioni fissate dal codice. Ad ogni messaggio corrisponde un solo segnale ed una direzione prestabilita, tanto per il mittente quanto per il destinatario.

“Nella comunicazione reale”, al contrario, osserva De Mauro (1982)“ l’operazione che porta all’individuazione del messaggio a partire dal segnale è assai più complessa e sempre esposta al rischio dell’incomprensione, ovvero a quella situazione in cui sorgente e destinatario del messaggio non concordano su quale senso attribuire ad un dato segnale”.

Nelle effettive interazioni comunicative l’interpretazione del messaggio è strettamente connessa al contesto, il quale implica la possibilità di conoscenze non contenute nel segnale stesso, di intenzioni implicite, come pure della menzogna. Il modello lineare non solo non ammette variazioni, poiché non precede la presenza di una mente, ma è anche un modello astratto che non si adatta alle specifiche caratteristiche dei diversi sistemi o contesti.

180 Gensini S. (a cura di), Manuale delle comunicazione, Roma, Carocci, 1999, pag. 25. 181 Ibidem, pag. 29.

Nella mente umana hanno luogo dei processi che la psicologia cognitiva chiama rappresentazioni mentali, in grado di riattivare oggetti o eventi esterni anche quando questi ultimi non sono più presenti. Le rappresentazioni mentali consentono ad esempio di progettare in anticipo delle azioni complesse.

In sintesi, per comunicare servono segni; i segni sono presenti nelle interazioni e rappresentano delle intenzioni.

Un aspetto importante della comunicazione consiste nella capacità di interpretare il comportamento dell’interlocutore e di riconoscerne le intenzioni, ma il processo interpretativo implica la presenza di una mente e quindi di sistemi complessi.

Alla luce delle considerazioni esposte F. Cimatti 182 descrive la comunicazione non come passaggio, come scambio, ma come “evento”, che comprende tutti coloro che vi partecipano; non ha una direzione prestabilita; si realizza in presenza di un contesto; per acquisire consapevolezza del contesto si usa uno o più segni; gli interlocutori agiscono di conseguenza; l’evento comunicativo, una volta avvenuto, genera un nuovo contesto. Quanto più limitati sono i segni a disposizione tra emittente e ricevente tanto maggiore è il rischio di incomprensione. Nelle comunicazioni reali il senso del segno non è inequivocabilmente stabilito dal codice. Il processo di comprensione richiede un’attività interpretativa che un solo un sistema dotato di mente, come già sopra più volte sottolineato, può mettere in atto. Nella comunicazione umana esistono diversi tipi di segni: della comunicazione non verbale corporea o vocale non linguistica; segni della comunicazione verbale che sono quelli delle lingue, sia foniche che grafiche e anche delle lingue dei segni gestuali dei sordi; i segni della comunicazione artificiale.

La maggior parte degli studiosi riconosce che il linguaggio umano presenta caratteristiche proprie rispetto agli altri sistemi di segni ed attribuisce un ruolo primario ai sistemi linguistici.

Eco (1975), ad esempio, ritiene che sul sistema della comunicazione verbale si fondino tutti gli altri sistemi di segni subordinando la comunicazione non verbale a quella verbale.

182 Ibidem, pag.86.

De Mauro (1982) distingue i linguaggi non verbali e le lingue e riconosce a queste ultime il primo posto nella classificazione semantica dei codici. Peirce (1980) distingue tre tipi di segni: indici, icone e simboli.

Indici sono i segni che si riferiscono ed hanno un rapporto diretto con un oggetto, come ad esempio i segni naturali e i sintomi fisici.

Le icone sono i segni che hanno un rapporto di somiglianza con l’oggetto, sia esso reale o immaginario, come ad esempio un dipinto.

I simboli sono i segni collegati al loro oggetto solo per convenzione, molto spesso in conseguenza di un’associazione mentale. La colomba è simbolo della pace, mentre in Dante, Ulisse diventa il simbolo del desiderio di conoscenza. Tuttavia, queste modalità sono solo aspetti dei segni, non classi disgiunte così da sostituirsi le une alle altre: un segno concreto può includere sia indice che simbolo.

La semiotica analizza inoltre l’importante concetto dell’intenzionalità. Esiste un’ampia classe di fatti o eventi immediatamente percepibili, che possono disvelare qualcosa di un fatto che invece immediatamente percepibile non è. Questi fatti sono denominati indizi. Non tutti gli indizi sono necessariamente prodotti per comunicare, come ad esempio gli indizi naturali e i sintomi medici. Viceversa, gli indizi elaborati intenzionalmente per comunicare, vengono definiti segni. Secondo alcuni autori la riuscita di un atto comunicativo si fonda sulla capacità del ricevente di capire che il mittente ha intenzioni comunicative. In questo modo ha luogo un’attività sociale basata sulla cooperazione di due o più soggetti e sul processo di conoscenza condivisa che realizza la condizione della comunicazione e del segno. “Sussiste tuttavia un’incertezza su ciò che l’altro ci vuole dire”183 anche se, nello stesso tempo, quando si sia faccia a faccia a chiarire questa incertezza può bastare un punto di riferimento. “Tutta la vita della comunicazione può essere letta come un continuo sforzo conoscitivo ed emotivo per ridurre questa incertezza, con l’ulteriore preoccupazione che l’altro voglia cooperare e non ci voglia, invece, ingannare. 184

Il linguaggio verbale ha una sua struttura profonda: la dimensione semiotica. La semiotica del linguaggio è un sistema vasto e complesso, è “l’estensione

183 Ibidem, pag. 102. 184 Ibidem.

del suo significato”, consiste in tutto ciò che va oltre il significato letterale di un testo, una parola o una frase.

Il senso letterale di un termine è detto denotazione, il senso non letterale connotazione.

L’estensione e la trasformazione del senso di una parola o di una frase all’interno di un testo si definisce retorica e ha natura intratestuale, poiché il superamento del significato letterale si realizza attraverso mezzi e strategie del testo (esempio i vocabolari). Tuttavia, nel discorso oltre al senso letterale e al senso esteso intratestuale, vi è una parte di senso determinata da situazioni esterne all’espressione linguistica: i fatti inerenti il testo e le intenzioni degli interlocutori che partecipano alla comunicazione.

La scelta delle estensioni del senso di una frase dipende da fattori esterni sia per chi parla, per la sua conoscenza dei fatti o per le sue finalità, sia per chi ascolta che deve interpretare il discorso. Infatti, l’estensione del senso implica la conoscenza di fatti e circostanze non “immediatamente linguistici” e la presenza di “aspettative, credenze, intenzioni” sia da parte di chi parla, quanto di chi ascolta (Gensini 2001).Proprio sulle aspettative, sulle credenze e sulle intenzioni agisce l’estensione di senso che le parole letteralmente non potrebbero esprimere.

L’estensione del senso esterna al testo si chiama pragmatica. L’estensione pragmatica del senso di un’espressione è sempre presente e diffusa in tutti i linguaggi, è una dimensione costitutiva della lingua parlata. La natura extratestuale delle estensioni pragmatiche non indica però una comunicazione disgiunta dal testo, bensì complementare. Le circostanze costituiscono senso esteso solo in presenza e attraverso un testo. La dimensione pragmatica di un testo è vastissima, non può essere trattata in modo sistematico, ma solo esemplificata. Rimane tuttavia il fatto che non si compie atto linguistico senza estensione pragmatica del senso. Significa che usare il linguaggio equivale a svolgere un’azione.

Il filosofo tedesco J. Habermas (1981) analizza e denomina questa prospettiva “agire comunicativo”, che è anche la sintesi del suo pensiero. La ragione, che possiamo intendere anche come la mente o il linguaggio, si esprime “nell’azione tra attori”, “nel dialogo tra soggetti” .

La dimensione semiotica del linguaggio si esprime nell’azione: quando si parla si compie un’azione poiché si inducono dei cambiamenti, si agisce attraverso i simboli.

“ Il discorso vive nell’azione e sempre produce azione intorno a sé: muove la glottide di chi articola la voce, la mano di chi scrive, l’udito di chi ascolta, gli occhi di chi legge; e insieme smuove i desideri, i timori, le speranze, i comportamenti di chi riceve un messaggio.185

J. Austin (1955), si è visto, ha chiamato atti illocutivi le forme del discorso che espongono chi parla alle conseguenze di quanto detto. Promettere, scommettere, implorare significa compiere un atto linguistico che contiene in sé l’azione che enuncia. Gli atti linguistici non coinvolgono solo chi li compie ma, in virtù della forza perlocutiva, raggiungono anche i destinatari perché attivano il processo di significazione. La semiotica del linguaggio verbale rappresenta la capacità di un‘espressione linguistica di comprendere nella significazione fatti che non sono linguistici, ma senza i quali le parole e le frasi (espressioni linguistiche) rimarrebbero soltanto successioni di suoni o di grafie, senza divenire discorso o testo. Accanto alla dimensione retorica (estensione del significato attraverso espressioni della stessa lingua), e a quella pragmatica (estensione del significato attraverso le circostanze), c’è infine una terza forma di estensione di senso del linguaggio verbale: l’estensione tra testi, determinata da altri linguaggi, che possono essere lingue o linguaggi non verbali ( disegni, simboli, pitture) dotati di codici e regole diversi. Questa capacità del discorso si definisce intertestualità. Il concetto richiama ed è connesso a quello di metasemiosi o funzione metalinguistica, ovvero la capacità del linguaggio di tradurre enunciati di un altro linguaggio. Nondimeno, intertestualità va oltre il significato di metalinguaggio poiché indica “che il senso del discorso nasce tra testo e testo, dall’attraversamento e mescolamento di testi eterogenei , che provengono da codici e appartengono a discorsi diversi”.186

Un atto linguistico è luogo di incontro di più linguaggi, anche differenti da quello verbale e il senso di un testo è sempre in relazione ad altri testi elaborati da forme di comunicazione diversamente codificate. Ecco che la

185 Ibidem, pag. 128. 186 Ibidem, pag.131.

semiotica può essere vista come l’estensione del senso nella cultura.E’ importante ricordare che i tre modi di estensione del significato, intratestuale o retorico, extratestuale o pragmatico, intertestuale o culturale, in ogni atto linguistico possono essere compresenti, ma non separati. Infine, se il senso di un’espressione verbale è dato dalle sue estensioni, come può essere definito il senso letterale? Per molto tempo si è pensato che il senso letterale di un’espressione coincidesse con l’oggetto cui l’espressione si riferisce, cercando il rapporto tra segno e realtà in una presunta essenza delle cose, secondo l’ipotesi referenzialista. Più complessa e più soddisfacente risulta però “la teoria dell’uso”, per la quale il significato anche letterale consiste nell’uso fatto da chi parla e non nelle cose cui fa riferimento.“Il senso letterale di un’espressione linguistica coincide con la norma, cioè con il valore di massima frequenza con cui l’espressione o un termine vengono usati dai parlanti”.187 In stretta attinenza al concetto di norma si pone quello di scarto o di divergenza. Le estensioni di senso possono essere considerate delle divergenze dal senso letterale. Oltre un certo limite, però, il sopravvento dell’estensione del senso porta all’annullamento della norma. Tale limite è dato dalla “comprensione dei parlanti “, ovvero dal punto in cui il discorso può essere ancora compreso. Un’estensione di senso priva di norma non è più un’estensione, ma un “non senso”, oppure un’estensione trasformata in nuova norma. Le norme, infatti, mutano nel tempo, tanto quelle del lessico quanto quelle della morfologia, della sintassi e della fonetica. Si formano allora altre norme e altre forme di senso letterale. Concludendo con Gensini (2001): “Così, mutando le norme, anche le lingue cambiano”.