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alla comunicazione

1.15 Le forme dell’interpretazione

La teoria dell’interpretazione affonda le sue radici in quei passi delle Sacre Scritture che difficilmente potevano essere compresi in senso letterale. 108

Successivamente si estese alla letteratura, alla filosofia e, infine, ai diversi ambiti del sapere in generale.

La questione è presente già in Platone e Aristotele e approda alla cultura latina con Cicerone.

Nel medioevo da Abelardo e San Tommaso viene intesa come spiegazione dei significati di testi di difficile intelligibilità.

Dopo un periodo di declino ritorna nella storia con il Romanticismo alla fine del Settecento e, in seguito, nel Novecento con gli studi analitici del linguaggio comune, come si è visto citando il pensiero del secondo Wittgenstein. Nel Novecento la filosofia dell’interpretazione o interpretativa prende il nome di ermeneutica. L’aspetto preminente della teoria interpretativa consiste nel ritenere che ogni dettaglio dei testi ispirati sia portatore di senso. Nel Cristianesimo, che molto si affida ai testi sacri tradotti, tale teoria valorizza soprattutto i dettagli di contenuto del testo. Nel mondo ebraico, fedele alla trasmissione letterale del testo sacro, l’interpretazione si applica anche ai dettagli del significante nel senso che tutto è considerato intenzionale e significativo.

A partire dall’Umanesimo, però, il grande libro del sapere rappresentato dalle Scritture viene sostituito dal “libro della natura”. Quest’ultimo va letto scientificamente, non arbitrariamente e così anche la nozione di interpretazione viene meno. Tuttavia, dagli inizi dell’Ottocento gli studi sulle lingue, di autori già citati nei capitoli precedenti, come Humboldt e il suo pensiero sulla relazione tra le lingue e l’identità o sulla vita sociale dei diversi popoli, tornano a richiamare la dimensione allegorica e metaforica decaduta alla fine del Medioevo. Inoltre, l’interesse per la traduzione di scritture e lingue lontane o scomparse riconduce alla necessità dell’interpretazione ai fini della comprensione.

La teoria dell’interpretazione si afferma, oltre che nel campo del linguaggio, anche in quello delle “scienze dello spirito”, oggi definite scienze umane. W. Dilthey (1883) e M.Heidegger (1927) ritengono che l’interpretazione si fondi sulla comprensione e per tanto, che l’interpretazione dipenda dalla comprensione.

In realtà per Heidegger il mondo è interpretabile proprio perché “è già sempre compreso”.

Interpretazione e comprensione si implicano a vicenda e costituiscono due dimensioni fondamentali dell’esistenza umana.

Questa visone filosofica non tiene conto però delle pratiche concrete dell’interpretazione che significa delle pratiche comunicative o, secondo un’espressione coniata da Wittgenstein nell’analisi dedicata al sistema delle regole e alle interpretazioni delle Ricerche filosofiche, alla “forma di vita” in cui la pratica comunicativa si inserisce.

In senso letterale interpretare significa sostanzialmente spiegare, tradurre in termini comprensibili, attribuire un senso preciso ad un atto o fatto. Attribuire senso implica nominare, dare un nome a qualcosa di determinato, che può essere descritto, ma che proprio per questo è già stato anche inteso. Non si interpreta qualcosa senza aver capito almeno in parte. Tutto ciò richiede impegno, applicazione, conoscenze, in molti casi anche un’autorizzazione, un ruolo riconoscenza, come afferma (1918) il sociologo e filosofo tedesco Max Weber (1864-1920).

La comprensione interpretativa non è un’azione immediata, un passaggio diretto dall’oggettivo al soggettivo come riteneva Heidegger. Interpretare significa attribuire un carattere significante “all’atto”, “al fatto”, o a un testo vero e proprio, ma significa anche esplicitare, estendere sempre più questo senso a qualcosa che in parte è già compreso, non all’assolutamente incomprensibile.

L’interpretazione avviene tra due testi, dove per testo si intende sia una traccia scritta o orale che un aspetto di realtà. L’interpretazione indica “un’equivalenza” tra un testo di partenza e uno di arrivo che costituisce l’esplicazione del primo: ma l’equivalenza deve essere giustificata e comprensibile, fondarsi su delle ragioni, spiegare il perché dei diversi passaggi intermedi di cui si compone.

In questo senso l’interpretazione si inserisce e si riferisce sempre ad uno specifico contesto socioculturale. Ed ancora, nel suo andare oltre la pura comprensione letterale, l’interpretazione rappresenta un aspetto importante del pensiero e con esso dei mezzi e dei fenomeni comunicativi.

Anche nella presente tesi il concetto di interpretazione è centrale perché rappresenta la ricerca di significato nella realtà ovverosia nel contesto

sociale o, sotto l’aspetto strettamente linguistico, nei testi scritti o orali. Naturalmente interpretazione e comprensione non devono essere confusi. L’interpretazione è sempre affidata alla comprensione, ma ogni comprensione non può essere considerata un’interpretazione. La comprensione comporta che, ad un certo punto, il messaggio venga afferrato, trattenuto, fatto proprio da chi lo riceve, senza elaborare ulteriori traduzioni, che a loro volta dovrebbero essere comprese o che potrebbero continuare all’infinito, per essere trasformato in uno “stato della mente”, che trovi collocazione nella memoria ampliando il sistema semantico della persona. E’ qualcosa che rimane nella mente, che viene unito alle conoscenze già presenti e ne diventa parte; è un significato che non necessita di ulteriori traduzioni ed è sempre appreso. Tale fenomeno è evidente in particolar modo nel linguaggio. Non deve essere dedotto, riformulato, è semplicemente “com-preso”.

In questo modo agisce anche la comunicazione. Comprendere che un saluto come il “ciao” è amichevole e informale passa dal livello verbale a quello mentale senza che qualcuno, o una parte della mente, lo spieghi. Ciò avviene a causa di una particolare condizione fisica dei neuroni definita stato neurofisiologico. La comprensione, attivando la capacità di fare proprio il messaggio senza ricorrere ad una spiegazione esplicita, consente di assimilare quanto viene detto. Austin (1962) denominava tale processo la “forza locutiva” di un atto linguistico.

La comprensione risulta più efficace e non necessita di interpretazione all’interno di una cultura condivisa, poiché la comunicazione, come enunciato parlando dei significato e significazione nel paragrafo dedicato al linguaggio e alle lingue, si fonda sulle capacità semantiche delle persone. Viceversa, un caso molto particolare nel quale l’interpretazione appare “necessaria” è quello dell’interpretazione giuridica. Scegliere di applicare o meno una norma, la stessa incapacità di interpretare i fatti o la indeterminabilità di un giudizio, comportano sempre un’interpretazione. Una riflessione analoga si pone riguardo anche ad altri tipi di interpretazione: la critica letteraria, la psicoanalisi, l’arte, la musica, la poesia, lo studio dei testi sacri.

Interessante è inoltre l’analisi della tradizionale distinzione semiotica fra espressione e contenuto. Nei “messaggi” ovvero nei testi estremamente semplici dal contenuto definito e intenzionalmente trasmessi con la minima possibilità di equivoci, la distinzione menzionata è compito facile. Molto più difficile è invece l’analisi di testi definiti, con le parole stesse di W. Benjamin (1955), “densi” in cui le innumerevoli interpretazioni non indicano la sostituzione di un loro oggetto o di una loro parte, bensì la generazione di nuovi significati; non modi diversi di interpretare la “stessa cosa”, ma processi interpretativi continuamente rinnovati e con ciò la realizzazione di nuovi segni e nuovi testi.