4. La seconda generazione di programmi complessi: la legge finanziaria del 1995
5.1 P ROGETTI PIC (URBAN I E URBAN II)
I programmi di derivazione comunitaria hanno radici profonde. Le prime esperienze erano stati i progetti pilota urbani, finanziati dai Fondi europei per lo sviluppo regionale (FESR) in due mandate: la prima tra il 1989 e il 1993, mentre la seconda tra il 1997 e il 1999.
La prima grande esperienza di programmi di rigenerazione urbana è stata quella di URBAN (in seguito definita URBAN I per distinguerla da URBAN II): è relativa al periodo dal 1994 al 1999 ed ha visto lo stanziamento di 900 milioni di euro in 118 centri d’Europa.
URBAN è un programma maggiormente improntato alla logica della rigenerazione: infatti pone nelle sue priorità il sostegno alle attività produttive, all’occupazione, al miglioramento dei servizi sociali.
Non bisogna infatti dimenticare che l’urbanistica non è di per sé una materia che rientri tra le competenze degli organi dell’Unione Europea. E infatti
127 Alcuni includono i regolamenti per l’uso dei beni comuni, sul modello del regolamento del Comune di Bologna, tra gli strumenti per la rigenerazione urbana. L’uso dei beni comuni comporta che beni comunali o comunque pubblici vengano affidati a privati cittadini ma più precisamente ad associazioni e soggetti del terzo settore perché se ne occupino, attraverso la stipula di un patto dal contenuto estremamente agile.
L’accostamento alla rigenerazione urbana pare però del tutto inappropriato. Questi regolamenti non hanno nulla a che fare con la rigenerazione urbana. Non comportano né modifiche sul piano edilizio né sul piano urbanistico. Possono fare parte di un progetto integrato in quanto aspetti e circostanze rilevanti, ma certamente non sono esempio di politiche di rigenerazione urbana.
LA TERZA GENERAZIONE DEI PROGRAMMI COMPLESSI: I PROGRAMMI DI RIGENERAZIONE URBANA
il passaggio logico è che lo scopo primario sia soprattutto la lotta al degrado. Analizzando le cause del degrado si è visto che il degrado assume forme peculiari nelle periferie o comunque nelle città, specialmente le città densamente abitate.
Attraverso la necessità di porre rimedio al degrado sociale, che diventa quindi degrado urbano, URBAN permette quindi alla Unione Europea di far propria una materia, quella urbanistica, che non rientrerebbe tra i suoi compiti. Ma questo approccio “obliquo” permette anche di far largo ad un nuovo punto di vista: quello cioè che lo sviluppo urbanistico non può permettersi di pretermettere le esigenze sociali.
La sinergia pubblico/privato è vista come una necessità e non una eventualità, come invece risulta da strumenti pur evoluti come i PRUSST. Oltre alla classica finanza di progetto, il privato può partecipare al progetto ricevendo dei regimi di aiuto, in particolare al terzo settore.
Fin da subito, il programma URBAN si è concentrato sul degrado e sul disagio sociale, avviando dei programmi di riqualificazione che puntassero però su aspetti di carattere urbanistico ed edilizio. L’idea di fondo era quella di concentrare su ambiti ben delimitati (in genere, un quartiere di una città). I progetti erano concepiti localmente. Affrontavano in maniera integrata problematiche sociali quali per esempio la formazione al lavoro e i servizi sociali, nel contempo sostenendo l’economia, attraverso il sostegno alle imprese locali, e l’ambiente, migliorando le infrastrutture128. Si dovrebbe parlare, quindi, di una
rigenerazione economica, sociale ed ambientale.
Il programma prevedeva di finanziare (attraverso il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale) città e aree urbane con popolazione superiore ai 100.000 abitanti ricadenti nelle c.d. aree di Obiettivo 1, vale a dire regioni in ritardo di sviluppo che necessitavano di adeguamenti economici e strutturali. In particolare, venivano scelti quartieri operai in zone di declino industriale, quartieri storici che però avevano visto bruscamente diminuire sia la popolazione che la presenza di attività produttive o commerciali, e quartieri
128 L.FORGIONE, op. cit., p. 40.
periferici in genere. Il programma era affidato alla regìa dei singoli paesi, e il programma italiano in particolare ha guardato al sostegno delle piccole imprese, alla promozione dell’occupazione locale, al potenziamento dei servizi sociali e al miglioramento delle infrastrutture, in genere coinvolgendo le risorse locali e con la partecipazione degli abitanti del quartiere129.
Un esempio di questo approccio può essere dato nella applicazione del Progetto Urban nella città di Palermo.
L’area di intervento ha riguardato il centro storico di Palermo130. È stato
finanziato con 20,7 milioni di euro, di cui il 34% con fondi UE, il 42% con fondi nazionali, il 18% con fondi comunali e il 6% con risorse private.
Il progetto palermitano ha seguito un approccio integrato, unendo interventi infrastrutturali ad azioni di sostegno sociale e culturale. Esso è stato composto di cinque misure:
1) Sostegno alle piccole imprese, mediante la promozione turistica locale, il sostegno alle strutture teatrali della zona e la rappresentazione di manifestazioni artistiche nel quartiere;
2) Promozione dell’occupazione, con corsi di formazione professionali ma anche musicali e turistici;
3) Potenziamento dell’offerta dei servizi sociali in particolare con l’assistenza ad anziani disabili e ai tossicodipendenti, nonché col recupero di spazi urbani degradati da un punto di vista igienico;
4) Miglioramento delle infrastrutture e dell’ambiente, valorizzando il patrimonio urbano, decongestionando il traffico, creando isole pedonali e parcheggi interrati e infine promuovendo il risparmio energetico
attraverso l’adozione di tecnologie sperimentali;
5) Promozione e divulgazione dei risultati ottenuti.
L’approccio seguito è affatto diverso da quello che è tipico dei programmi complessi di matrice italiana. Non pone infatti al centro i finanziamenti e gli
129 L.FORGIONE, op. cit., p. 41.
LA TERZA GENERAZIONE DEI PROGRAMMI COMPLESSI: I PROGRAMMI DI RIGENERAZIONE URBANA
appalti per le opere, bensì lo sviluppo sociale nel complesso. Gli appalti e le concessioni, che pure certamente non sono assenti, sono collocati all’interno di un progetto più vasto.
Oltre a Palermo, URBAN I ha riguardato anche altre 15 città: Bari, Cagliari, Catania, Catanzaro, Foggia, Genova, Lecce, Napoli, Roma, Reggio Calabria, Salerno, Siracusa, Trieste, Venezia. Come si nota subito, il 70% delle città scelte sono città del sud Italia.
La seconda fase, facendo tesoro degli errori incorsi in URBAN I è stata definita URBAN II ha riguardato il periodo dal 2000 al 2006 e sono stati stanziati complessivamente 700 milioni di euro. URBAN II ha fatto tesoro degli errori in cui era incorso URBAN I, tra cui la difficoltà nell’attivazione del Fondo sociale europeo, e una mancata definizione chiara della struttura di gestione da parte dei Comuni131. Oltre a questo, si è criticato il fatto che non erano state
individuate strategie di intervento per lo sviluppo locale sostenibile e che non era stato attivato lo strumento del partenariato in misura adeguata.
Il sistema dei fondi europei è stato snellito nella procedura. I Comuni sono stati responsabilizzati, dovendo individuare una autorità e organizzare una struttura di gestione locale col fine di attuare il programma. Inoltre, il Ministero smetteva di essere gestore in fase attuativa, e ogni Comune diventava responsabile davanti alla Commissione Europea del programma attuato e delle risorse impiegate.
URBAN II poi si è concentrata su città di dimensioni medio-piccole: in Italia, capoluoghi di provincia e con popolazione superiore ai 50.000 abitanti; o anche a popolazioni superiori ai 20.000 abitanti nel territorio provinciale di città metropolitane. Le città che hanno attinto da URBAN II infatti sono state Caserta, Crotone, Carrara, Genova, Misterbianco, Milano, Mola di Bari, Pescara, Taranto, Torino.
Il programma, come in parte anche URBAN I, aveva una doppia valenza: da un lato infatti il sostegno alle zone urbane in crisi, ma dall’altro la capacità di essere modello per buone pratiche.
Più nel dettaglio, le finalità espresse di URBAN II sono:
1. • il miglioramento delle condizioni di vita, ad esempio
tramite il restauro di edifici e la creazione di spazi verdi;
2. • la creazione di posti di lavoro a livello locale, ad esempio nell'ambiente, nella cultura e nei servizi per la popolazione;
3. • l'integrazione delle classi sociali svantaggiate nei sistemi educativo e formativo;
4. • lo sviluppo di sistemi di trasporto pubblico rispettosi
dell'ambiente;
5. • la creazione di sistemi per un'efficace gestione dell'energia e per una maggiore utilizzazione di energie rinnovabili;
6. • l'utilizzazione delle tecnologie dell'informazione132.
Il programma URBAN II ha erogato complessivamente più di 727 milioni di euro, di cui 114 in Italia. Il FESR copriva fino al 75% del costo del programma.
Un esempio di applicazione di URBAN II si può vedere nel caso milanese. L’intervento ha riguardato il quadrante nord-ovest133, dove risiedono 53 mila
persone, ossia circa il 4% della popolazione134. I problemi dell’area erano quelli
portati da una certa deindustrializzazione, ossia vuoti urbanistici. La zona vedeva povertà, esclusione sociale e un alto tasso di criminalità. L’attività si è concentrata su aspetti socio-economici, e in particolare lavorativi, puntando soprattutto sulla formazione oltre che sul miglioramento dell’ambiente fisico.
132 http://ec.europa.eu/regional_policy/archive/urban2/towns_prog_it.htm
133 e precisamente i quartieri di Garegnano, Musucco, Certosa, Villapizzone, Vialba, Quarto Oggiaro, Bovisasca e Bovisa. Alcuni di essi confinano con dei comuni limitrofi.
134 Dal sito URBAN II relativo a Milano: http://ec.europa.eu/regional_policy/it/atlas/programmes/2000-2006/european/urban-ii- milano
LA TERZA GENERAZIONE DEI PROGRAMMI COMPLESSI: I PROGRAMMI DI RIGENERAZIONE URBANA
Il grosso dei finanziamenti è andato però alle infrastrutture dei trasporti: 4,7 milioni sono stati impiegati per modernizzarle e introdurre una mobilità sostenibile.
Il programma è stato approvato nell’ottobre del 2004. È stato co- finanziato dal MIT che ha aggiunto ulteriori 27 milioni ai dieci stanziati dal FERS. L’autorità di gestione del progetto è stata la Direzione Centrale Ambiente e Mobilità del Comune di Milano, responsabile della regolarità, della gestione e soprattutto dell’attuazione del programma.
Non si può non menzionare il programma URBAN Italia, che può considerarsi, per usare un gergo del mondo dello spettacolo, uno “spin-off” di URBAN II. Infatti, con la legge finanziaria del 2001135 si è disposto che i primi
20 progetti non ammessi a URBAN II venissero finanziati dal ministero dei lavori pubblici fino a un massimo di 5,16 milioni di euro (10 miliardi di lire)136.
Ben 20 progetti sono stati così finanziati137.