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2. La rigenerazione urbana e l’urbanistica per varianti

2.3 L’ URBANISTICA PER VARIANTI

A questo punto è necessaria una disambiguazione.

Essa riguarda il concetto di rigenerazione urbana e il rapporto con i programmi complessi e con la stessa “urbanistica per progetti”, che molto distanzia il presente lavoro dalla visione di Mazzarelli. Essa infatti rappresenta un approdo dell’inizio degli anni 2000: ampiamente precedente la crisi dei mutui

sub-prime che avrebbe sconvolto nel 2007 l’economia immobiliare americana, e

con essa l’economia mondiale. La direzione sembrava quella di procedere attraverso progetti statali, finanziati però sempre meno dallo Stato e sempre più da bandi europei. Questi progetti sarebbero serviti da impulso per la rigenerazione urbana, finanziandoli in buona parte ma anche spianando la strada ad essi da un punto di vista procedurale.

Se però per Mazzarelli l’urbanistica per progetti, la rigenerazione urbana e i programmi complessi sostanzialmente convergono nel significato, ciò non pare (più) esatto, alla luce delle esperienze trascorse in questi quindici anni e soprattutto perché non corrisponde alla attuale idea di rigenerazione urbana da

un punto di vista procedurale.

I programmi complessi analizzati nel precedente capitolo infatti rappresentano il tentativo del governo centrale di operare una rigenerazione urbana procedendo per programmi-stralcio sia agli strumenti urbanistici locali che, talvolta, alle stesse leggi regionali e nazionali. Essi sono rilevanti da un punto di vista teorico, perché rappresentano la dimostrazione che la rigenerazione urbana non è una invenzione regionale e non è “clandestina” nel sistema dell’urbanistica nazionale, benché non sia contemplata nella legge urbanistica.

Assai più ardua appare l’utilità, al giorno d’oggi, di quegli stessi strumenti, pensati per funzionare nella misura in cui ricevevano episodici finanziamenti statali. Essendosi però di molto assottigliata quella possibilità, i programmi complessi, che pure rappresentano una tappa importante della storia della rigenerazione urbana in Italia, appaiono ora come degli scheletri giuridici, o meglio come robot inerti in attesa di una futura (ed eventuale) riattivazione.

Da un punto di vista procedurale, poi, la rigenerazione non passa più necessariamente attraverso accordi di programma e conferenze di servizi che, nell’ansia di compiacere il privato economico (magari faticosamente sedotto dall’ente pubblico) tagliano ogni curva amministrativa per giungere prima possibile al permesso di costruire.

La nuova e più attuale forma di rigenerazione urbana passa attraverso norme regionali, che non eliminano affatto la partecipazione del privato cittadino al procedimento di formazione del progetto di rigenerazione urbana, ma, viceversa, incoraggiano la maggiore partecipazione (cfr. par. 4).

Inoltre, il percorso procedurale non si basa su un accordo col privato normativamente ammesso che porta più o meno direttamente al permesso di costruire, ma diversamente (e più in linea, se vogliamo, con l’urbanistica tradizionale) segue il più tortuoso ma paradossalmente più solido sentiero della variante.

LA RIGENERAZIONE URBANA E L’URBANISTICA PER VARIANTI

catalizzatore attraverso cui la rigenerazione urbana diventa possibile.

Come detto, la variante investe oggi il piano operativo, cioè solo gli aspetti non strutturali del P.R.G. Il collegamento tra lo strumento della variante e la rigenerazione urbana è in genere più chiaramente espresso nelle leggi regionali, che immancabilmente dirigono il procedimento rigenerativo in questa direzione (v. par. 3).

Complessivamente, quindi, se ieri si poteva a buon diritto tenere a battesimo “l’urbanistica per progetti”, occorre probabilmente constatare la repentina estinzione di questa nuova specie. Se è vero, come molti affermano, che la rigenerazione urbana rappresenta il vero ponte verso la modernità del governo del territorio, si dovrebbe allora semmai inaugurare l’era della “urbanistica per varianti”. È di tutta evidenza che quella delle varianti è una acquisizione non recente, visto che, come detto, erano previste già nella originaria versione della legge urbanistica del ’42 e sono anche state assai ampiamente utilizzate in questi ultimi settant’anni. Si potrebbe però parlare di una nuova stagione della “urbanistica per varianti”, in quanto queste varianti sono il mezzo per attuare la rigenerazione urbana. Ciò però non fuga l’ironia di voler sfuggire all’urbanistica tradizionale con un mezzo, la variante appunto, che comunque ne garantisce il rispetto (sia pure formale).

Di estrema rilevanza è un principio di tendenziale coerenza nella approvazione delle varianti al disegno originale del PRG. Come afferma nettamente la Corte Costituzionale nella sentenza 408 del 1995, nel

procedimento di approvazione della variante settoriale che però costituisca una variante al PRG è necessario far confluire tutti gli interessi che a suo tempo furono presi in considerazione per adottare gli strumenti

urbanistici dai quali ci si vuole ora discostare.

Questa pronuncia dà sostanza ad un principio che è affermato dalla giurisprudenza amministrativa, in base al quale la variante anche parziale deve

comunque rispecchiare una scelta di carattere generale174. Pertanto, non si

può evitare di riproporre la fase della partecipazione, sia pure in forma virtuale, approvando la variante. È naturalmente possibile (e probabilmente inevitabile) discostarsi dal disegno originale, sacrificando magari interessi che sono ancora in essere, nell’approvare la variante. Tuttavia, si richiede una consapevolezza complessiva delle modifiche che si stanno apportando e degli effetti che esse apporteranno.

Tutto ciò naturalmente confluisce nella motivazione. L’onere di motivazione riguardante una variante è particolarmente gravoso. Quanto detto riguardo all’impatto della variante comporta una motivazione molto puntuale, e tanto più precisa quando vengono sacrificate posizioni giuridiche del privato che dal punto di vista statico (rilevanza degli interessi) o dinamico (per come si sono formati o manifestati, specie in relazione alla attività pregressa) sono di speciale rilevanza175. Si pensi ad una variante che viene meno ad una

convenzione di lottizzazione, sacrificando sia gli interessi statici (derivanti dal diritto di proprietà dei costruttori sul suolo) sia quelli in senso dinamico (ossia l’aspettativa legittima che si è creata avendo il Comune sottoscritto la convenzione di lottizzazione).

174 M. CARRÀ, W. GASPARRI, C. MARZUOLI (a cura di), Diritto per il governo del territorio, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 220.

3. Il procedimento in variante