2 IL ROMANZO D’APPENDICE IN TRE QUOTIDIANI POLITICI VERONESI:
2.4 Il romanzo d’appendice in Italia
2.4.4 I principali autori italiani di romanzi d’appendice
Restando nell‟ambito della produzione appendicistica nostrana, mi limito a citare brevemente i nomi più celebri del secondo Ottocento in quanto, come vedremo, nelle colonne dei fogli politici veronesi non c‟è spazio per scrittori popolari come Francesco Mastriani o Carolina Invernizio: “L‟Arena”, “L‟Adige” e “La Nuova Arena” nel periodo esaminato (1874-1895), alternano alle traduzioni dei feuilletons francesi romanzi d‟appendice italiani, ma scritti in buona parte da autori noti a livello locale, salvo poche eccezioni come i veronesi Gaetano Patuzzi ed Emilio Salgari, divenuti celebri anche oltre i confini veronesi e veneti.
La scrittrice di romanzi d‟appendice più letta è certamente la piemontese Invernizio49, l‟“onesta gallina della letteratura popolare” – secondo la celebre etichetta di Gramsci50 – divenuta famosa grazie alla ricchissima serie di sepolte vive, pazze, orfane, cieche che popolano i suoi oltre centoventi romanzi (dal 1876, anno del suo esordio, al 1916, anno della sua morte), ristampati anche molto recentemente51. Le sue eroine prendono il posto del superuomo di Sue e di Hugo, lottando strenuamente “non per modificare qualcosa, bensì per riportare quel qualcosa alla normalità, ovvero all‟ordine sociale prestabilito”52
dal momento che, afferma giustamente Edoardo Sanguineti, quando l‟anomalia diventa un racconto regolato e deferito al controllo letterario viene
48 G. Petronio, La letteratura sociale dell‟Ottocento, Trieste, Università degli Studi – Istituto di Filologia moderna, Anno Accademico 1966-67, I, p. 9.
49 Carolina Invernizio (Voghera 1851 – Cuneo 1916). Angela Bianchini precisa che la scrittrice nacque a Voghera nel 1851 – come attesta l‟atto di nascita del comune di Voghera, consegnato agli studiosi nel 1983 – e non nel 1858 come invece indicano ancora molti manuali. Cfr. A. Bianchini, La luce a gas e il
feuilleton, cit., p. 226. Tra i romanzi più famosi della Invernizio si annoverano Rina o l‟angelo delle Alpi
(1877); Anime di fango (1888); Il bacio di una morta (1889); La vendetta d‟una pazza (1894); La sepolta
viva (1896).
50 A. Gramsci, Letteratura popolare, cit., p. 139.
51 Tra le edizioni più recenti, Il bacio d'una morta (Torino, M. Valerio, 2010; e quella a cura di L. Scarlini e con prefazione di A. Arslan, Torino, Einaudi, 2008), I misteri delle soffitte (Torino, M. Valerio, 2010), La
trovatella di Milano (Torino, M. Valerio, 2010), Storie gialle, rosa e nere (a cura di R. Reim, Genova, De
Ferrari, 2007), Nero per signora (a cura di R. Reim e con prefazione di E. Sanguineti, Roma, Editori Riuniti, 2006), Il delitto di una madre (Milano, Lucchi, 1991), La vendetta d‟una pazza (a cura di R. Fedi, Milano, Mursia, 1990).
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R. Reim, Misteri, trine e velette, in Id., L‟angelo e la sirena: il doppio ruolo della donna nel romanzo
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addomesticata, dimostrando che l‟eccezione non fa che confermare la regola53. Con evidente intento didattico, la moralità piccolo borghese che accompagna i suoi romanzi indica negli affetti famigliari e nel circoscritto focolare domestico i confini naturali e gli ideali di vita.
Molto letti sono anche i vari romanzi d‟appendice scritti dagli scapigliati milanesi, in particolare Igino Ugo Tarchetti54. Ricordiamo inoltre i romanzi scandalistici di Evelina Cattermole55, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Contessa Lara, e quelli femministi di Matilde Serao56, la giornalista e scrittrice che eredita e rinnova la “napoletanità” di Mastriani con Il ventre di Napoli (1884). Il femminismo dei romanzi della Serao, come quello di Neera o di Marchesa Colombi, tende soprattutto a rivendicare la parità dei sessi, secondo un programma non contestatario ma che suscitò accese polemiche57.
A vent‟anni dall‟Unità, sul mercato letterario e culturale italiano è ancora possibile infatti distinguere tre aree di produzione: una milanese, una toscana e una torinese, accomunate pur nelle differenze dallo stretto connubio con il modello giornalistico; sia gli intellettuali che gli editori hanno ormai preso atto dell‟omogeneità del pubblico, che ha costretto entrambi a ridefinire i generi narrativi. Ragone58 sottolinea che negli anni Ottanta la produzione romanzesca risulta equamente divisa tra le traduzioni dei feuilletons francesi, gestiti da Sonzogno, e i romanzi italiani a sfondo descrittivo e giornalistico,
53 E. Sanguineti, L‟eccezione e la regola, prefazione a C. Invernizio, Nero per signora, a cura di R. Reim, Roma, Editori Riuniti, 1986.
54 Cfr. il saggio di G. Zaccaria, Tarchetti e il romanzo d‟appendice, in AA. VV., Igino Ugo Tarchetti e la
Scapigliatura: atti del Convegno, S. Salvatore Monferrato 1-3 ottobre 1976, Alessandria, Cassa di
Risparmio di Alessandria, 1979, pp. 138-147. 55
Evelina Cattermole Mancini (Firenze 1849 – 1896), giornalista, poetessa e autrice di novelle e romanzi (Il
romanzo della bambola, L‟innamorata) incentrati su una rappresentazione dell‟eros. Le sue opere
recentemente ristampate sono le Lettere ad Angelo de Gubernatis (a cura di C. Caporossi, Milano, Otto/Novecento, 2010), le Novelle toscane (a cura di C. Caporossi, Padova, Il Poligrafo, 2008), il romanzo
L' innamorata (a cura di R. Reim, Roma, Avagliano, 2007) e le Poesie (a cura di M. Amendolara, Roma,
Edizioni dell'Oleandro, 1998).
56 Matilde Serao (Patrasso, Grecia, 1856 – Napoli 1927). Fu la prima donna a fondare e a dirigere alcuni quotidiani, il “Corriere di Roma”, “Il Corriere di Napoli”, “Il Mattino” insieme al marito Edoardo Scarfoglio, e più tardi, da sola, “Il Giorno”. Scrisse circa quaranta volumi di romanzi e racconti. Cfr. tra le ultime ristampe Le amanti (Torino, M. Valerio, 2010), Fantasia (con introduzione di R. Reim, Milano, Otto/Novecento, 2010), L‟infedele (Torino, M. Valerio, 2010), Il paese di cuccagna (a cura di T. Gurrieri, Firenze, Barbes, 2010), Piccole anime (Napoli, Albus, 2010 e Roma, Avagliano, 2010), Vita e avventure di
Riccardo Joanna (con introduzione di F. Merlo, Milano, Selene, 2010), Il ventre di Napoli (edizione
integrale a cura di P. Bianchi, con uno scritto di G. Montesano, Roma, Avagliano, 2009).
57 Sulla narrativa femminile italiana dell‟Ottocento, v. G. Morandini, La voce che è in lei. Antologia della
narrativa femminile italiana tra „800 e „900, Milano, Bompiani, 1980. Una raccolta antologica specifica
sulle scrittrici venete è di A. Arslan (con A. Chemello e G. Pizzamiglio), Le stanze ritrovate: antologia di
scrittrici venete dal Quattrocento al Novecento, Venezia, Eidos, 1994.
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caratteristica invece di Treves. Tale ambigua situazione non può che alimentare le polemiche sulla dipendenza dai romanzi popolari francesi e le esigenze di promuovere una produzione originale italiana. Nel 1888 Emilio De marchi propone Il cappello del
prete come “romanzo d‟esperimento”, precisando di aver voluto “provare se sia proprio
necessario andar in Francia a prendere il romanzo detto d‟appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa”.
Benché la maggioranza dei romanzi italiani degli scrittori più noti di secondo Ottocento, da Tarchetti a Farina, da De Marchi a Verga, da Bersezio a Valera, esca per ragioni editoriali sotto forma d‟appendice, in realtà conserva solo in minima parte la struttura feuilletonistica. Si tratta talvolta, come nel caso dei romanzi di Verga Una
peccatrice (1865), Eva (1873) e Tigre reale (1873), di sperimentazioni narrative giovanili
che non incidono in alcun modo sull‟evoluzione storica del romanzo d‟appendice. Nell‟ultimo ventennio del secolo risulta insomma ancora molto difficile individuare con certezza le fasi della storia dell‟appendice in Italia: all‟interno della produzione letteraria confluiscono molteplici filoni narrativi, diversi fra loro, e tuttavia accomunati dalle influenze straniere, soprattutto francesi, e da tanti umori sociali e politici. È possibile ciononostante parlare di una vocazione all‟appendice che varia nelle regioni italiane secondo fattori spesso intrecciati, dalla situazione geografica al contesto politico e storico, dalla conformazione sociale alla condizione linguistica. Per esempio, il fenomeno del
feuilleton assume un rilievo particolare in Piemonte, dove viene preservato il modello
tradizionale ottocentesco, cioè storico e sociale, rinnovato però dall‟utilizzo del dialetto e da un filone militaristico connesso alla storia risorgimentale di questa regione.
La situazione risulta pressoché immutata a cavallo tra Ottocento e Novecento, epoca in cui non troviamo in Italia gli eroi popolari nati invece dai feuilletons francesi, come Rocambole. L‟appendice italiana appare ancorata alle strutture tradizionali e locali perché gli scambi culturali interregionali rimangono scarsi, o comunque limitati intorno a pochi centri culturali di interesse. Un caso particolare che è opportuno ricordare in questa sede si ha in Sicilia dove, dopo L‟ultimo borghese (1885)59 di Enrico Onufrio, vengono pubblicati i Beati Paoli (1909-10)60 che il deputato siciliano Luigi Natoli firma con il più esotico pseudonimo di William Galt. Si tratta, come ha precisato Umberto Eco61, di un
59 Pubblicato nel “Giornale di Sicilia” dal 4 gennaio 1885 al 1 maggio 1885, per 55 puntate. 60
Pubblicato anch‟esso nel “Giornale di Sicilia”, dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910, per 239 puntate. 61 U. Eco, Introduzione a L. Natoli, I Beati Paoli, Palermo, S. F. Flaccovio Editore, 1981.
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romanzo popolare e non storico in quanto, nonostante l‟ambientazione sia retrodatata, la struttura è tipica del feuilleton. Eco colloca infatti i Beati Paoli nel terzo periodo dell‟evoluzione storica proposta da Jean Tortel62
, quello neo-eroico. È naturalmente il ritardo culturale siciliano a giustificare il divario di mezzo secolo tra Sue e Natoli.
Contemporaneamente, dall‟altra parte della penisola, nella Trento austriaca, compare nelle appendici del giornale socialista “Il Popolo”, diretto da Cesare Battisti, un romanzo di tutt‟altro genere scritto dal ventiseienne Benito Mussolini, Claudia Particella,
l‟amante del Cardinale 63
, pubblicizzato come storico ma in realtà chiaramente propagandistico e anticlericale, seguendo un filone che, per ragioni storiche e politiche, in Italia come in Spagna occupa uno spazio e svolge una funzione che non riveste invece nella Francia contemporanea.
In qualsiasi genere si articoli, nell‟Italia di fine secolo l‟appendice è ormai un fatto industriale, come dimostra in maniera esplicita un‟inserzione pubblicata sul “Bollettino della Stampa italiana” del 1899:
È aperta a Milano, via Meravigli 10, un‟agenzia per la vendita dei romanzi d‟appendice. Autori europei: Leon Alphonse Daudet, Victor Hugo, Alfred De Musset, Jules Michelet, Louis Nacquet, Rattazzi de Rute, Conte Leon Tolstoi, Duchessa D‟Uzes. Disponiamo di 600 appendici di 82 scrittori. Precisare se interessano romanzi sanguinari, storici, di viaggi, educativi, letterari, patriottici. Alcuni titoli: “The Tale of the Ten” (Storia dei dieci pirati) di W. Clark Russel (400 colonne); “Le vittime” (175 colonne); “Nell‟abisso” (300 colonne).64
In queste righe colpisce l‟accostamento del tutto casuale di romanzieri veri e di romanzieri d‟appendice anche sconosciuti, poiché ciò che interessa è il numero delle colonne. Non è casuale invece che tale inserzione sia collocata nella Milano di Treves e Sonzogno, ossia in un sistema editoriale in cui la catena quotidiano-pubblicità-appendice è ormai un fatto assodato. Del resto, anche nelle quarte pagine dei due maggiori quotidiani politici veronesi “L‟Arena” e “L‟Adige” è frequente la compresenza di nomi di autori illustri e di altri pressoché ignoti, così come accade per le pubblicità alle maggiori riviste milanesi o a periodici locali di scarso interesse.
62 J. Tortel, Il Romanzo Popolare, cit.
63 Pubblicato tra il gennaio e il maggio 1910, per 56 puntate. Recentemente riedito a cura di Santi Corvaja, Trento, Reverdito, 1986.
64
A. Abruzzese e Ilena Panico, Giornale e giornalismo, in A. A. Rosa (a cura di), Letteratura Italiana, cit., vol. II, Produzione e consumo, pp. 775-779.
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Le opinioni dei letterati italiani contemporanei risultano piuttosto convergenti: Manzoni, pur non avendolo letto, rimprovera ai Misteri di Parigi di Sue di non portare a nulla di buono65; Edoardo Scarfoglio accusa la casa editrice Treves di essere un “maledetto laboratorio chimico, mezzo manzoniano e mezzo francese” che cerca attraverso “la sua bestiale opera di assorbimento” di produrre “generi facilmente e sicuramente vendibili”66
. Anche Luigi Capuana, nel 1885, osserva la difficoltà della narrativa italiana a individuare nuovi generi e nuovi codici che non siano d‟importazione. Pur concordando sull‟esistenza della crisi, gli scrittori le attribuiscono diverse cause: dai giornali che emarginano il letterario – secondo Capuana – ai letterati troppo lontani dal pubblico, come accusa De Amicis, o alla mancanza di una lingua italiana, nell‟opinione di Matilde Serao. Con un‟intuizione molto acuta, De Sanctis comprende invece l‟importanza sociale e politica della letteratura inaugurata dai Misteri di Parigi, proponendo, per uscire dai vicoli ciechi verso cui è avviato il romanzo italiano dopo I Promessi Sposi, la strada del romanzo sociale contemporaneo volto a obiettivi di pubblica utilità.
Oltre che nella scarsità e nella modestia dei romanzi italiani, il ritardo del nostro Paese si manifesta nell‟assenza di quello che Tortel ha definito il primo periodo – quello romantico-eroico, byroniano – del romanzo popolare, il quale in Italia nasce dunque già borghese, senza legami con il romanzo gotico, ricollegandosi al feuilleton di puro intrigo di Ponson du Terrail o di Montépin, più che a Sue.
Appare perciò corretta l‟affermazione di Carlo Lorenzini secondo la quale “Firenze […] non ha misteri”67
: il ricco filone di misteri toscani, generalmente pubblicati da un editore popolare quale il Salani, risulta il frutto di una speculazione editoriale che ripropone l‟armamentario del feuilleton utilizzandone soprattutto la patetica vena sentimentale. Scrive infatti il futuro autore di Pinocchio nei Misteri di Firenze:
“Delle mura della nostra città si potrebbe dire quel che dicono gli scrittori di tragedie delle mura di Corte, cioè, che hanno degli occhi per vedere e degli orecchi per ascoltare. […] Così la cronaca pubblica è informata di tutto e di tutti. Due terzi delle cose si sanno: l‟altro terzo si tira a indovinare, e, occorrendo, s‟inventa. Oh! Andatemi adesso a sostenere che anche Firenze ha i suoi misteri”.
65 Cfr. G. Borri, I colloqui col Manzoni, per la prima volta pubblicati da Ezio Flori, con uno studio introduttivo e note, Bologna, Zanichelli, 1929, pp. 159-160.
66
G. Ragone, La letteratura e il consumo, cit., pp. 733-736.
111 “E se ne siete convinto, come mai vi è saltato in capo il grillo di mettere il
titolo di Misteri, al vostro racconto?”
“Perché… perché… Domandatelo al mio Editore”. “Cosa c‟entra l‟Editore?”
“L‟Editore c‟entra benissimo. Esso credeva fermamente che questo titolo dovesse portar fortuna al lavoro”.
“Eccone un‟altra delle belle!”
“Non ridete, perché ancor‟io credo in buona fede che, ai tempi che corrono, i nomi facciano molte volte le cose. Un bel nome, un bel titolo è sempre una certa garanzia per l‟esito dell‟operazione […]”.
“Tutto sta bene: dico il vero però non so capire come mai sia lecito di porre il titolo di Misteri a un libro che non si occupa di misteri”.
“Mio Dio! E quando mai fu necessario che il nome corrispondesse esattamente alla cosa? […]”
“Ma dunque, in grazia, si può egli sapere che cosa armeggiate colle vostre scene sociali?”
“Vi dirò: la mia vocazione mi ha chiamato fin da piccolo al Romanzo Sociale. Più volte ho tentato di riempire questa lacuna della italiana letteratura, ma dopo lungo stillarmi il cervello, mi son dovuto convincere che Firenze non era terreno da romanzi. Accingetevi, per esempio, a fare un racconto sociale contemporaneo: credete voi che sia facile di mettere la scena principale nella nostra città? No! – Se voi lo fate, scommetto cento contr‟uno, che due terzi dei vostri lettori perderanno l‟illusione del verosimile. Prendetemi i Misteri di
Parigi, di Eugenio Sue. Leggendo questo racconto, voi credete di assistere a
dei fatti veri, a degli avvenimenti che sembrano storici, perché il romanziere, all‟occorrenza, vi dice il nome della strada, il numero degli usci, il piano della casa, l‟insegna della taverna: e questi recapiti servono mirabilmente a dare un colore locale alla scena e una tinta di verità storica al fatto che raccontate. E ciò si capisce e si ammette facilmente: perché nei grandi centri, come Londra e Parigi, dove un operaio può comodamente morir di fame, o d‟asfissia, senza che l‟inquilino che abita il piano di sotto o di sopra, ne sappia nulla, tutto diventa probabile, tutto si rende possibile. Ma qui fra noi la cosa è diversa. Se mettete la scena in Firenze, e se gli avvenimenti che vi disponete a riferire, hanno qualcosa dello straordinario, il lettore fiorentino si pone subito in guardia, come se vogliate vendergli lucciole per lanterne, e dopo poche pagine, chiude il vostro libro con un‟ironica scrollatina di testa. Come mai – dice egli fra sé – possono essere accadute tutte queste cose, senza che io n‟abbia avuto il minimo cenno? […]”
“Non dite male!”
“Anzi dico bene. Difatti, quando voi leggete nei romanzi francesi il nome di una strada o il numero di una porta, quel numero e quel nome per gli stessi abitanti di Parigi rappresentano semplicemente due punti topografici qualunque, dove possono benissimo essere accaduti i fatti che il romanziere racconta. Ma quando in un romanzo contemporaneo fiorentino vi saltasse l‟estro di notare una strada o una porta di casa, trovereste cento, trecento, mille, che sarebbero in caso di dirvi con tutta esattezza chi abita il quartiere da voi designato e posto in scena, e il nome, cognome, professione… e moralità
112 di tutti gli inquilini che successivamente vi presero domicilio, da quarant‟anni
a questa parte […].”
“Tutti ottimi discorsi: ma rispondetemi un poco a tuono: se i vostri Misteri non sono misteri […]; se il vostro romanzo non è un romanzo, perché il romanzo sociale, a detta vostra, non può metter erba a Firenze; se il titolo non corrisponde al libro e se il libro non corrisponde al titolo del frontespizio, si potrebbe almeno sapere, così a quattr‟occhi, cosa intendete fare con questo lavoro?”
“Questo è un mistero: dirò di più: questo è il solo mistero che si trovi realmente nei miei Misteri di Firenze”.68