2 IL ROMANZO D’APPENDICE IN TRE QUOTIDIANI POLITICI VERONESI:
2.3 La ricezione del feuilleton
Il concetto di “popolo” costituisce per tutto il XIX secolo un punto di riferimento essenziale per comprendere il rapporto fra lo scrittore e il suo pubblico. Il romanzo d‟appendice è popolare sia per l‟enorme diffusione raggiunta, sia perché il concetto di “popolo” appare costitutivo delle varie ideologie sottese ai romanzi d‟appendice. Come osserva Giuseppe Zaccaria, risulta però evidente l‟ambiguità connessa a tale nozione:
il “popolo” può essere concepito come un modello di comportamento, che si identifica nelle direttive politiche della borghesia, alle quali gli strati socialmente arretrati devono essere ricondotti; oppure, nel significato più ampio e generico che si suole attribuire al termine, privilegiando proprio i ceti subalterni, esso risulta una entità assoluta e astratta. In questo senso, non solo non si tiene conto di una oggettiva realtà dei rapporti economici, ma le differenze di classe vengono risolte, con una sorta di operazione indolore, in chiave di “idillio sociale”8
.
All‟interno della narrativa d‟appendice nasce così un filone populistico in cui il “popolo” viene ritenuto, in senso mitico, il depositario dei valori autentici necessari per una palingenesi morale della nazione. Ad esempio, possiamo ricordare l‟intenzione di “elevare la plebe a grado e dignità di popolo” nel romanzo d‟ispirazione sociale La plebe (pubblicato nella “Gazzetta Piemontese” nel 1867-69) dello scrittore piemontese Vittorio Bersezio, cifra di un moralismo paternalistico che si inserisce nella tradizione sabauda. Se Bersezio assegna alla classe dirigente il compito di favorire l‟emancipazione morale e sociale del proletariato, molto più avanzato si presenta il socialismo di Paolo Valera, giornalista e scrittore formatosi negli ambienti della Scapigliatura democratica, che con i suoi romanzi (come La folla, 1901) promuove una letteratura di inchiesta e di denuncia delle condizioni degli strati sociali più bassi, pur non giungendo a superare la fase di un riformismo guidato dalla borghesia.
La straordinaria fortuna incontrata dal romanzo d‟appendice ha una duplice motivazione. La prima è estrinseca, connessa all‟esigenza di una clientela continuativa da parte del giornale che lo pubblica. Nelle famiglie di estrazione sociale medio-bassa la scelta del periodico compete spesso alla donna, che a questo scopo valuta il romanzo più interessante: per molti lettori il feuilleton è l‟equivalente della letteratura per le classi
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G. Zaccaria (a cura di), Il romanzo d'appendice: aspetti della narrativa 'popolare' nei secoli XIX e XX, Torino, Paravia, 1977, pp. 36-37.
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colte, perciò conoscere un dato romanzo diventa una sorta di “dovere mondano” da condividere nei luoghi di conversazione.
Nonostante la sua potenziale redditività, in Italia tuttavia non nasce una letteratura “nazionale” d‟appendice perché il termine “nazionale” non coincide con “popolare”, essendo gli intellettuali lontani dal popolo e legati a una tradizione di casta. A ciò si deve aggiungere il fatto che il pubblico italiano legge di preferenza gli scrittori stranieri in quanto ne subisce la supremazia letteraria e morale, giungendo a sentire con essi un legame non percepito, al contrario, con l‟élite degli studiosi italiani che del popolo non conosce né i bisogni né le aspirazioni. Si tratta naturalmente di un problema che risale alla fondazione dello Stato italiano, e che si riflette nella questione linguistica, a sua volta specchio della disunità intellettuale e morale della nazione.
Se la critica di derivazione crociana ignora completamente il fenomeno del
feuilleton, Gramsci è il primo ad affrontare la questione in maniera problematica nei Quaderni del carcere (1948-51), avviando una riflessione che è potuta divenire compiuta
e sistematica. Sulla base di uno storicismo marxista che tiene conto soprattutto dei fattori politico-culturali, il fondatore dell‟“Unità” intende il ruolo rivestito dalla narrativa d‟appendice per il pensiero politico italiano:
I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori dell‟intellettualità e della coscienza morale del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno “umanesimo” capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti, com‟era necessario dal punto di vista nazionale, per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino, astratto, troppo individualistico e di casta. La letteratura popolare francese, che è la più diffusa in Italia, rappresenta, invece, in maggiore o minor grado, in un modo che può essere più o meno simpatico, questo moderno umanesimo, questo laicismo a suo modo moderno: lo rappresentarono il Guerrazzi, il Mastriani, e gli altri pochi scrittori paesani popolari9.
Il romanzo d‟appendice può costituire, insomma, un‟occasione concreta per sostenere il progresso politico e culturale del lettore. Eppure la letteratura italiana resta anche nelle sue manifestazioni più basse troppo accademica ed elitaria: nessuna delle tipologie del romanzo d‟appendice francese (sentimentale, storico, a carattere ideologico- politico, di puro intrigo, poliziesco, scientifico d‟avventure) conta in Italia numerosi
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scrittori di un certo rilievo a livello commerciale, più che letterario, anche se diversi romanzi soprattutto storici ambientano le loro vicende nelle città della penisola. Molti scrittori sono spesso costretti, paradossalmente, a scegliere ambientazioni straniere per adattarsi al gusto popolare italiano, che si è plasmato sui romanzi storici particolarmente francesi.
In uno dei Quaderni del carcere Gramsci interpreta in chiave psicanalitica la ragione intrinseca dell‟immensa popolarità del feuilleton:
Il romanzo d‟appendice sostituisce (e favorisce nel tempo stesso), il fantasticare dell‟uomo del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti. Si può vedere ciò che sostengono Freud e gli psicanalisti sul sognare ad occhi aperti. In questo caso si può dire che nel popolo il fantasticare è dipendente dal “complesso di inferiorità” (sociale) che determina lunghe fantasticherie sull‟idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati, ecc. Nel
Conte di Montecristo ci sono tutti gli elementi per cullare queste fantasticherie
e per quindi propinare un narcotico che attutisca il senso del male, ecc.10
Per il popolo, ma anche per la piccola borghesia e per i piccoli intellettuali, sono gli appendicisti i veri scrittori, nei confronti dei quali prova un sentimento di ammirazione e di gratitudine poiché consentono di fantasticare un‟utopistica uguaglianza sociale che distolga dal pensiero delle meschinità e delle quotidiane miserie della vita reale. Ai lettori del feuilleton non importa tuttavia il nome dell‟autore quanto la personalità del protagonista che, una volta accolto nella dimensione intellettuale popolare, acquista l‟autorevolezza del personaggio storico. Si spiega così lo straordinario successo delle continuazioni di alcuni romanzi, ansiosamente attese da migliaia di uomini e donne, dagli artigiani ai commercianti includendo persino le più alte cariche politiche.
Da ciò deriva inoltre, secondo Gramsci, la concezione del Superuomo niciano che egli riconduce agli eroi di Dumas padre:
Occorre ricordare che tale letteratura [d‟appendice], oggi degradata alle portinerie e ai sottoscala, è stata molto diffusa tra gli intellettuali, almeno fino al 1870, come oggi il così detto romanzo “giallo”. In ogni modo pare si possa affermare che molta sedicente “superumanità” nicciana ha solo come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di Dumas. Il tipo più compiutamente rappresentato dal Dumas in Montecristo trova, in altri romanzi dello stesso autore, numerose repliche: esso è da identificare, per esempio, nell‟Athos dei Tre moschettieri, in Giuseppe Balsamo e forse anche
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occorre porsi in guardia: anche nel Balzac c‟è molto del romanzo d‟appendice. Vautrin è anch‟egli, a suo modo, un superuomo11
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Se da un lato il feuilleton presenta dunque un repertorio di denunce sulle terribili contraddizioni sociali, dall‟altro offre un catalogo altrettanto vasto di soluzioni consolatorie, irrealizzabili nel mondo reale e dunque affidate a un Superuomo che diventa elemento topico del periodo d‟oro del romanzo d‟appendice, quello delle rivoluzioni borghesi di metà Ottocento. Il romanzo popolare è socialdemocratico-paternalista non solo a livello ideologico, ma anche strutturale perché esso deve aprire crisi che possano essere risolte, come prevede l‟antico modello teorizzato da Aristotele intrecciando elementi della Poetica con altri della Retorica.
Benché applicata al genere tragico, questa prima teoria di costruzione dell‟intreccio prevedeva la presenza di un personaggio con cui il lettore potesse identificarsi, ricco sia di virtù che di difetti, costretto ad affrontare mille peripezie che lo conducessero dalla felicità all‟infelicità e viceversa. Solo al raggiungimento del punto di massima tensione del lettore doveva essere introdotto un elemento catartico e conclusivo della vicenda, la cui accettabilità era direttamente proporzionale alla sua verosimiglianza, ossia alla sua aderenza a un sistema di aspettative condivise dal pubblico.
La dinamica rottura-pace conferisce al romanzo popolare una duplice valenza di repertorio di denuncia delle miserie sociali e, nel contempo, di catalogo di soluzioni consolatorie: non si può raccontare una piaga sociale che non venga sanata gratificando il lettore. Pertanto la conclusione, solo apparentemente imprevedibile, giunge proprio come egli si aspetta e desidera. Il romanzo “popolare” è tale non perché sia comprensibile al popolo, ma perché l‟autore dell‟intreccio conosce le aspettative del suo pubblico: come è stato dimostrato, l‟immenso successo dei Misteri di Parigi di Sue, scaturisce anche dal fittissimo scambio epistolare intrattenuto sin dall‟inizio tra l‟autore e i suoi lettori, che induce progressivamente il dandy Sue a modificare il proprio orientamento ideologico per abbracciare la causa socialista. Insomma, un romanzo iniziato malvolentieri, per sbigottire Parigi non con i suoi abiti e i suoi cavalli ma predicando la Religione del
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Popolo12, diventa infine “un libro del popolo, perché il popolo lo riconosce per suo, e il suo enorme successo popolare ce lo impone come tale”13
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A questo proposito Jean Tortel ricorda che “L‟espressione romanzo popolare non è stata trovata […] che verso il 1865 e come titolo di una collezione. È un termine pubblicitario […] che non designa una fonte ma richiama una clientela” 14
. La “popolarità” dei Misteri di Parigi deriva dunque dalla sua ambientazione contemporanea che, avulsa dall‟atmosfera ormai asfittica del romanzo storico, diviene portavoce delle nuove istanze sociali. E indipendentemente dalle accuse di Marx o di Belinskij a Sue, “le idee, anche se sono sbagliate, una volta diffuse marciano da sole. Non si sa mai esattamente dove arrivino”15
. Più in generale, appare possibile spiegare la fortuna dei
feuilletons al di fuori dell‟ambiente che li ha creati con le parole di Gramsci:
quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, [gli eroi del
feuilleton] si staccano dalla loro origine letteraria e acquistano la validità del personaggio storico […]. Non bisogna intendere personaggio storico in senso
letterale, sebbene anche questo avvenga […], ma in un modo traslato, per comprendere che il mondo fantastico acquista nella vita intellettuale popolare una concretezza fiabesca particolare16.
Avvalendosi di una combinatoria di luoghi topici di origine ancestrale – si pensi a Propp –, il romanzo d‟appendice presenta personaggi stereotipati e refrattari a ogni penetrazione psicologica, come quelli delle favole, per procurare al lettore il piacere del già noto e della conclusione consolatoria, esonerandolo da ogni tensione problematica. D‟Artagnan viene così nominato moschettiere, mentre muore avvelenata Costanza Bonacieux, la guardarobiera della regina: ben diversa è la conclusione deliberatamente inconcludente delle vicende di Julien Sorel e di madame de Rênal, che non consente al lettore nemmeno di capire con quale dei due protagonisti preferisca identificarsi. Anche Giorgio Manganelli sottolinea come il romanzo di Dumas sia solo apparentemente un capolavoro, e ad una attenta analisi riveli la funzione di consumo di storia tanto
12 Cfr. U. Eco, Eugène Sue : il socialismo e la consolazione, in Id., Il Superuomo di massa: studi sul
romanzo popolare, (s.l.), Cooperativa scrittori, 1976, p. 49.
13 L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitié du XIXe
siècle, Paris, Plon, 1958, trad. it., Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale,
Bari, Laterza, 1976, p. 524.
14 J. Tortel, Il romanzo popolare, in N. Arnaud, F. Lacassin, J. Tortel (a cura di), La paraletteratura, con un contributo di Michele Rak per l‟edizione italiana, Napoli, Liguori, 1977, p. 71.
15 U. Eco, Eugène Sue: il socialismo e la consolazione, cit., p. 56. 16
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell‟Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, II, p. 1013.
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accattivante quanto “sfrontatamente improbabile”. Dumas commuove raramente il lettore, mai lo coinvolge, ma costantemente lo provoca per poi eluderlo:
Le domande ingenue ed arcaiche: che sta per succedere? che accadrà dopo? ci spronano di capitolo in capitolo; e intanto ci consola la coscienza dell‟artificio, della recitazione, del ben lavorato inganno.
Ma quando il libro è finito, e i personaggi, i vivi e i morti, si sono congedati dai nostri applausi, abbiamo la subitanea sensazione che qualcosa si corrompa e disfaccia; di un libro corposo ed aggressivo resta un vortice di ceneri. A questo punto, possiamo porci la domanda: che cosa, esattamente, non resta nelle nostre menti, a lettura conclusa? Non resta la geometria, la disposizione, astratta, il disegno segreto, quella sorta di clandestino acrostico, indovinato ma non mai decifrato, che talora rende eterna, nella mente del lettore, la “forma” di un libro di cui ogni dato sensibile sia stato consumato dall‟oblio17.
In questo modo le machines dramatiques mantengono per decenni il loro funzionamento, a fronte di un pubblico ingenuo, passivo ed estraneo alla riflessione critica ma ben disposto alla proiezione fantastica. La connessione tra l‟elemento onirico e il mondo reale viene sottolineata anche da Walter Benjamin, secondo il quale il feuilleton è uno dei pochi elementi simbolici fondamentali della Parigi ottocentesca, indispensabile non solo per il processo di trasformazione sociale, ma per la capacità di rimandare la fantasia verso un passato antichissimo, in una sorta di grande sogno collettivo messo in moto da un autore di genio che ha intuito le aspettative dei suoi lettori18.
Umberto Eco ha individuato la distinzione tra il romanzo popolare e il romanzo letterario nel fatto che il primo tende alla pace, alla risoluzione del conflitto sempre in direzione del bene, concludendosi esattamente alla maniera in cui si aspetta il pubblico, mentre il secondo propone finali ambigui mettendo il lettore in guerra con se stesso19. Tutti gli altri fattori sono spesso in comune alle due tipologie, compreso il condizionamento esercitato sulla trama dal sistema della distribuzione commerciale. Sarebbe tuttavia un errore ritenere il fenomeno del feuilleton relegato e isolato in una sorta di dimensione culturale preletteraria, come ricorda Gramsci in un articolo apparso nel “Grido del Popolo” del 25 maggio 1918, intitolato I romanzi d‟appendice: “Bisogna perciò che sparisca il pregiudizio per il quale il romanzo d‟appendice è relegato nei
17 G. Manganelli, “I tre moschettieri”, in Id., La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi, 1985, pp. 36-37.
18 W. Benjamin, Parigi. Capitale del XIX secolo, Torino, Einaudi, 1986, pp. 507-529. 19
U. Eco, L‟industria aristotelica, in U. Eco e C. Sughi (a cura di), Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio, Milano, Bompiani, 1971, pp. 5-11.
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bassifondi della letteratura […]. Il romanzo d‟avventure è, di per sé, un genere che ha avuto per antenati l‟Odissea, Robinson Crusoe e anche il Don Chisciotte”.
Aldo Rossi osserva che in quegli stessi anni i formalisti russi giungevano a sostenere che “la piccola letteratura passa nella grande” 20
: ne deriva una reciproca contaminazione tra letteratura e paraletteratura, per cui la prima può trarre nuova linfa dal terreno grossolano della seconda che a sua volta, per certi aspetti, rappresenta la degradazione volgarizzata della letteratura. Ricordiamo che Apollinaire dichiarò nel 1914 che “la lettura dei romanzi popolari d‟immaginazione e d‟avventure rappresenta un‟occupazione poetica del più grande interesse”21
, Borgese rivelò di essere un appassionato lettore delle serie popolari pubblicate da Sonzogno, mentre il protagonista dell‟Étranger di Camus deriva dal simpatico Cagayous (1895) di Auguste Robinet22
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