3. Milano: il derby tra i due manager nell’oasi del bipolarismo
3.1. Il centrosinistra: l’uomo di Expo vince le primarie
Dopo quasi vent’anni di egemonia del centrodestra (a partire dall’affer- mazione, nel 1993, del leghista Marco Formentini), nel 2011, il comune di Milano aveva cambiato colore. L’arancione scelto come bandiera da Giuliano Pisapia, esponente di Sinistra ecologia e libertà (Sel), vincitore a sorpresa delle primarie del centrosinistra, e poi delle elezioni comunali contro il sindaco uscente Letizia Moratti, aveva assunto un significato che travalicava i confini cittadini, diventando, nella lettura di molti commentatori giornalistici, il segno di una nuova stagione politica che stava per iniziare. Le elezioni amministra- tive del 2011 – svoltesi mentre il governo Berlusconi si trovava in forti diffi- coltà ed era ormai sulla via di una fine annunciata – avevano visto un netto successo della coalizione di centrosinistra (Legnante 2012): il cambiamento avvenuto a Milano, dopo un lungo dominio del centrodestra, era l’evento più significativo di questo passaggio politico.
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La scelta compiuta da Pisapia di non ricandidarsi – scelta abbastanza inu- suale per un sindaco che godeva di buoni consensi nell’opinione pubblica cit- tadina1 e di una sostanziale stabilità politica della propria coalizione – rappre-
sentava per il centrosinistra un problema rilevante. Come ritrovare quel ma- gico equilibrio tra capacità di conservare il proprio elettorato «rubando» al contempo qualcosa alla coalizione avversaria, o perlomeno senza «spaven- tare» i «moderati», il cui voto, a Milano, è decisivo per la vittoria? Il centro- sinistra ci aveva provato costantemente dopo l’inaspettata sconfitta di Nando Dalla Chiesa nel 1993. Prima il «confindustriale» (Aldo Fumagalli), poi il «sindacalista cattolico» (Sandro Antoniazzi), poi l’«uomo d’ordine» (il pre- fetto Bruno Ferrante) avevano tentato senza successo: a volte la coperta sci- volava troppo a sinistra, a volte troppo al centro e la coalizione avversaria talvolta non aveva bisogno nemmeno del secondo turno per affermarsi (come nel 2001 e 2006). Solo nel 2011 le cose – propiziate dal cambiamento del vento politico nazionale e da errori nella campagna elettorale dell’avversaria – erano andate diversamente. La rinuncia di Pisapia minacciava a questo punto di riportare l’orologio indietro a quando Milano appariva una piazza al di fuori della portata del centrosinistra. Anche le dimissioni, annunciate a sorpresa, del vicesindaco Ada Lucia De Cesaris nel luglio 2015, quando la coalizione era intenta nella discussione sul dopo-Pisapia, aumentavano le fibrillazioni al suo interno.
La scelta del successore, e del metodo con cui compiere tale scelta, è stata fonte di non pochi attriti, tra l’idea balenata nei vertici nazionali del Pd di non ricorrere alle primarie, per timore di trovarsi di fronte a candidati difficili da gestire o di creare spaccature interne alla coalizione, e il rifiuto chiaramente espresso da Pisapia di «candidati calati dall’alto»2. All’inizio di settembre
2015, è il presidente del Consiglio ad intervenire nella scelta del candidato sindaco di Milano, città nella quale è chiaro fin da subito che si gioca una delle partite più importanti per il significato politico di queste elezioni: perdere Mi- lano, città simbolo del dinamismo economico del Paese, significava appannare il profilo modernizzatore, innovativo che Renzi ha sempre voluto dare al pro- prio esecutivo. Non appena il presidente del Consiglio lascia trapelare la pos- sibilità che il centrosinistra candidi il commissario Expo Giuseppe Sala emer- gono alcuni malumori tra gli esponenti milanesi della coalizione, che vede- vano l’intervento come una sorta di ingerenza del leader del Pd su questioni
1 Secondo il sondaggio Ipsos pubblicato dal «Corriere della sera – Milano» del 26 ottobre
2015, il 55% dei milanesi dava un giudizio positivo dell’operato della giunta Pisapia.
2 Rifiuto che il sindaco in carica esprime con chiarezza al meeting Peer Milano, organiz-
zato da Sel e dai Comitati per Milano il 4 ottobre 2015. Cfr. O. Liso, Pisapia: «Basta con i
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che avrebbero dovuto essere risolte a livello locale. È in particolare l’eventua- lità che questa indicazione «dall’alto» porti a cancellare il passaggio democra- tico e partecipativo delle primarie a provocare disappunto. Ma la stessa figura di Giuseppe Sala, manager salito alla ribalta in particolare come commissario Expo dopo essere stato dirigente Pirelli e Telecom, non è a tutti gradita: è soprattutto il suo incarico di direttore generale del comune ai tempi della giunta Moratti che fa storcere il naso a qualche sostenitore della coalizione di centrosinistra.
Dopo qualche esitazione, le primarie verranno indette – la fermezza di Pisapia nel sostenere questo metodo di selezione è decisiva – e «Mr. Expo», come viene ribattezzato dai giornali, si trova a sfidare tre concorrenti. France- sca Balzani, vicesindaco e assessore al bilancio nella giunta in carica, si pro- pone come la principale espressione della componente di «sinistra» della coa- lizione (il sindaco in carica la appoggia esplicitamente) e della continuità ri- spetto alla giunta uscente. Alla stessa componente di sinistra faceva però rife- rimento anche un altro candidato, Pierfrancesco Majorino, assessore alle po- litiche sociali nella giunta Pisapia. Durante l’intera campagna per le primarie Balzani e Majorino si sono dunque reciprocamente rimproverati di dividere il campo della componente di sinistra della coalizione regalando in tal modo una vittoria sicura al manager di Expo: entrambi hanno continuamente chiesto il ritiro dell’altro/a, ma se Balzani poteva respingere la richiesta per l’imprima-
tur del sindaco uscente, Majorino aveva dalla sua il fatto di essere stato il
primo a candidarsi, con largo anticipo sugli altri contendenti. Un quarto can- didato – Antonio Iannetta – ha infine avuto una posizione sempre marginale nella competizione. Nella corso della campagna, nella quale il confronto non manca di asperità3, i tre candidati principali fanno emergere profili distinti e
ben caratterizzati. Sala punta sulle sue competenze manageriali, e il sostegno di vari esponenti del governo (Maria Elena Boschi, Maurizio Martina, Andrea Orlando, tra gli altri). Balzani – che può contare sull’appoggio del sindaco uscente (ma non di tutta la sua giunta) – punta sulla continuità con l’esperienza «arancione». La campagna di Majorino mostra infine un profilo caratterizzato da una maggiore attenzione per i temi sociali, per le periferie e per la povertà (tra le sue proposte il reddito minimo). Al termine delle votazioni che si svol- gono il 7 febbraio, in anticipo rispetto alle primarie di altri comuni, si afferma Sala (42,3%), seguito da Balzani (33,9%), Majorino (23,1%) e Iannetta (0,7%). A differenza di quanto accade a Roma, dove la partecipazione segna un netto calo rispetto alle precedenti scelte del candidato sindaco, a Milano la
3 Balzani ha, ad esempio, accusato Sala di «opacità nei conti dell’Expo» e di essere ap-
poggiato dal «partito della nazione»: «c’è chi ha il voto di Denis Verdini e chi ha quello di Giuliano Pisapia». Cfr. A. Gallone, Expo e Verdini, scintille Balzani-Sala, in «la Repubblica», 1 febbraio 2016.
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partecipazione subisce un calo piuttosto contenuto (mantenendosi a 60.900 votanti, contro i 65.000 del 2011).
La candidatura, e poi la vittoria alle primarie di Sala, accende nella com- ponente più di sinistra della coalizione (quella che comprende Sel e numerose altre sigle) un lungo dibattito e profonde spaccature. Nella stessa Sel (che è il partito del sindaco uscente), alcuni esponenti (come l’assessore Cristina Ta- jani) si schierano da subito con Sala, mentre altri non si riconoscono in lui e preferiscono assumere una posizione attendista, rinunciando a partecipare alle primarie per non dover accettare il «vincolo di fedeltà» che li obbligherebbe a sostenere il vincitore, anche se non gradito. In Sala, una parte della sinistra, al di là delle divergenti valutazioni sull’evento-Expo, vedeva una sorta di de pro-
fundis per l’esperienza della coalizione «arancione» che era al governo a Mi-
lano, in nome del progetto del «partito della nazione»: in parte della sinistra serpeggiava il timore che, a Milano come in tutto il Paese, Renzi mirasse a disfarsi della sinistra attraverso un patto organico con il centro e con compo- nenti della destra4. Contro l’uscita dalla coalizione di Sel (e di tutte le altre
formazioni di sinistra) il sindaco uscente si è molto speso. All’inizio di dicem- bre, assieme ad altri due sindaci di orientamento simile come Massimo Zedda (Cagliari), eletto nel 2011, e Marco Doria (Genova), eletto nel 2012, scrive una lettera aperta perché le coalizioni che li avevano portati alla vittoria rima- nessero unite (nel caso di Zedda l’auspicio è stato pienamente rispettato e il sindaco del capoluogo sardo è stato riconfermato al primo turno, nel caso di Doria si vedrà il prossimo anno quale sarà l’esito dell’auspicio). Con specifico riferimento alla situazione milanese, Pisapia è poi ripetutamente intervenuto, cercando di scongiurare le divisioni («ci sono spinte al nostro interno che, an- che in buona fede, rischiano di essere i propulsori di una sconfitta») in nome della continuità con l’esperienza della sua giunta.
Il dibattito nella sinistra milanese si accende soprattutto dopo la vittoria di Sala alle primarie. Alla fine, Sel decide di appoggiarlo, ma una galassia di sigle e associazioni – Rifondazione, Comunisti italiani, Lista Tsipras, Possi- bile, la formazione dell’ex Pd Pippo Civati, e alcune esperienze «civiche» – prende una diversa strada, annunciando infine l’uscita dalla coalizione e la presentazione di un proprio candidato, che viene trovato in Basilio Rizzo, sto- rico esponente dei Verdi cittadini e decano del Consiglio comunale (ci era entrato nel 1983).
4 Una lettera aperta firmata a metà novembre 2015 da 19 consiglieri comunali sosteneva
di non volere «che il futuro di questa esperienza venga decisa in salotti, romani o milanesi che siano, né in riunioni di mini o maxi giunta, o via mail tra amici. Nel 2011 vincemmo le elezioni scendendo in piazza, parlando con la gente, comunicando la diversità di un’idea di città diversa da quella di prima». Cfr. O. Liso, «Basta con salotti, mini giunte e mail», in «la Repubblica – Milano», 17 novembre 2015.
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Le tensioni sul «dopo-Pisapia», però, avevano avuto, ancor prima delle primarie, immediate ripercussioni amministrative: il voto contrario di alcuni componenti della maggioranza (tra cui il citato Rizzo, presidente del Consiglio comunale) impedisce alla giunta di approvare negli ultimi scampoli della con- siliatura una importante delibera che doveva ridisegnare il futuro di sette scali ferroviari dismessi (complessivamente, un’area di 1.250.000 metri quadrati: una decisione destinata ad avere un impatto rilevantissimo sul futuro della città).
Con la spaccatura della coalizione che aveva portato alla vittoria di Pisa- pia, si materializza il rischio di tornare ai tempi in cui, per inseguire il voto centrista, il centrosinistra perdeva voti decisivi sul lato sinistro. Nel corso della campagna, e in modo specifico dopo il primo turno, Sala agirà proprio per scongiurare questo pericolo, cercando di fugare i dubbi sulla sua estraneità alla storia della sinistra.
Il programma con cui Sala si candida alla poltrona di sindaco cerca di unire parole d’ordine «manageriali», come la defiscalizzazione delle start up o l’obiettivo di ospitare in città grandi eventi internazionali e attrarre turismo, e richiami al patrimonio culturale della sinistra («Milano dovrà diventare la capitale del welfare» è uno degli slogan con cui riassume nelle interviste il suo programma5 e alcune proposte lanciate nella campagna delle primarie da Ma-
jorino – come il «reddito di maternità» – vengono riprese). 3.2. La scelta del centrodestra: la ritrovata unità
Come in altre città che hanno votato nel 2016, la scelta del candidato di centrodestra è stata particolarmente lunga e tormentata, riflesso delle difficoltà che la coalizione vive a livello nazionale, dove la sempre più appannata lea- dership berlusconiana è costantemente messa in discussione da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, portatori di un’idea diversa della coalizione e delle sue po- sizioni programmatiche. Nel corso dei mesi si sono succedute diverse ipotesi per la poltrona di sindaco di Milano. Il leader della Lega nord (Ln) Matteo Salvini, fin da marzo 2015, si era detto disponibile a correre in eventuali pri- marie del centrodestra. La scelta del nome era legata alla geometria della coa- lizione, con riferimento, in particolare, alla presenza del Nuovo centrodestra (Ncd) al suo interno. La posizione di questo partito è stata lungamente in bi- lico. Angelino Alfano, il suo presidente, aveva lasciato intendere che, in caso di candidatura di Sala nel centrosinistra, l’Ncd sarebbe stata disponibile a dare il suo sostegno a questa coalizione. Nel caso l’Ncd avesse invece aderito alla coalizione di centrodestra, Maurizio Lupi era uno dei primi nomi ad essere
5 E. Soglio, «Investiamo sul turismo. Pronti per G7 e forum Onu», in «Corriere della sera
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indicati come possibile candidato sindaco, eventualità che incontrava la netta opposizione di Salvini, il quale più volte (non solo in riferimento a Milano) aveva ripetuto: «Con Alfano mai». Anche Riccardo De Corato (Fratelli d’Ita- lia), figura molto nota in città, dalla lunga esperienza in Consiglio comunale, si è fatto avanti dicendosi pronto a correre in eventuali primarie del centrode- stra. Non solo le diverse forze politiche che compongono l’alleanza di centro- destra avevano idee diverse sul nome ideale da proporre, e sulla stessa geo- metria dell’alleanza, ma anche all’interno di ciascuna di esse non vi era una- nimità. All’interno della Ln, ad esempio, mentre Salvini avrebbe optato per un candidato dal profilo marcatamente «identitario», escludendo le compo- nenti più moderate (leggi Ncd) dalla coalizione, il presidente della regione Roberto Maroni ha sempre lavorato affinché «ci [fosse] una maggioranza omogenea rispetto a quella della Regione»6 (dove, per l’appunto, l’Ncd è al-
leato al centrodestra).
Oltre ai politici già citati, nei mesi che precedono la designazione sono numerosi i nomi, appartenenti agli ambiti della cultura e dell’impresa, che vengono avanzati, come reali proposte o come estemporanei pour parler gior- nalistici. Tra ottobre e novembre, quando la questione comincia a diventare di attualità, sulle pagine dei giornali il «toto-nomine» del centrodestra registra i nomi dell’editore Urbano Cairo, di Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Eni, di Annamaria Bernardini De Pace, celebre avvocato, e di numerose altre figure, ma non si sa quale reale concretezza avessero ciascuna di queste proposte. In mezzo a questi nomi, le due candidature che sembrano essere le più credibili sono quelle di Paolo Del Debbio e di Alessandro Sallusti. Il primo, popolare conduttore di un talk show politico su un canale televisivo Mediaset (e assessore nella prima giunta Albertini), è uno dei primi nomi a comparire tra i papabili: viene a lungo corteggiato da tutti i partiti della coali- zione ma oppone il suo costante rifiuto. Sallusti, direttore de «Il Giornale», noto per le sue posizioni spesso radicali, è rimasto candidato in pectore per lungo tempo. In novembre, la sua candidatura ottiene dichiarazioni favorevoli sia da Salvini che da Berlusconi (anche se è a tutti noto che, quando sono in gioco delle candidature, le linee d’azione dei politici non sempre corrispon- dono alle loro dichiarazioni ufficiali) ma, via via che nel campo opposto si materializza la candidatura di Sala, il suo nome perde terreno, in quanto con- siderato inadeguato per sfidare un candidato come il manager di Expo che, per stile e profilo personale, andava ad occupare il centro7.
6 A. Senesi, Alleanze e referendum, frattura nella Lega, in «Corriere della sera», 3 ottobre
2015.
7 Alcuni sondaggi diffusi a fine novembre sulle intenzioni di voto in caso di eventuale
sfida Sallusti-Sala, danno il direttore de «Il Giornale» sotto di venti punti. Cfr. I. Carra, Dai
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Di fronte a un nome come Sala, il centrodestra deve necessariamente tro- vare un candidato che sappia competere al centro e che non lasci che il bacino dei «moderati» diventi terreno di caccia del centrosinistra. Sebbene di scelta del candidato di centrodestra si parlasse ormai da mesi, era evidente che all’in- terno di questa coalizione le posizioni sono sempre state improntate all’atten- dismo: la strategia era quella di aspettare le scelte del centrosinistra e rispon- dere poi di conseguenza. Il 3 febbraio, sulle pagine milanesi del «Corriere della sera», un editoriale di Giangiacomo Schiavi, osservando le mosse in vi- sta delle elezioni comunali, evidenziava come «la palla resta sempre al cen- trosinistra: l’avversario per ora è in tribuna»8.
A inizio febbraio, Berlusconi riesce a trovare un candidato che risponde al profilo adeguato a sfidare Sala, quando riesce a strappare il «sì» alla candi- datura di Parisi. Il «sì» di Parisi arriva quasi in contemporanea con la richiesta a Guido Bertolaso di candidarsi a Roma, eventi che segnano una rinnovata capacità di iniziativa politica di Berlusconi – le due candidature avranno pe- raltro vicissitudini ben diverse (quella di Roma deraglierà di lì a poco fra le inversioni di rotta determinate da Lega e FdI).
Parisi è stato dirigente al Ministero del lavoro e alla Presidenza del Con- siglio, direttore generale di Confindustria, city manager del comune di Milano durante la giunta Albertini e fondatore di Chili, piattaforma di distribuzione di film in streaming. L’annuncio definitivo della sua candidatura arriva a feb- braio: il suo nome riesce a tenere insieme tutte le componenti del centrodestra – Ncd, FI, Ln e FdI. La speranza della coalizione, a questo punto, è che si ripeta quello che alcuni giornali battezzano «effetto Liguria», ossia una vitto- ria propiziata dall’unità del centrodestra (dai centristi di Alfano sino ai «lepe- nisti» di Lega e FdI) e dalle contemporanee divisioni nel centrosinistra. La campagna elettorale non manca però di provocare qualche attrito interno alla coalizione. Parisi avrà ad esempio modo di prendere le distanze da qualche candidato presente nella lista della Lega (augurandosi che Stefano Pavesi non venisse eletto perché «antisemita e fascista»9), mentre questa forza politica
troverà varie occasioni per manifestare qualche distinguo nei confronti di Pa- risi perché troppo moderato e troppo legato all’establishment («meno salotti in centro e più periferie» era, in estrema sintesi, la richiesta che il leader della Lega faceva a inizio campagna al candidato sindaco10).
8 G. Schiavi, Una partita a senso unico, in «Corriere della sera – Milano», 3 febbraio
2016.
9 P. Berizzi, Elezioni Milano, da Parisi schiaffo a Salvini: «Il candidato fascista? Deci-
sione prepotente della Lega», http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/05/10/news/ele- zioni_milano_fascista_pavesi_lega-139483104/, 10 maggio 2016.
10 P. Lio, A. Senesi, Corsa al voto, Salvini incalza Parisi, in «Corriere della sera – Mi-
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All’approssimarsi delle elezioni, Parisi ottiene anche l’appoggio di Cor- rado Passera, ex ministro allo sviluppo del governo Monti, creatore di un mo- vimento denominato Italia Unica: nel giugno 2015, con largo anticipo rispetto ad altri possibili contendenti, aveva annunciato la propria candidatura a sin- daco e negli ultimi mesi dello stesso anno aveva lanciato una massiccia cam- pagna di affissioni e una forte presenza sulle televisioni locali, enfatizzando in particolare il tema della sicurezza. All’avvicinarsi della competizione, però, la spinta si esaurisce e il 9 aprile Passera annuncia il suo ritiro dalla corsa dichiarando di appoggiare il candidato di centrodestra.
Il programma e la campagna elettorale di Parisi hanno messo al centro la semplificazione amministrativa (in particolare in ambito urbanistico ed edili- zio), l’ordine pubblico (in un’intervista televisiva dice che a Milano «bisogna riportare molta legalità», dopo che «è stata dimenticata negli ultimi 5 anni»11),
la «tolleranza zero» nei confronti dei campi Rom e la ricerca di alternative ai vincoli viabilistici introdotti da Pisapia con l’«area C».