• Non ci sono risultati.

Possibili controtendenze? Il «microcosmo» di Sesto Fiorentino Il quadro che emerge dal voto amministrativo toscano non sarebbe com-

Nel documento Saper governare non basta: il caso Torino (pagine 126-132)

6. Il voto in Toscana: un’eredità contesa o dilapidata?

6.7. Possibili controtendenze? Il «microcosmo» di Sesto Fiorentino Il quadro che emerge dal voto amministrativo toscano non sarebbe com-

pleto se non si guardasse da vicino anche al caso di Sesto Fiorentino: e anche qui, l’analisi del voto non può essere affidata ad un’indagine centrata sulle dinamiche esclusivamente elettorali. È un caso che richiede un’analisi più am- pia delle trasformazioni in atto nel sistema dei partiti e, nel merito, il ricorso agli strumenti della policy analysis. Se non si comprendono i processi di po-

licy-making, non si possono comprendere i loro effetti sulla politics. Quello di

Sesto può essere considerato come un «microcosmo»: ed anche la sua speci- ficità, o anomalia, può renderlo, per contrasto, un terreno favorevole di analisi, da cui dedurre ipotesi di portata più generale.

Un racconto dei fatti appare necessario. Nel 2014 Sesto andava alle urne, dopo che per dieci anni a capo dell’amministrazione era stato un sindaco espressione della tradizione comunista e diessina locale. Sesto è un comune- chiave per le scelte strategiche dell’area metropolitana fiorentina: nel suo ter- ritorio si concentrano scelte decisive e controverse – un nuovo grande termo- valorizzatore, i progetti per l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, le scelte territoriali legate al cosiddetto «Parco della Piana» (un progetto di riqualifica- zione dell’area, oggi piuttosto informe e caotica, che si estende tra Firenze e Prato). Nell’ultima fase del suo mandato, il sindaco di Sesto aveva tenace- mente negoziato con il comune di Firenze e la Regione: schematizzando si può dire che aveva infine accettato il progetto del termovalorizzatore, in cam- bio di politiche ambientali compensative, e di un limitato, e non invasivo, al- lungamento della pista dell’aeroporto, nonché di un più serrato impegno sul progetto del Parco.

Negli anni della gestione di Renzi al comune di Firenze, la questione dell’aeroporto diviene cruciale e l’ipotesi di un più consistente allungamento della pista, con il conseguente (e problematico) spostamento anche del suo asse, viene posta al centro dell’agenda politica locale e regionale. E un «con- trollo» politico del comune di Sesto, con un adeguamento dei suoi orienta- menti a quelli prevalenti a Firenze, appare come un passaggio ineludibile. Così, alle elezioni del 2014 il Pd sceglie – senza il ricorso alle primarie – di proporre un nuovo candidato, Sara Biagiotti, già assessore a Firenze nelle giunte dirette da Matteo Renzi, tra le responsabili dell’organizzazione della campagna per le primarie che hanno portato Renzi alla segreteria del partito. Dalle elezioni del 2014, tuttavia, emerge un gruppo consiliare del Pd che, a può fare a meno delle alleanze, l’autosufficienza viene scambiata per arroganza e i risultati sono impietosi» («La Nazione», edizione di Arezzo, 21 giugno 2016).

122

maggioranza (9 su 14), è espressione delle minoranze Pd e, soprattutto, vicino alla vecchia amministrazione. La nuova sindaca (eletta anche presidente dell’Anci Toscana) interpretando forse un certo modo «decisionistico» di in- tendere la politica, «tira dritto» e non accetta mediazioni: nella sua giunta non vi è nessun esponente dell’area del partito che pure era emersa come maggio- ritaria dal voto. Si apre così un classico chicken game, un gioco in cui ci si sfida a tener duro, finché l’altro non molli. Dopo un anno di crescenti tensioni, si giunge così, nel giugno-luglio 2015, alla rottura: la maggioranza del Consi- glio, con l’apporto determinante di 8 consiglieri del Pd, vota la sfiducia alla sindaca e, così, dopo il commissariamento del comune, si torna alle urne. Nel frattempo, gli 8 consiglieri «ribelli» vengono formalmente espulsi e molti altri iscritti lasciano il partito. Queste forze si riconoscono nel progetto in fieri di Sinistra italiana e, in vista delle elezioni, danno vita ad una coalizione che candida un giovane esponente di Sel, Lorenzo Falchi. Ciò che va rilevato è che a Sesto si è trattato dell’unico caso in Italia in cui – a differenza di quanto accaduto altrove – la nuova aggregazione si presentava con la denominazione di «Sinistra italiana». Alle elezioni del 2016, il nuovo candidato del Pd, Lo- renzo Zambini, già vice-sindaco nella precedente giunta (scelto attraverso ele- zioni primarie), si ferma al 31%, Falchi ottiene il 27%, mentre un altro candi- dato, Maurizio Quercioli, ottiene un cospicuo 19%, a capo di una coalizione di cui fanno parte altre forze di sinistra (tra cui i «civatiani») e anche un gruppo di ex-M5s. Quest’ultimo candidato, dirigente locale del Pci negli anni ottanta, aveva già ottenuto il 18% nelle elezioni del 2014, con una coalizione che comprendeva Sel e che esprimeva anche i comitati più attivi contro l’ae- roporto e il termovalorizzatore. Insomma, i tre maggiori candidati, tutti espres- sione di forze di centro-sinistra e sinistra, insieme ottengono quasi l’80% dei voti: al candidato del centrodestra e a quello del M5s rimangono le briciole, solo il 10% ciascuno. Il ballottaggio è senza storia: pur «saltando» l’apparen- tamento formale tra le due liste di sinistra (che avrebbe avuto come effetto paradossale un maggior numero di seggi per il Pd), gli elettorati confluiscono: Falchi raddoppia addirittura, passando da 6.500 a quasi 14.000 voti (65%), mentre Zambini ne perde circa 400, frutto di un’evidente smobilitazione dell’elettorato del Pd.

Evidentemente, in questo caso, l’«eredità» è rimasta tutta a sinistra: la vicenda politica locale e le caratteristiche dell’offerta elettorale hanno per- messo questo esito. E tuttavia, non si può non rilevare come, anche a Sesto, fratture e divisioni abbiano creato sconcerto e disorientamento: l’astensioni- smo tocca livelli record, per una città dalle tradizioni politiche e civiche come Sesto: al primo turno si reca alle urne appena il 63% degli elettori (dieci punti in meno del 2014), al ballottaggio il 57% (ma questo dato è meno sorpren- dente, visto che la partita sembrava oramai decisa).

123

Il «caso Sesto», con tutta evidenza, mostra che, se si verificano determi- nate condizioni di contesto, il quadro competitivo aperto che si è venuto a creare può vedere all’opera con successo anche forze che alle tradizioni della sinistra si richiamano apertamente: eredi più «legittimi», si potrebbe anche dire. Ma da ciò non deriva alcun facile ottimismo, per quanti sperano che dalla crisi del Pd possa emergere una nuova formazione della sinistra, che vada oltre i tradizionali confini della sinistra «radicale». Il risultato di Sesto, infatti, non nasce da operazioni elettorali estemporanee o da cartelli improvvisati: è stato possibile perché c’è stata una rottura ampia e significativa nel Pd, ben visibile, costruita politicamente, preceduta da una battaglia interna, accompagnata e seguita da vivaci movimenti di opinione su rilevanti questioni politiche locali e regionali. L’entità della rottura nel Pd, insomma, è stata tale da imporsi, agli occhi degli elettori, come un fatto politico di rilievo, non come un’operazione minoritaria. Del resto, gli elettori scelgono anche sulla base della percezione che hanno dell’«utilità» del loro voto: e sono molti gli elettori che sentono come uno spreco il voto a liste destinate a restare marginali (e da qui, anche, il successo – in molti altri contesti, anche in Toscana – dell’opzione M5s, per- cepito spesso come l’unica vera alternativa).

Esula dai compiti di questo capitolo trarre una qualche indicazione sui possibili, futuri scenari politici, e tanto meno su quelli nazionali. Certamente, per il Pd, il voto toscano, nelle sue varie espressioni, solleva molti interroga- tivi, che investono più in generale le scelte strategiche del partito e le conse- guenze che queste possono avere per il sistema politico italiano. Le risposte, ovviamente, verranno dagli sviluppi della vicenda politica italiana. Ma la To- scana, anche in questa occasione, si è rivelata un termometro molto sensibile.

Riferimenti bibliografici

Almagisti, M. (2015), Una democrazia possibile, Roma, Carocci.

De Sio, L. (a cura di) (2011), La politica cambia, I valori restano? Un’indagine sulla cultura politica dei cittadini toscani, Firenze, Firenze University Press.

Floridia, A. (2009), Modelli di democrazia e modelli di partito: analisi critica dello Statuto del Pd, in G. Pasquino (a cura di), Il Partito Democratico. Elezione del segretario, organizzazione e potere, Bologna, Bononia University Press, pp. 187- 235.

Floridia, A. (2011), Tramonto, sopravvivenza, trasformazione? Oltre la ‘subcultura rossa’, in L. De Sio (a cura di), La politica cambia, I valori restano? Un’indagine sulla cultura politica dei cittadini toscani, Firenze, Firenze University Press, pp. 13-34.

Muirhead, R. (2014), The Promise of Party in a Polarized Age, Cambridge-London, Harvard University Press.

125 7. Il puzzle del voto al Centro-sud

Domenico Fruncillo

7.1. Premessa

I risultati delle recenti elezioni comunali nel Mezzogiorno sembrano ca- ratterizzati da una significativa instabilità e variabilità che rendono più diffi- cile l’individuazione di categorie di analisi che possano essere uniformemente adottate per l’intera area territoriale. In generale, le consultazioni comunali in quanto second-order elections, sono esposte ad una maggiore instabilità (Reif e Schmitt 1980) e, in quanto elezioni locali, sono più sensibili alle caratteristi- che specifiche dei multiformi contesti territoriali a cui si riferisce la competi- zione. Ma questi due aspetti sono nei comuni una manifestazione evidente.

L’interpretazione dei risultati elettorali nelle aree meridionali del Paese non è stato compito agevole neppure in passato. Raramente si è riusciti ad individuare uno schema che potesse essere uniformemente applicato a tutte le regioni del Sud. Gli esiti della competizioni elettorali nel Mezzogiorno sono stati caratterizzati da una maggiore instabilità nel corso del tempo e da una significativa variabilità all’interno dell’area stessa. In generale, non sembrava che il comportamento di voto nel Mezzogiorno potesse essere connesso alla presenza di subculture forti e strutturate analoghe a quelle che operavano in altre aree del Paese e che erano in grado di orientare stabilmente, e abbastanza diffusamente, le scelte elettorali dei cittadini (Cartocci 1990).

Per quanto riguarda la continuità degli esiti elettorali, negli anni in cui la competizione alle elezioni nazionali era strutturata attorno a due poli e i pas- saggi da uno schieramento all’altro erano considerati generalmente piuttosto limitati, il cambiamento dei rapporti di forza tra le due principali colazioni era per la maggior parte determinato dai risultati delle votazioni al Sud (D’Ali- monte e Bartolini 2002; Pasquino 2002; Caciagli e Corbetta 2002).

In verità, negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, è stata riscon- trata una certa continuità dei livelli di consenso ad alcuni partiti anche al Sud. Tale «regolarità» è stata considerata un indicatore della stabilità dell’insedia- mento di queste forze politiche (Diamanti 2009). Tuttavia, la continuità in ter- mini di livello dei consensi elettorali non riguardava l’intero Mezzogiorno, ma, specificamente, solo alcune aree. Inoltre, dal punto di vista degli indicatori socio-economici le aree del Sud in cui era stata osservata la continuità del consenso a Forza Italia/ Popolo delle libertà (FI/Pdl) avevano caratteristiche

126

piuttosto diverse rispetto a quelle del Nord in cui si segnalava un analogo in- sediamento dei medesimi soggetti politici (Diamanti 2009).

I risultati delle recenti elezioni politiche (Chiaramonte e De Sio 2014), europee (Valbruzzi e Vignati 2014) e regionali (Bolgherini e Grimaldi 2015) hanno mostrato che quella continuità elettorale aveva radici piuttosto superfi- ciali.

Come è noto, tra gli studiosi vi è un ampio consenso sull’ipotesi che in occasione delle «elezioni di secondo ordine», tra le quali sono annoverate quelle locali, si riscontri una maggiore instabilità elettorale (Reif e Schmitt 1980). Ciò accade soprattutto perché – considerata la minore salienza delle elezioni stesse – i cittadini sentono meno stringenti i vincoli di solidarietà verso i partiti ai quali abitualmente conferiscono il proprio consenso. In altre parole, i cittadini si sentono liberi di astenersi o di votare per candidati o liste di altri partiti nella convinzione che trattandosi di elezioni in cui la posta in gioco è meno importante, il loro comportamento anomalo non arrechi un pre- giudizio grave ai loro partiti di riferimento. Inoltre, i cittadini, astenendosi o votando candidati di partiti diversi, segnalano il proprio dissenso verso le stra- tegie praticate dai partiti a cui normalmente indirizzano le loro preferenze e possono quindi sperare che questi alle successive elezioni politiche rivedano le loro posizioni. Nelle zone meridionali in cui i sentimenti di vicinanza ai partiti sono meno diffusi e intensi (Fruncillo 2009), un maggior numero di elettori è disponibile a modificare la propria scelta di voto: alla formazione di tali scelte concorrono in misura elevata fattori diversi dal partito come, ad esempio, le qualità dei candidati o la loro prossimità.

Nel 2014, alle elezioni comunali è stata riscontrata nelle regioni meridio- nali una spiccata variabilità e «volubilità» dei risultati (Floridia 2014). In ge- nerale, i risultati delle competizioni comunali siano più variabili di quelli di altre competizioni, anzitutto, per la banale ragione che la proposta elettorale è specifica in ogni comune. Nei piccoli comuni ci si imbatte in nomi di lista piuttosto eterogenei dai quali non si può ricavare il loro posizionamento ri- spetto allo spazio politico definito secondo le coordinate nazionali. Ogni sforzo di ricondurre le liste comunali all’offerta elettorale nazionale è pratica- mente impossibile (motivo per cui esse vengono accompagnate dalla indeci- frabile etichetta lista civica). Occorre verificare se anche nei comuni più grandi o almeno in quelli capoluogo si osserva il distacco dall’offerta eletto- rale nazionale e il progressivo superamento delle linee di conflitto che esso esprime.

In secondo luogo, la variabilità dei risultati può essere riferita alla preva- lenza, nelle aree meridionali, di fattori di scelta più mutevoli per definizione, ossia le qualità personali dei candidati sia nell’arena esecutiva che in quelle consiliare.

127

In questo contributo saranno analizzati i risultati delle recenti elezioni nei comuni del Sud con l’obiettivo generale di osservarne la instabilità e variabi- lità. Inizialmente saranno descritti alcuni elementi di fondo di questa tornata di elezioni comunali (i comuni chiamati al voto, la loro distribuzione per re- gione e per dimensione demografica, la partecipazione al voto, il formato dell’offerta elettorale, ossia il numero di candidati alla carica di sindaco e di liste per il consiglio comunale). Nella parte successiva l’analisi riguarderà le elezioni nei comuni maggiori, ossia con popolazione superiore ai 15.000 abi- tanti. Saranno prese in esame le dinamiche e gli esiti della competizione nell’arena esecutiva e sarà valutata la presenza alla competizione nell’arena consiliare delle tre principali forze politiche a livello nazionale (Partito demo- cratico, Pd, Movimento 5 stelle, M5s, e FI). Infine l’analisi si concentrerà sui capoluoghi di provincia, delle quali saranno esaminate le caratteristiche dell’offerta elettorale, i modelli di competizione e i risultati del confronto con riferimento all’arena esecutiva e alle performances dei principali partiti «na- zionali» nell’arena consiliare. Nell’ultima parte si cercherà di valutare – data la parzialità del campo di osservazione non si nutrono ambizioni di verifica dell’ipotesi – il valore che i processi di personalizzazione, ai quali gli studiosi annettono una crescente importanza nella vicenda politica generale del nostro Paese, rivestono nella definizione degli esiti delle elezioni nei comuni del Sud e indirettamente della loro variabilità e instabilità.

Nel documento Saper governare non basta: il caso Torino (pagine 126-132)