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Il contesto socioculturale della pianificazione economica e sociale

Fino ad ora, si è chiarito quale sia il concetto di pianificazione, quali siano i capisaldi della pianificazione sociale, nonché quali possano essere alcuni modi di organizzare gli enti dediti alla elaborazione di piani economici e sociali. In questo contesto, si inserisce la discussione relativa alla partecipazione, ai progetti di sviluppo, delle popolazioni interessate. Nessun piano, infatti, conseguirà gli obiettivi prefissati senza l'indispensabile collaborazione della popolazione autoctona. L'attenzione da riservare a questo aspetto è centrale soprattutto quando, nella elaborazione dei piani per lo sviluppo, gli enti del Paese sottosviluppato siano assistiti da governi stranieri di Paesi sviluppati o da istituzioni internazionali, spesso del tutto ignari del contesto socioculturale in cui deve andarsi a calare il piano di sviluppo in questione.

Di seguito, si chiarisce quale sia il concetto fondamentale da tenere in considerazione: la pianificazione economica e sociale non può considerarsi efficace solamente perché mette in moto le forze produttive del Paese, impiegandole in un determinato ambito lavorativo. Ciò è necessario, ma non sufficiente. L'aspetto centrale è fare in modo che le popolazioni autoctone abbiano veramente assimilato i principi di modernità e, soprattutto, le modalità di lavoro proposte dal piano di sviluppo. In tal modo, esse possono perpetuarle nel tempo e insegnarle ai posteri, proprio perché le hanno ben assimilate161. Le domande a cui rispondere per verificare il successo di una pianificazione sono, infatti, le seguenti: “che cosa è stato assimilato? Che cosa è stato continuato e ripetuto?”162. Se non vi è risposta

160 Nazioni Unite, Pianificazione sociale e pianificazione economica (parte II), op. cit., p. 3424. 161

M. E. Opler, Problemi relativi alla partecipazione delle popolazioni interessate ai progetti di

sviluppo, "Supplementi alle «Informazioni Svimez» sui problemi dei Paesi economicamente sottosviluppati", n. 59, 1957, p. 1592.

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soddisfacente, allora la pianificazione dimostra di aver fallito nel lungo termine, sebbene potrebbe aver raccolto dei risultati di breve periodo.

Purtroppo, vi sono una moltitudine di esempi che dimostrano come la pianificazione non abbia ottenuto i successi sperati, proprio perché è mancata tale forma di assimilazione. Nello specifico, il fallimento è stato tanto maggiore quanto più alta sia stata la leva impositiva utilizzata dalle autorità preposte alla pianificazione. Dunque, utilizzare la coercizione per orientare i comportamenti delle popolazioni locali, sembra rivelarsi un'idea deleteria per il loro sviluppo.

In india, nella metà degli anni Cinquanta, alcuni lavoratori agricoli furono reclutati per lavorare nelle fattorie e nei campi di una scuola di agraria, al fine di aggiornare la conoscenza delle loro pratiche e applicarle di conseguenza ai propri terreni. Purtroppo, una volta terminata la permanenza in tale scuola, si rilevò che i sistemi di coltura sulle terre di loro proprietà, non mostravano di aver subito alcuna influenza dalle nozioni apprese presso la scuola di agraria.

Nel 1954, sempre in India, un funzionario governativo vantava un grande e invidiabile numero di fosse per letame scavate sotto la sua direzione. Esse erano reputate fondamentali per stimolare la produzione agricola. Tuttavia, nello stesso anno si osservò che quest'ultima non era affatto aumentata. Infatti, tali fosse non erano utilizzate dagli agricoltori locali e venivano abbandonate subito dopo la loro creazione. Allo stesso modo, si può fare riferimento al progetto di Etawah nello Stato di Uttar Pradesh in India, sempre nel 1954. La pianificazione prevedeva che una certa superficie agricola fosse seminata con semi selezionati di una data varietà, offerti dal governo dello Stato. Sebbene alcuni agricoltori fossero disposti a usare i semi forniti dal governo, la maggior parte di essi preferì utilizzare le proprie sementi. Tutti questi esempi dimostrano, appunto, come l'avvenuta pianificazione non abbia sortito gli effetti sperati in virtù di una mancata assimilazione, da parte della popolazione, dei principi in essa contenuti.

Il quesito, dunque, è quello di trovare un modo che possa far realmente assimilare alle popolazioni locali i contenuti innovativi proposti dai piani di sviluppo, al fine di rendere operativi questi ultimi e perpetuarne nel tempo le pratiche.

Di sicuro, per ottenere tale risultato, bisogna lavorare a monte, ossia durante l'elaborazione del piano di sviluppo. Coloro i quali si dedicano alla stesura di quest'ultimo, infatti, devono avere un'idea esatta dei valori e dei principi importanti nel contesto sociale in cui applicare il piano: naturalmente, oltre alla conoscenza in

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sé, i pianificatori devono farli pesare adeguatamente durante l'elaborazione del piano. In sostanza, bisogna conoscere approfonditamente la regione in questione e la popolazione autoctona, nonché modulare le misure previste dal piano sulla base di tali conoscenze sociali e valoriali. Tenendo conto di tutto ciò nel concepimento delle azioni concrete contenute nel piano, è possibile prevedere un suo successo e l'effettiva assimilazione delle pratiche proposte, da parte della popolazione locale. In caso contrario, si andrà incontro ad un sicuro fallimento.

Il peso del fattore socioculturale nell'elaborazione dei piani di sviluppo è fondamentale e il tentativo di trascurarlo produce effetti negativi ben documentati dalla storiografia. Di seguito, se ne illustrano alcuni molto significativi.

Durante la seconda guerra mondiale, il governo americano decise di trasferire dalla costa occidentale alla parte centrale del Paese, un nutrito gruppo di persone di origine giapponese. Si calcola che circa 10.000 persone siano state trasferite. Tali comunità erano composte da due generazioni: la prima, quella dei genitori, era di origine giapponese e aveva conservato tale nazionalità, unitamente agli usi e costumi, mentre la seconda, quella dei loro figli, nati e cresciuti negli USA, era costituita da cittadini americani di origini familiari giapponesi. Nella comunità giapponese, come in molte altre del mondo, vi è un sacro principio relativo all'età: i consigli e le direttive dei più anziani hanno un peso determinante nell'orientare le scelte della popolazione e i comportamenti dei più giovani. Il governo americano aveva sviluppato una nutrita pianificazione in favore di tali comunità, prevedendo soprattutto il loro reimpiego, successivo al trasferimento, nelle attività agricole. Inoltre, il governo propendeva per lo sviluppo di un spirito di comunità che potesse essere parte integrante dello sviluppo economico. Per tale motivo, esso previde lo sviluppo di organi comunitari eletti a suffragio popolare. Tuttavia, il governo compì un errore centrale: stabilì che soltanto i cittadini americani potessero ricoprire cariche pubbliche. In tal modo, si ottenne che i figli potevano governare i loro genitori, contravvenendo al fondamentale principio dell'anzianità, così rilevante per la popolazione giapponese. Ciò provocò uno sconvolgimento in tutta la comunità, la quale non partecipò affatto all'implementazione della pianificazione prevista dal governo. Ecco, appunto, come il fattore socioculturale gioca un ruolo fondamentale, inibendo del tutto la realizzazione anche del migliore e più prolifico piano per lo sviluppo.

Il governo americano corresse la rotta e previde dei comitato consultivi composti anche da cittadini non americani, cioè dai genitori anziani, permettendo loro di

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tornare concretamente ad esercitare il controllo sulle attività comunitarie. Solo a partire da tale momento, i piani per lo sviluppo del governo ottennero il necessario appoggio popolare, sebbene l'autorità centrale continuasse a essere vista con diffidenza per il cruciale errore iniziale commesso.

Un altro esempio può essere dedotto da un'esperienza negativa in India. Nel 1954, si previde di sviluppare un'area mediante la coltura della lenticchia, la quale cresceva molto bene nei territori in questione ed era raccomandata per le sue preziose qualità nutritive. Purtroppo, tale coltura non ebbe mai luogo, per un preciso motivo: la popolazione autoctona era vegetariana e dimostrava rifiuto per qualsiasi alimento che assomigliasse alla carne. Il colore rossiccio della lenticchia la rendeva troppo simile a quest'ultima, generando il ripudio della popolazione autoctona. Del resto, per lo stesso motivo, in India i pomodori non sono molto popolari e non vengono mangiati da molte persone. Ecco, dunque, un'ulteriore prova del fatto che la pianificazione, senza la considerazione del fattore socioculturale, è destinata al fallimento163. Tale fattore deve essere inglobato nell'elaborazione dei piani di sviluppo perché contribuisce a dare ai pianificatori una visione globale della società, permettendo così la stesura più completa ed esauriente di tutte le direttive necessarie. A tal proposito, si può fare un esempio illuminante. Nel 1954, al fine di aumentare la produttività agricola, si propose ad alcuni contadini indiani l'utilizzo di un aratro di ferro, il quale si dimostrava anche particolarmente adatto alle condizioni dei loro terreni. Tuttavia, tale proposta ricevette il loro fermo diniego. Infatti, l'aratro doveva essere trainato dagli animali, i quali versavano in condizioni di sottonutrizione per la scarsità e l'alto costo del foraggio, dunque non sarebbero stati capaci di svolgere il loro lavoro con un aratro più pesante rispetto a quello solito, in legno, con cui erano abituati. Inoltre, con l'adozione del nuovo aratro, sarebbe venuto a mancare il rapporto fiduciario istauratosi tra contadino e falegname per la riparazione dell'utensile in legno, sottraendo oltretutto una parte di lavoro a tale categoria professionale. In linea con tale esempio, la considerazione del fattore socioculturale all'interno del piano di sviluppo può permettere una visione più ampia e compiuta dello stesso, ispirando tutte le direttive necessarie. Infatti, non bisogna solo proporre alla popolazione locale l'adozione di un nuovo tipo di aratro, ma anche fare in modo

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che il foraggio sia reperibile più facilmente e a un prezzo modico, nonché istruire il falegname a riparare il nuovo tipo di utensile.

In fondo, l'affermazione secondo cui il fattore socioculturale ci permette una visione più ampia e dettagliata a beneficio dell'elaborazione del piano per lo sviluppo, si concretizza nell'accogliere il punto di vista della popolazione locale. Lo sforzo, insomma, è quello di cambiare angolatura e porsi nei panni dei riceventi il piano di sviluppo. Infatti, spesso le persone oggetto di tali piani hanno un senso più completo delle conseguenze della singola azione e già prevedono tutte le correzioni necessarie164.

Un altro aspetto importante da considerare nella relazione tra il fattore socioculturale e la pianificazione, riguarda i tentativi falliti di quest'ultima che sono stati fatti nella medesima area in cui ci si ripropone di operare. Tali tentativi, soprattutto per quanto riguarda la memoria delle smentite aspettative e il generale scoraggiamento della popolazione in tal senso, fanno parte a tutti gli effetti del fattore socioculturale in considerazione. Per tenere conto di ciò in maniera concreta, bisogna studiare preventivamente i precedenti piani per lo sviluppo falliti e il motivo del loro naufragio. Successivamente, occorre sottolineare come il nuovo piano per lo sviluppo sia sostanzialmente diverso da quelli precedenti e possa portare a risultati migliori. In caso contrario, la memoria del passato giocherà un ruolo fondamentale nello scoraggiare la popolazione ad esserne parte attiva.

Dunque, in relazione con quanto appena detto, si nota come la comunicazione del piano è fondamentale per la sua riuscita. Occorre dunque stabilire una strategia di comunicazione efficace. Lo scopo è quello di creare una certa connessione tra i pianificatori e la popolazione a livello comunicativo: non basta elaborare un piano tecnicamente ben fatto, ma bisogna saperlo comunicare nella maniera più adeguata ai suoi destinatari. Per tale motivo, occorre studiare il modo in cui si relazionano gli elementi della comunità in esame e il tipo di linguaggio utilizzato, per porsi il linea con tali caratteristiche. Per esempio, in numerose comunità la franchezza del linguaggio e il modo diretto di esprimere i concetti non sono ben apprezzati; in altre, al contrario, l'eccessivo formalismo con cui ci si esprime non suscita particolare simpatia. In sostanza, bisogna calibrare il proprio modo di esprimersi su quello prediletto dalle comunità locali, al fine di far riscuotere successo al proprio piano di

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sviluppo. Questo aspetto è molto importante soprattutto quando l'autorità centrale è coadiuvata da un'organizzazione internazionale o un Paese estero nella stesura del piani, i quali potrebbero appunto essere sconnessi a livello comunicativo con la popolazione locale.

Inoltre, al di là dell'utilizzo delle parole, risultano molto efficaci, per la comunicazione del piano, le dimostrazioni pratiche: un esempio concreto delle nuove tecniche e procedimenti da seguire è molto più utile di una conferenza oppure di un resoconto scritto, soprattutto quando il tasso di alfabetizzazione è scarso165.