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La storia istituzionale dopo l’indipendenza

Il motivo principale per cui si è scelto, in questa sede, di analizzare il Senegal come

case-study che possa fungere da approfondimento e, appunto, da riscontro

applicativo delle strategie per lo sviluppo esplicate nei precedenti tre capitoli, è il seguente: tale Paese rappresentò sostanzialmente l’unico caso di creazione di un regime democratico dopo la raggiunta indipendenza politica dalla Francia. Tale processo di democratizzazione delle istituzioni costituì un caso quasi unico all’interno del continente africano, per questo lo si assume come caso esemplare. Infatti, si ricordi sempre che la premessa fondamentale affinché vengano poste in essere strategie per lo sviluppo socioeconomico di un Paese, è proprio la presenza di istituzioni democratiche in quest’ultimo. Non esiste reale e consistente sviluppo senza democrazia, come si è ampiamente ribadito nel paragrafo del capitolo I dedicato al rapporto esistente tra questi due fattori. Appare doveroso, di conseguenza, fare una piccola cronistoria di tutti i principali avvenimenti politici accaduti in Senegal nel periodo post-indipendenza. I primi vagiti del processo di affrancamento dalla madrepatria si udirono già nel novembre 1958, quando dopo 300 anni di colonialismo francese il Senegal divenne membro della comunità francese con un governo proprio. Dopo due anni, il 5 settembre 1960, il Senegal proclamò ufficialmente l’indipendenza, pur mantenendo rapporti stretti con la Francia; il primo presidente della repubblica fu L. S. Senghor, il quale ricoprì tale carica fino al 1980. Di seguito si analizza con maggiore dettaglio il graduale processo di democratizzazione sperimentato dal Paese, il quale, appunto, non divenne immediatamente una piena democrazia, ma si avviò ad esserlo in un tempo brevissimo dopo il 1960. Innanzitutto, il Paese si configurò come una repubblica semipresidenziale, di fatto imitando il modello istituzionale della ex-madrepatria: era prevista la carica di presidente della repubblica, eletto tramite elezioni presidenziali, e di un’Assemblea Nazionale, i cui deputati venivano eletti tramite elezioni politiche. Inoltre, in concordanza con la maggioranza scaturita da quest’ultimo organo, si andava ad individuare la figura di primo ministro, il quale a sua volta formava il team di governo. Sia le elezioni presidenziali che quelle per l’Assemblea Nazionale si tenevano ogni cinque anni.

Nel 1962, come si ricorderà in seguito in maniera ancora più specifica, il presidente Senghor rimosse il primo ministro, Mamadou Dia, assumendo egli stesso tale carica. Dopo la vittoria dell’UPS, il partito di Senghor, nelle elezioni per l’Assemblea

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Nazionale del 1963, tutti gli altri partiti politici vennero dichiarati fuorilegge e si diede origine, nel 1966, ad un sistema monopartitico, dominato appunto dall’UPS. Già nel 1970, però, si rilevarono i primi progressi: venne reintrodotta la carica di primo ministro, affidata ad Abdou Diouf. Nel 1973 il presidente Senghor si ripresentò alle elezioni presidenziali e venne rieletto, seppur con l’impegno di apportare significative modifiche all’assetto partitico del Paese. Infatti, il riconfermato presidente liberò tutti i prigionieri politici nel 1974, tra cui lo stesso Mamadou Dia, e soprattutto emendò, nel marzo 1976, la Costituzione in modo da riconoscere l’esistenza di altri due partiti politici. Vennero così riconosciuti costituzionalmente tre partiti: il Parti Socialiste (PS), rifondazione dell’UPS, il Parti

démocratique sénègalais (PDS) e il Parti africain de l’indépandance (PAI),

rappresentanti rispettivamente delle correnti socialiste, liberal-democratiche e marxiste-leniniste. Il sistema si allargò a quattro partiti nel 1978, quando il

Mouvement républicain sénégalais (MRS) fu riconosciuto come rappresentante della

destra del Paese. Le prime elezioni nazionali con una competizione multipartitica si tennero nel febbraio 1978, in cui il PS ottenne 83 dei 100 seggi dell’Assemblea Nazionale, mentre i rimanenti furono assegnati al PDS. Nelle successive elezioni presidenziali Senghor ottenne una schiacciante vittoria sul principale candidato rivale, quello del PDS, Abdoulaye Wade. Nel marzo dello stesso anno si insediò un nuovo governo, anche se, vista la schiacciante vittoria del PS, fu sempre Diouf a presiederlo, il quale però attuò un cambiamento dell’esecutivo rispetto a quello precedente, per esempio non riconfermando il ministro per gli affari esteri Babacar Ba. Il presidente Senghor si dimise nel dicembre 1980: a succedergli fu lo stesso Diouf, il quale continuò la sua opera di democratizzazione del Paese. Infatti, venne proclamata un’amnistia per tutti i reati politici e si ebbe un ulteriore emendamento della Costituzione al fine di allargare ulteriormente la possibilità di partecipazione partitica. Non a caso, il Rassemblement national démocratique (RND) venne riconosciuto ed ammesso alle competizioni elettorali. Nonostante la democratizzazione del Paese e l’ampia possibilità di partecipazione partitica, nelle elezioni sia per l’Assemblea Nazionale sia per la presidenza della repubblica del 1983, Diouf ottenne una grande vittoria personale e del proprio partito, il PS: venne riconfermato con l’83,5% dei voti come presidente, mentre il suo partito ottenne 111

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dei 120 seggi dell’Assemblea Nazionale, lasciando solo 8 seggi al PDS e 1 al RND202.

Nonostante si sia dichiarato che il Senegal godeva e gode di un assetto istituzionale democratico, gli schiaccianti risultati elettorali sopra esposti del PS e dei suoi rappresentanti potrebbero lasciare adito a contestazioni riguardo tale affermazioni. In sostanza, le percentuali delle elezioni non sono in linea con quelle con cui si è soliti confrontarsi, almeno nelle democrazie occidentali. Tuttavia, tali risultati elettorali avevano un motivo molto più profondo: il PS e i suoi rappresentanti, tra cui soprattutto Senghor e Diouf, erano riusciti a stringere un forte legame con le confraternite islamiche dei muridi, in modo da influenzare in maniera determinante, a loro favore, l’esito elettorale in ogni tornata di votazioni. Tali confraternite, infatti, raggruppavano un gran numero di musulmani ed avevano straordinaria influenza sulla vita sociale del Paese. Si trova ancora più riscontro di tale dinamica nel fatto che i capi di tali confraternite furono spesso impiegati ai vertici della cosa pubblica senegalese. Le famiglie che esprimevano i capi si sentivano così tutelate e ben considerate all’interno del Paese. Sebbene si tratti di una dinamica ambigua, poiché di sicuro la fetta di popolazione non facente riferimento a tali confraternite veniva svantaggiata nella vita quotidiana, la si può considerare del tutto normale e fisiologica in un assetto democratico. In sostanza, anche nelle migliori democrazie avvengono implicite alleanze tra rappresentanti politici e fette importanti del tessuto sociale, anzi i partiti ambiscono proprio a rappresentare le istanze di gruppi sociali di vario genere203.

A riprova di quanto le confraternite muridi fossero influenti nella vita sociale del Paese, si consideri che esse erano già ampiamente presenti durante il periodo coloniale francese: il fondatore della confraternita muridi, poi organizzatasi in varie unità, fu infatti Amadou Bamba alla fine dell’Ottocento. Addirittura, i francesi le misero al bando e imprigionarono i loro capi perché, appunto, il potere di queste confraternite era molto forte sulla popolazione e rischiava di interferire con l’autorità della madrepatria. Tale operazione, condotta negli ultimi anni dell’Ottocento, non

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A. F. Sene, Senegal, trent’anni di indipendenza, Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo, Roma, 1992, pp. 15-17.

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ebbe però i risultati sperati per i coloni, perché l’influenza dei muridi sulla popolazione senegalese rimase intatta nel tempo204.

Si è illustrato, dunque, il graduale processo di democratizzazione del Senegal a partire dalla conquistata indipendenza nel 1960: già nel 1978, esso veniva considerato “nel contesto africano, fra i Paesi di maggiore stabilità politica e di più considerata moderazione”205. L’anno di piena maturazione democratica può essere considerato, appunto, il 1978, poiché in tale anno avvennero le prime elezioni, presidenziali e legislative, a cui poterono partecipare una pluralità di partiti. Le elezioni precedenti, ossia quelle del 1963, 1968 e 1973, furono caratterizzate dalla presenza di un solo partito politico, appunto l’UPS del presidente Senghor. Dopo ognuna di esse, non a caso, si registrarono tumulti e sommovimenti popolari. Nel 1963 ebbe luogo una rivolta per protestare contro supposte frodi elettorali, sedata con l’intervento dell’esercito. Nel 1968, sull’esempio del maggio francese dello stesso anno, si sviluppò contemporaneamente la rivolta degli studenti di Dakar, la cui università fu occupata, e lo sciopero generale dell’Unione Nazionale dei Lavoratori Senegalesi (UNTS). Anche in questo caso intervenne l’esercito, ma ad un’azione repressiva il presidente Senghor affiancò la concessione di massicci benefici ai lavoratori e importanti riforme in campo educativo. Nel 1973 infiammarono nuove rivolte, partite dagli studenti universitari e medi, le quali finalmente innescarono una vera e propria riconciliazione tra Senghor e la parte rivoltosa del Paese: infatti, nel 1974 fu liberato dal carcere l’ex primo ministro Mamadou Dia e, infine, nel 1976 si arrivò alla sospirata riforma costituzionale che introduceva il pluripartitismo.

In base a quanto esposto finora, potrebbe sorgere spontanea una domanda: il Senegal può considerarsi una democrazia solo a partire dal 1976? Secondo un’opinione diffusa, condivisa da chi scrive, la risposta è negativa. Il Paese africano può essere considerato avente un assetto democratico sin dal 1960, sebbene si possa ritenere quest’ultimo “immaturo” fino al 1976. In virtù di tale visione, acquisisce significato l’analisi dei piani di sviluppo che hanno avuto luogo già nel periodo 1960-1980 sotto la presidenza di Senghor, di cui di seguito si fornirà una disamina nei vari ambiti. Si ribadisce, dunque, il sostanziale assetto democratico del Senegal progressivamente conquistato nel tempo, soprattutto con la determinante partecipazione della popolazione locale, i cui tumulti trovarono un effettivo riscontro. Il Senegal, dunque,

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O. Del Guasto, Senegal, Comitato Nazionale per la Ricerca e per lo Sviluppo dell’Energia Nucleare e delle Energie Alternative, Roma, 1985, p. 10.

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funge da splendido esempio di partecipazione attiva della popolazione locale alla vita politica di un Paese, al fine di renderla migliore. Un esempio prezioso per gli altri Paesi africani206.

A completamento del quadro politico-istituzionale del Senegal, si segnala che il Paese, nel 1978, risultava diviso in otto regioni, ognuna retta da un governatore e con una propria assemblea locale regolarmente eletta207.

Di seguito si analizzano i tratti principali delle strategie seguite, negli anni 1960- 1980, nel settore agricolo, in quello infrastrutturale e in quello dell’istruzione, facendo dunque riferimento alle decisioni prese principalmente dal presidente Senghor e dall’Assemblea Nazionale dominata dall’UPS, poi divenuto PS.

Prima che ci si addentri nello specifico in tali settori, è bene fare una considerazione generale sulla linea di fondo caratterizzante la politica di Senghor, legata al concetto di “negritudine”. Con tale espressione si indica l’affermazione dell’esistenza del popolo negro, della sua autonomia e dunque separazione dalla sudditanza rispetto alle altre culture: essa divenne dunque uno strumento di liberazione etico-politico- culturale. Un aspetto cruciale della “negritudine” è il recupero delle radici originarie del popolo negro, poiché esse, in virtù della pesante influenza di altre culture, si sono perse e confuse con le tradizioni di altri popoli208. La “negritudine”, quindi, utilizzando le parole dello stesso Senghor, è il “patrimonio culturale, cioè il coacervo dei valori, e soprattutto lo spirito della civiltà negro-africana riportato alle origini”209. Oltre che una fonte di ispirazione per le politiche economiche e sociali, tale concezione inquadra l’appartenente alla popolazione africana in maniera differente rispetto a coloro che afferiscono ad altre culture e civiltà, proprio in senso filosofico e antropologico. Per esempio, sempre seguendo le affermazioni di Senghor, «il negro “sente” prima di vedere210», ossia è il depositario dell’emozione pura. Infatti, secondo la “negritudine”, l’emozione è negra, mentre la ragione è europea, specificatamente ellenica; se si prende un oggetto, il negro-africano lo intuisce prima di comprenderlo, mentre il bianco tende a razionalizzarlo. Si vedrà, in seguito, come la filosofia della “negritudine” abbia fortemente influenzato le scelte di politica economica e sociale adottate da Senghor, il suo principale teorizzatore211.

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Ivi, pp. 34-35. 207

Ivi, p. 35.

208 L. Angioletti, Leopold Sedar Senghor e la Negritudine, Federico Motta, Milano, 1978, p. 3. 209

Ibidem. 210

Ibidem.

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