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Il soddisfacimento del fabbisogno fisiologico

Dopo aver portato a termine un inquadramento generale del problema del ritardo di sviluppo, ci si concentra nel seguente capitolo esclusivamente sulle strategie per lo sviluppo nel settore agricolo. Infatti, nel precedente capitolo, si era fatto riferimento al problema dell’indipendenza alimentare come ad una delle questioni cruciali per i Paesi emergenti: in tale sede si fornisce ampio ed ulteriore approfondimento alla questione, partendo dalla necessità della mera sussistenza ma inquadrando in generale le strategie per sviluppare il settore agricolo.

All'interno del grande problema inerente la disponibilità futura di risorse alimentari, un particolare riferimento merita la questione relativa all'alimentazione delle comunità estremamente povere ed arretrate, le quali spesso vivono a grande distanza dalle vie di comunicazione e dai mercati di scambio. Si tratta di comunità la cui sussistenza è a stento assicurata dall'autoconsumo e che non hanno alcuna prospettiva di miglioramento socioeconomico, almeno finché non si realizzi una rete efficiente di trasporti e distribuzione. La mancanza di quest'ultima causa un notevole aumento del costo dei prodotti alimentari, soprattutto perché su di esso incidono significativamente i costi di trasporto, individuabili nei salari da pagare ai lavoratori dediti a trasportare a spalla i prodotti, per lunghe distanze. Purtroppo, anche pagando ad essi salari bassi, i costi di trasporti risultano elevati, incidendo sempre in maniera significativa sul costo finale dei prodotti.

Il tentativo di risolvere le difficoltà alimentari di tali popolazioni, attraverso l'immissione di prodotti offerti in dono, secondo piani di assistenza, da governi di altri Paesi, non sembra una buona soluzione: infatti, oltre ad essere una misura di mero tamponamento, il nodo cruciale delle infrastrutture rimane sempre presente e difficile da aggirare anche in questo caso. In sostanza, anche i doni alimentari devono usufruire di un canale di trasporto efficiente.

Innanzitutto, al fine di prendere in esame il problema delle disponibilità alimentari di popolazioni estremamente povere, occorre fissare un punto di riferimento relativo al

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fabbisogno minimo calorico e proteico di queste ultime. Al di là degli studi medici e fisiologici sul fabbisogno completo e strutturato di alimenti, applicabili in maniera plausibile solo ai Paesi più sviluppati, si assume in tale sede che il consumo di cereali sia destinato in gran parte a coprire il fabbisogno calorico e proteico. Tale assunzione è consistente con le abitudini alimentari nelle comunità più povere e sembra essere in linea anche con la composizione chimica dei cereali, la quale evidenzia come entrambi i suddetti tipi di fabbisogno possano essere coperti da tale categoria di alimenti. Dunque, numerosi tipi di prodotti frequentemente consumati nelle comunità ricche, come la carne e i prodotti lattiero caseari, vengono considerati come beni voluttuari all'interno delle aree povere in analisi.

Una volta stabilito che il fabbisogno fisiologico di un individuo può essere determinato in cereali, occorre considerare il fabbisogno di una intera comunità. In tale passaggio, non bisogna incorrere nell'errore di considerare una cifra predeterminata come il target calorico di riferimento valido per tutte le comunità del mondo. Infatti, il fabbisogno fisiologico deve essere considerato in funzione di una molteplicità di variabili: il peso dell'organismo, il fattore climatico, il sesso e l'attività motoria, fisica o lavorativa, che viene svolta dall'individuo. A titolo esemplificativo, si consideri la seguente tabella, sottolineando però che in essa sono presenti i dati relativi ai fabbisogni calorici medi pro capite, in funzione solo di due variabili: temperatura climatica e peso dell'individuo.

Tabella 1 - Fabbisogni calorici medi pro capite in diverse regioni Regioni Temperatura

annua media in °C

Fabbisogno giornaliero pro capite di calorie in rapporto al peso medio degli adulti di

sesso maschile 65 kg 60 kg 55 kg 50 kg Africa centrale 26,6 2.212 2.121 2.029 1.934 India 25,5 2.224 2.133 2.040 1.944 Cina meridionale 20,4 2.285 2.191 2.096 1.997 Cina settentrionale 9,2 2.414 2.315 2.214 2.110 Fonte: C. Clark, Problemi economici relativi alle future disponibilità alimentari, "Supplementi alle «Informazioni Svimez» sui problemi dei Paesi economicamente sottosviluppati", n. 127, 1963, p. 4530.

È chiaro, dunque, come il fabbisogno fisiologico non sia standard, ma a dir poco variabile, a seconda della comunità considerata: una popolazione con un elevato

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numero di infanti, ossia dal peso corporeo ridotto, avrà bisogno di un quantitativo di calorie pro capite inferiore a quello di una popolazione con una più elevata percentuale di adulti. Inoltre, una comunità che vive all'interno di un territorio con clima caldo, necessiterà di una quantità minore di alimenti rispetto a quelle stanziate lungo climi freddi.

Al fine di raffrontare e raggruppare i dati sulla produzione agricola, è utile servirsi del cosiddetto “equivalente grano”, il quale esprime in quantità di grano tutti i prodotti agricoli, utilizzando il prezzo di questi ultimi come coefficiente di conversione in grano. Ciò appare in linea con quanto appena affermato per le popolazioni estremamente povere, le quali basano la maggiore parte della loro produzione e alimentazione sui cereali, tra cui primeggia il grano. Dopo aver computato in tal modo tutti i prodotti agricoli commestibili, si può estrapolare che il fabbisogno fisiologico minimo della popolazione mondiale oscilla tra i 225 kg e i 268 kg annui di “equivalente grano” pro capite. Questa forchetta tiene in considerazione i valori minimi e massimi in relazione con le caratteristiche suddette: ossia è di 225 kg per popolazioni di piccola corporatura abitanti in climi caldi e di 268 kg per comunità di corporatura massiccia e stanziate lungo climi freddi.

Purtroppo, alla luce del calcolo suddetto, risulta che una fascia inclusa tra il 10% e il 15% della popolazione mondiale vive in condizioni di sottonutrizione. Tali estrapolazioni sono riferite al 1961, dunque si può immaginare che la situazione odierna risulti ancora più drammatica in virtù dell'esponenziale aumento della popolazione nei Paesi sottosviluppati.

Il problema centrale, dunque, è quello di assicurare almeno il fabbisogno fisiologico minimo anche alle comunità estremamente povere. A tale fine, occorre considerare un aspetto molto importante: qualora l'alimentazione di una comunità scenda al di sotto del livello minimo di sussistenza, non si verifica la morte degli individui che la compongono, anzi si può vivere per anni, seppur con un forte incremento dei tassi di mortalità e di morbilità di numerose malattie. Ciò che cambia significativamente, invece, è il modo di vivere di tali popolazione sottonutrite: esse si adattano all'insufficiente assorbimento di calorie con risultati socialmente negativi, come la scarsità di energia e di iniziativa, nonché la tendenza ad evitare ogni sforzo fisico e mentale. Le ricadute economiche sono facili da immaginare: una comunità malnutrita dimostra una scarsa capacità produttiva, con la conseguente percezione di un basso

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reddito. Infatti, la popolazione non potrà dedicarsi adeguatamente alle attività economiche e permettere così la creazione di un sovrappiù, ossia di un'eccedenza rispetto alla copertura dell'autoconsumo, il quale è alla base della formazione del reddito pro capite.

Al fine di considerare il problema della sottonutrizione nei Paesi sottosviluppati, occorre innanzitutto comprendere quale sia il punto massimo di resa dei terreni, ossia di disponibilità di prodotti agricoli, a cui essi possono ambire. Considerando le terre disponibili per la coltivazione, le rudimentali tecniche per la loro lavorazione e la forza lavoro, si può estrapolare un dato generale sulla produttività del lavoro nelle aree agricole primitive: l'input massimo di manodopera è fissato a 1.250 ore lavorative annue per ettaro di terreno. In sostanza, la produttività marginale è quasi pari a zero quando si supera tale soglia, infatti quest'ultima può essere considerata come il punto critico di sovraffollamento dei terreni. Si specifica che la produttività del lavoro è misurata in chilogrammi di “equivalente grano” per ora lavorativa e che la produttività marginale è, appunto, il prodotto che si ottiene con un'ora addizionale di lavoro. Al di là di tale soglia, non si ottiene più prodotto dal terreno. Una volta esplicato il punto di massimo a cui si può ambire, si può prendere in considerazione il caso di due villaggi di coltivatori di cacao nella Nigeria nord-occidentale al fine di comprendere quale sia, invece, il punto corrispondente al livello di sostentamento: a seguito di un campionamento effettuato nei due suddetti luoghi, si rilevò nel 1957 che l'input di manodopera era pari rispettivamente a 660 ore lavorative per ettaro, per il primo, e a 800 per il secondo. Il livello di sostentamento risulta diversificato a seconda del Paese preso in considerazione: per esempio, da un'indagine svolta in Gautemala, si rileva essere pari a 950 ore lavorative per ettaro. Si può concludere, quindi, che il livello di completo soddisfacimento dei fabbisogni fisiologici nei Paesi sottosviluppati può essere assicurato da un ammontare di ore lavorative per ettaro al di sotto di 1.000. Naturalmente, nel caso in cui l'input di manodopera sia inferiore alla suddetta soglia delle 1.250 ore lavorative per ettaro, la produttività marginale del lavoro risulta essere ancora molto elevata.

Una volta raggiunta la soglia di sostentamento, si potrebbe continuare a produrre, fino al limite delle 1.250 ore lavorative per ettaro, al fine di commerciare i prodotti agricoli. Uno dei motivi per cui i coltivatori non producono di più è che, pur desiderando aumentare le proprie entrate per acquistare prodotti industriali, essi si

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trovano di fronte all'impedimento costituito dalle carenze del settore dei trasporti e dall'insufficiente organizzazione della distribuzione. L'organizzazione del settore infrastrutturale appare quindi una necessità impellente, dopo il soddisfacimento dei bisogni alimentari fisiologici.

Dunque, a conclusione di quanto appena esposto, si può affermare che, con l'aumentare della produzione agricola, si verificano i seguenti fenomeni: innanzitutto, vi è un miglioramento della nutrizione di tutti i soggetti della società, fino al soddisfacimento del loro fabbisogno completo; in seguito, dopo la soglia approssimabile a meno di 1.000 ore lavorative per ettaro, inizia l'esportazione di prodotti agricoli, al fine sia di finanziare l'importazione di beni di cui il Paese ha bisogno, sia di creare un sovrappiù. Una peculiare condizione è rappresentata da quei Paesi che, invece dei prodotti agricoli, possono esportare petrolio, stagno e, più in generale, materie prime del sottosuolo. Infine, dopo la soglia delle 1.250 ore lavorative per ettaro, una crescente aliquota delle forze lavoro può indirizzarsi verso attività extra-agricole, nelle quali inizia ad essere impiegato il sovrappiù.86