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La destinazione della produzione agricola vendibile

Al fine di comprendere quale sia l'effettiva destinazione della produzione agricola vendibile in un Paese sottosviluppato, si consideri di seguito la “teoria della produzione agricola vendibile”, la quale, tuttavia, risulta ampiamente smentita dalle osservazioni empiriche relative ai Paesi in via di sviluppo. Si necessita una sua analisi in termini comparativi, al fine di comprendere meglio quale sia, invece, una teoria più esatta relativa alla destinazione della produzione agricola vendibile. Secondo la “teoria della produzione agricola vendibile”, quest'ultima viene inizialmente venduta e crea un sovrappiù nel settore agricolo. Il sovrappiù viene impiegato per la nascita di un rudimentale settore industriale, nel quale viene assorbita la manodopera eccedente nel settore agricolo. Poiché in tal modo si riduce la manodopera totale nel settore agricolo, allora si accrescono i redditi pro capite degli addetti al settore primario. Tali addetti, una volta divenuti più ricchi, preferiscono consumare la produzione agricola vendibile piuttosto che venderla. In tal modo, non si alimenta la creazione di sovrappiù e si blocca la crescita del settore

86 C. Clark, Problemi economici relativi alle future disponibilità alimentari, "Supplementi alle «Informazioni Svimez» sui problemi dei Paesi economicamente sottosviluppati", n. 127, 1963, pp. 4528-4549.

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industriale, causando inoltre una carenza di prodotti agricoli agli addetti del settore secondario. Di seguito, si amplia e si specifica meglio tale meccanismo.

Una volta che si iniziano a creare nuovi settori extra-agricoli grazie all'investimento del sovrappiù, a sua volta scaturito dalla vendita della produzione agricola vendibile, è piuttosto difficile continuare ad alimentarli con tali investimenti, per una molteplicità di ragioni. Innanzitutto, dopo l'avviamento del processo di industrializzazione, iniziano a intravvedersi prospettive per la risoluzione del problema della disoccupazione nascosta nelle aziende agricole: con tale fenomeno, si intende la presenza di lavoratori che non sono utili e produttivi per il settore, di cui dunque si può fare a meno. Tali individui, in ragione di quanto detto, possono invece essere impiegati nel nascente settore industriale. Quando ciò avviene, diminuisce la manodopera nel settore agricolo e ciò provoca un aumento dei redditi pro capite percepiti dai rimanenti addetti agricoli, proprio perché aumenta la produzione agricola pro capite. Tuttavia, questi ultimi addetti scelgono di migliorare la propria dieta e aumentare il consumo di beni agricoli, piuttosto che vendere questi ultimi e continuare a contribuire alla creazione di sovrappiù. Quindi, non si verifica un aumento del prodotto agricolo vendibile, con l'ulteriore conseguenza che gli addetti trasferiti nel settore industriale dovranno fronteggiare una certa scarsità di prodotti alimentari. Il pilastro su cui poggia questa affermazione è la ridotta propensione marginale al risparmio da parte del contadino: infatti, il suo basso reddito è causa di ciò, così che ogni aumento del reddito reale pro capite, derivante dal trasferimento della popolazione eccedente, è destinato in massima parte a maggiori consumi. Occorre, tuttavia, essere più specifici riguardo alla composizione di tali consumi: il secondo pilastro della teoria finora esposta è quello secondo cui l'aumento dei consumi riguarda in massima parte i prodotti agricoli. Per tale motivo, appunto, non aumenta la vendita di produzione agricola vendibile. Se, invece, l'aumento del consumo riguardasse i prodotti industriali, si avrebbe un aumento della produzione agricola destinata al mercato.

Fin qui, la teoria della produzione agricola vendibile sembra plausibile, tuttavia proseguendo nella sua illustrazione si riscontrano palesi contraddizioni con quanto affermato in precedenza, tanto da invalidarla.

In aggiunta a tutta la dinamica che si innesca a partire dallo spostamento di manodopera verso settori extra-agricoli, si delinea un aspetto psicologico peculiare

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del contadino: il miglioramento delle tecniche produttive agricole induce il contadino a diminuire le sue prestazioni, poichè egli preferisce avere più tempo libero e mantenere invece costanti sia il reddito che il consumo; in questo modo, la produzione agricola rimane costante o addirittura diminuisce, con ripercussioni anche sulla produzione agricola vendibile.

Risulta chiaro che quanto appena affermato è in contraddizione con le argomentazioni precedenti: da una parte la “teoria della produzione agricola vendibile” presenta il contadino come dotato di una elevata propensione marginale al consumo, il quale infatti decide di consumare il maggiore reddito accumulato in prodotti agricoli, dall'altra invece il lavoratore agricolo possiede una propensione marginale al consumo nulla, infatti il contadino preferisce aumentare le proprie ore di riposo e mantenere così costante sia il reddito che il consumo.

La “teoria della produzione agricola vendibile” presenta delle contraddizioni nella sua stessa esposizione, inoltre è possibile smentirla in ogni sua parte andando ad analizzare quanto avviene realmente nei Paesi sottosviluppati.

Innanzitutto, occorre fare una premessa: in un'economia sottosviluppata sono presenti due settori, ossia uno tradizionale e uno progredito; quest'ultimo presenta modestissime dimensioni. I due settori sono inquadrabili, rispettivamente, come il settore agricolo e quello industriale, ai quali corrispondono due diverse aree di insediamento dei lavoratori, ossia di tipo rurale e di tipo urbano. È necessario ribadire, a tal proposito, che esistono delle continue relazioni tra i due distinti gruppi di lavoratori; ciò è centrale per la formazione, nel settore agricolo, del cosiddetto effetto dimostrativo. Con tale concetto, applicato a livello intersettoriale, si intende la dinamica secondo la quale i desideri e le preferenze del settore moderno si diffondono lentamente in quello arretrato, attraverso appunto la rete di contatti esistente tra i due gruppi di lavoratori. L'operaio, che emigrò a suo tempo dalle campagne e che mantiene rapporti con il proprio villaggio di origine, è ritenuto il più importante tramite per la diffusione delle abitudini di consumo da un settore all'altro. La diffusione, nel settore arretrato, di desideri e preferenze tipici di quello più avanzato, crea uno squilibrio fra i consumi effettivi e quelli desiderati che i contadini intendono colmare. In relazione a quanto appena detto, è possibile stravolgere l'impianto della teoria precedentemente esposta: quando aumenta la produzione agricola, il contadino tende a vendere la quantità eccedente per accrescere il proprio

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reddito pro capite e poter aumentare i propri consumi, costituiti da beni tipici del settore moderno piuttosto che da prodotti agricoli, in virtù dell'effetto dimostrativo esposto. Il divario tra consumi effettivi e desiderati può essere quindi colmato da un aumento della produzione; per tale motivo, l'aumento della produttività tende ad aumentare la produzione agricola, spingendo il lavoratore agricolo a lavorare di più. Secondo quanto appena esposto, la “teoria della produzione agricola vendibile” risulta neutralizzata in ogni sua parte: infatti, si è dimostrato che il contadino accresce il consumo di prodotti del settore moderno, piuttosto che di prodotti agricoli; inoltre, la psicologia del lavoratore agricolo non spinge quest'ultimo a lavorare di meno in concomitanza di un aumento della produttività, ma piuttosto lo spinge a lavorare di più, proprio per aumentare la produzione e colmare il divario tra consumi effettivi e consumi desiderati. L'unica intuizione sostenibile della suddetta teoria risiede nel fatto che, con lo spostamento dei disoccupati nascosti dal settore tradizionale a quello moderno, i rimanenti occupati del primo avranno un aumento del reddito pro capite. L'aumento di quest'ultimo, tuttavia, è ulteriormente potenziato, in maniera cruciale, dall'aumento di produttività e di produzione agricola che la teoria stessa non spiega.

A supporto del fatto che nelle economie agricole, che abbiano raggiunto l'autosufficienza, una parte consistente del prodotto agricolo viene esportato, piuttosto che consumato dagli stessi contadini secondo l'erroneo convincimento della “teoria della produzione agricola vendibile”, vi sono numerosi dati: in tali economie, la aliquota media di vendita sul mercato varia dal 20% al 40%, a seconda della regione e del tipo di prodotto. Per esempio, dal 1907 al 1940 il Siam ha esportato il 40-50% del suo raccolto complessivo di riso; inoltre, secondo dati del 1931, il contadino coreano vendeva il 40% del suo raccolto di riso, i coltivatori indiani vendevano il 35% di tutta la loro produzione agricola, così come in Cina si era soliti vendere il 10-25% dei diversi raccolti. Tali cifre dimostrano che la produzione per il mercato costituisce una caratteristica permanente dell'agricoltura contadina nelle zone sottosviluppate.

Inoltre, si consideri che il contadino possiede anche una propensione marginale al risparmio, la quale contribuisce all'ulteriore aumento della produttività e della produzione agricola. Fin quando la domanda di prodotti agricoli rimane stazionaria, essa non si manifesta; tuttavia, quando l'economia si dimostra in espansione, ossia vi

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è un'espansione della domanda di prodotti agricoli, il contadino è stimolato ad investire in migliorie che accrescano la produttività dei terreni, come i fertilizzanti. Dunque, la propensione al risparmio del contadino, che si attiva solo alla suddetta condizione, spinge ad aumentare ulteriormente il prodotto agricolo vendibile.

L'importanza dell'effetto dimostrativo e della diffusione della propensione al consumo da un settore all'altro, all'interno di un'economia sottosviluppata, trova conferma anche nell'analisi della posizione debitoria delle famiglie rurali. Si osserva che il rapporto tra debiti contratti e reddito è il medesimo per i contadini più ricchi e per quelli più poveri: un'interpretazione corretta del fenomeno va basata sull'analisi della domanda di credito. In sostanza, il divario tra tenore di vita desiderato e quello possibile esiste ed è consistente presso tutte le categorie di contadini, perciò l'indebitamento è uno dei mezzi con il quale essi tentano di colmare il divario stesso. Dunque, in mancanza di un reddito adeguato per consumare i prodotti desiderati, si preferisce contrarre un debito, ciò accade a tutti i livelli di benessere a cui ci si trova. In tale contesto, la contrazione di un debito e l'aumento di vendita delle eccedenze agricole, con consequenziale aumento del reddito, appaiono come alternative. Ciò è confermato da un'analisi dell'indebitamento rurale in India durante la seconda guerra mondiale: tra il 1939 e il 1945 si crearono una serie di condizioni favorevoli per i contadini, tra cui un aumento dei prezzi agricoli e un miglioramento delle ragioni di scambio a favore del settore primario. Tuttavia, ad approfittare di tale quadro, furono solo i contadini con appezzamenti di terra grandi o medi: essi riuscirono ad aumentare la produzione agricola vendibile, ad accrescere i propri redditi e, contemporaneamente, a diminuire la loro richiesta di debiti; mentre i contadini con piccoli terreni non produssero una quantità di prodotti agricoli aggiuntiva e, in virtù di questo e di un mancato accrescimento dei loro redditi, furono costretti ad aumentare la loro posizione debitoria.

Secondo il Madras Survey, tra il 1939 e il 1945, le variazioni della posizione debitoria dei vari gruppi di coltivatori furono le seguenti:

Tabella 2 - Posizione debitoria dei contadini indiani tra il 1939 e il 1945

Gruppi di agricoltori Posizione debitoria

Gruppo I (oltre 25 acri) -40% Gruppo II (da 5 a 25 acri) -25%

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Gruppo III (meno di 5 acri) -12%

Gruppo IV (affittuari) +4%

Fonte: V. Dubey, Produzione agricola vendibile e crescita economica nei Paesi sottosviluppati, "Supplementi alle «Informazioni Svimez» sui problemi dei Paesi economicamente sottosviluppati", n. 138, 1964, pp. 4890-4900.

Nell'esempio appena citato, si consideri che l'entità del terreno agricolo coltivabile, a parità di condizioni favorevoli, fece la differenza riguardo alla possibilità di creazione di produzione agricola vendibile aggiuntiva: quest'ultima cresceva all'aumentare degli acri disponibili.

Il concetto appena introdotto è centrale per l'incremento della vendita di prodotti agricoli: quanto maggiore è la disponibilità della terra, in termini di acri, da parte del singolo contadino, tanto maggiore sarà il suo contributo alla produzione e vendita di prodotti agricoli sul mercato. Inoltre, è tipico di un'economia agricola di un Paese sottosviluppato, il fatto che la gran parte della terra disponibile sia nelle mani di un ristretto gruppo di contadini, mentre una quantità consistente di questi ultimi si divide una quantità irrisoria di terreno agricolo. Entrambi i concetti sono confermati dai dati disponibili: da un'indagine condotta in India, contenuta nel Report of the

national sample survey numero 10 del 1960, si desume che i grandi proprietari

coltivano il 58% della superficie agraria, quelli medi il 32% e i piccoli proprietari solo il 10%. I grandi e i medi proprietari terrieri, tuttavia, costituiscono solo il 14,4% delle famiglie totali, mentre la restante parte si divide il 10% del terreno agricolo, che risulta in tal modo estremamente parcellizzato. Altri dati a sostegno della suddetta tesi possono essere ricavati da uno studio sulla distribuzione della produzione agricola vendibile per classi di ampiezza della proprietà, condotta in India: nel complesso, le proprietà superiori ai 10 acri, ossia medie e grandi, concorrono al 60% del prodotto vendibile complessivo dell'India; tali dati si riferiscono allo studio di A.M. Khusro e N. Agarwal, intitolato The problem of cooperative farming in India, del 1961.

Dunque, riassumendo, si è riscontrato che grandi appezzamenti di terreno agricolo sono coltivati da pochi contadini, i quali contribuiscono per la stragrande maggioranza alla formazione delle eccedenze agricole vendibili sul mercato. Ciò avviene, oltre che per le caratteristiche intrinseche delle terra, anche per la condizione reddituale del contadino che gestisce la grande proprietà terriera: essi sono più ricchi degli altri, dunque sono generalmente meno interessati a maggiori

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consumi alimentari e più attratti, invece, dalla possibilità di impiegare le entrate, derivanti dalla vendita di prodotti agricoli, per l'acquisto di beni industriali.

Esiste un solo caso in cui la maggiore disponibilità di terra influisce negativamente sulla vendita di prodotti agricoli: il contadino potrebbe preferire immagazzinare tali prodotti al fine di attendere che i loro prezzi aumentino sul mercato. Ciò si è verificato nella storia: secondo il Report on market arrival of foodgrains per la stagione 1958-1959, i contadini indiani hanno mostrato una tendenza ad immagazzinare i cereali dopo il raccolto, in attesa di un miglioramento dei prezzi di mercato. Tuttavia, quanto detto costituisce un fenomeno di breve periodo e comunque affrontabile mediante un'adeguata politica dei prezzi e degli acquisti. Dunque, riassumendo sinteticamente quanto detto finora, si può affermare che un aumento della produttività agricola causi un aumento della produzione agricola vendibile, la quale viene venduta per accrescere il reddito dei contadini, i quali sceglieranno di impiegare tale reddito per consumare prodotti provenienti dal settore più moderno. Inoltre, in presenza di un aumento della domanda di prodotti agricoli, si riscontra un tasso di risparmio positivo del contadino, il quale sceglierà di impiegare parte del proprio accresciuto reddito per investire nella propria attività e renderla ancora più produttiva. L'aspetto centrale della questione emerge chiaramente: si rende necessario individuare una serie di misure volte ad incrementare la produttività agricola e a sostenere i salari che possano far aumentare la domanda di beni agricoli. Ciò costituisce la base dello sviluppo agricolo e di quello industriale di un Paese ancora sottosviluppato.

L'esperienza dei piani quinquennali in India ci dimostra quanto sia difficile raggiungere tale obiettivo, ossia incrementare la produzione agricola vendibile. Secondo i dati, fatto 100 l'indice di produzione agricola nel 1949-1950, nel 1956- 1957 esso si è attestato a 123,6, mentre nel 1957-1958 è sceso a 114,6, risalendo poi a 135 negli anni 1960-196187.

87 V. Dubey, Produzione agricola vendibile e crescita economica nei Paesi sottosviluppati,

"Supplementi alle «Informazioni Svimez» sui problemi dei Paesi economicamente sottosviluppati", n. 138, 1964, pp. 4890-4900.

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