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Il rapporto uomo-macchina e il dominio della società

4.2. Teorie politiche

4.2.1. Il rapporto uomo-macchina e il dominio della società

La società si era trasformata in un'appendice della fabbrica a causa della 261A. VENTRONE, “Vogliamo tutto”. Perché due generazioni hanno creduto nella rivoluzione

1960-1988, Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, pp. 24-5.

progressiva estensione del dominio del capitale dalla seconda verso la pri- ma. Tronti nel suo saggio La fabbrica e la società (prima comparso nel nu- mero 2 di Qr e poi riunito insieme ad altri scritti nel libro Operai e capitale) cercò di «delineare gli enormi cambiamenti che la generalizzazione del plusvalore relativo263 nella forma del capitale sociale aveva indotto nella società capitalista».264

La vicenda inglese della riduzione dell'orario lavorativo portò Tronti ad affermare che

la lotta di classe operaia ha costretto il capitalista a modificare la forma di domi- nio. Il che vuol dire che la pressione della forza-lavoro è capace di costringere il capitale a modificare la sua stessa composizione interna; interviene dentro il capi- tale come componente essenziale dello sviluppo capitalistico265

Uno dei motivi per cui il capitale si evolveva era la pressione a cui lo sottoponeva la classe operaia che aveva in sé la capacità di intervenire atti- vamente sulla produzione. Ma questo non voleva dire che riusciva a ridur- re lo sfruttamento a cui era sottoposta («lo sfruttamento della forza-lavoro può avvenire anche facendo economia di lavoro»266). La dialettica operai- capitale aveva anche l'effetto di favorire «lo sviluppo della forza produtti- va più grande, la classe operaia come classe rivoluzionaria.»267

Grazie al plusvalore relativo il dominio capitalistico cominciò a uscire dalla fabbrica per estendersi nella società, perché:

quanto più avanza lo sviluppo capitalistico, cioè quanto più penetra e si estende la produzione del plusvalore relativo, tanto più necessariamente si conchiude il circolo produzione-distribuzione-scambio-consumo, tanto più, cioè si fa organico il rapporto tra produzione capitalistica e società borghese, tra fabbrica e società, tra società e Stato.268

e quindi:

263Esistono due tipi di plusvalore uno assoluto e l'altro relativo. Il plusvalore assoluto è l'incremento della produzione ottenuta tramite l'allungamento della giornata lavorati- va. Il plusvalore relativo invece è l'incremento della produzione riducendo la giornata lavorativa grazie all'uso di macchine.

264S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 60.

265M. TRONTI, La fabbrica e la società, in Operai e capitale. Nuova edizione accresciuta, Giulio

Einaudi editore, Torino, 1971 (1a edizione 1966), p. 47.

266Ivi, p. 48.

267S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 61.

al livello più alto dello sviluppo capitalistico, il rapporto sociale diventa un mo-

mento del rapporto di produzione, la società intera diventa un'articolazione della

produzione, cioè tutta la società vive in funzione della fabbrica e la fabbrica esten- de il suo dominio esclusivo su tutta la società.269

In questo allargamento del potere del capitale, «la macchina dello Stato politico tende sempre più a identificarsi con la figura del capitalista colletti-

vo, sempre più diventa proprietà del modo capitalistico di produzione e

quindi funzione del capitalista».270 Lo stato si confonde con il sistema capita- listico e diventa una sua emanazione che serve a rendere il dominio del ca- pitale un fatto normale, dato che «si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizioni, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo capitalistico».271 I processi di razionalizzazione che il capitale mise in atto per aumentare il suo plusvalore relativo hanno avu- to come effetto quello di orientare la società verso i bisogni dei capitalisti perché

è lo stesso sviluppo capitalistico che tende a subordinare ogni rapporto politico al rapporto sociale, ogni rapporto sociale al rapporto di produzione, ogni rapporto di produzione al rapporto di fabbrica272

La fabbrica costituiva il punto di origine del processo di socializzazione del capitale, perché era ad essa che tutti i rapporti erano subordinati:

rapporto di fabbrica

rapporto di produzione rapporto sociale

rapporto politico

La fabbrica quindi doveva essere lo scenario della lotta contro il capitale perché qui iniziò la «lotta del capitalista per scomporre e ricomporre a propria immagine la figura antagonista dell'operaio collettivo»273 era a essa che si doveva tornare per sconfiggere il capitale. Si ritornava sempre alla necessità per il capitalista di trovare il modo di aumentare il suo plusvalo- re relativo, perché era questo bisogno che lo spingeva a innovare le tecni- che di produzione, viste come «metodi particolari di produzione del plu- 269Ivi, p. 51.

270Ivi, p. 52.

271Ibidem (I, 3, p. 196), p. 52. 272Ivi, p.54.

svalore relativo»274, che rendeva necessario il controllo sempre maggiore della forza-lavoro da parte del capitale perché

Il capitale dipende sempre più dalla forza-lavoro; deve quindi possederla sempre più compiutamente, come possiede le forze naturali della sua produzione; deve ridurre la classe operaia a forza naturale della società. Quanto più avanza lo svilup- po capitalistico, tanto più il capitalista collettivo ha bisogno di vedere tutto il lavo- ro dentro il capitale, ha necessità di controllare tutti i movimenti, interni ed ester- ni, della forza-lavoro, come indice di stabilità del sistema sociale.275

La stabilità sociale, ottenuta dal controllo della classe operaia, era condi- zione base per il buon funzionamento della fabbrica e quindi si rendeva necessario, perché il sistema funzioni, integrare la classe operaia. Di fron- te alla prospettiva dell'integrazione la classe operaia si trovava a un bivio tra «stabilizzazione dinamica del sistema o rivoluzione operaia».276 Questo processo rivoluzionario non poteva essere impostato senza un'organizza- zione politica della classe operaia che non poteva dirigere la rivoluzione restando fuori dalla fabbrica, lottando magari a livello politico, perché la «macchina dello Stato borghese va spezzato oggi dentro la fabbrica capita- listica».277 Lo Stato, riducendosi a «espressione particolare dei bisogni so- ciali della produzione capitalistica»278 non costituiva il nemico ultimo da abbattere, perché sarebbe rimasta sempre la fabbrica, da dove tutto aveva origine, da sconfiggere. Solo una volta proceduto a farlo, l'ordine capitali- sta sarebbe potuto essere distrutto e sostituito.

La progressiva diffusione della tecnologia nelle fabbriche italiane con- tribuì a creare la figura dell'operaio-massa, caratterizzato da una bassa qualifica professionale e dall'alienazione dal lavoro che il progresso tecno- logico aveva reso monotono e ripetitivo. La razionalizzazione capitalista si riflesse sull'operaio aumentandone il carico di lavoro e riducendolo a una semplice appendice della macchina dove più che l'intelligenza erano le «prerogative fisiche di velocità dei movimenti e di resistenza fisica»279 a essere richieste. Di fronte a tutto ciò la sinistra tradizionale mantenne il suo atteggiamento di disinteresse verso la tecnologia, lasciando l'organiz- 274Ivi, p. 56.

275Ibidem. 276Ivi, p. 57. 277Ivi, p. 59. 278Ibidem.

zazione delle condizioni di lavoro nelle mani dei padroni e preoccupando- si principalmente di salari e distribuzione. Infatti nel corso degli anni '60 uno degli elementi della crisi di leadership del sindacato fu il loro disinte- resse verso le condizioni del lavoro che avrebbe spinto molti operai a cer- care altrove qualcuno disposti a difenderli. L'analisi operaista su questo punto, cioè il ruolo della macchina nel sistema capitalista, si discostava dalla posizione dominante dell'epoca e Panzieri considerava il macchina- rio come determinato dal capitale «che lo utilizza per spingere al massimo la subordinazione del lavoro vivo».280 La macchina in quest'ottica diventa- va un ulteriore strumento a disposizione del capitale per «perpetuare e consolidare la struttura autoritaria dell'organizzazione della fabbrica».281 L'ottenimento di migliori condizioni di vita per l'operaio non era solamen- te legato al salario e ai consumi ma dipendeva anche dalla sfera della pro- duzione perché «era come produttori che gli esseri umani soffrivano l'alie- nazione nelle mani del capitalismo».282

L'impatto della tecnologia nella vita di fabbrica contribuì ad avviare un processo di mutamento della composizione della classe operaia su cui si doveva indagare per meglio preparare la lotta contro il capitale. Attraver- so l'inchiesta operaia si voleva comprendere l'«autentica esperienza opera- ia»,283 dove l'intellettuale aveva bisogno del lavoratore per capire i disegni dei capitalisti e comprendere i cambiamenti ma al contempo, l'operaio do- veva ricorrere allo studioso se voleva passare dalla denuncia delle micro- contraddizioni del suo lavoro alla comprensione delle contraddizioni di fondo del sistema.284 Questo nuovo modo di fare ricerca prese il nome di “conricerca” e aveva in Alquati uno dei suoi fondatori. «Non si basava af- fatto sulla qualificazione professionale, sulle competenze del mestiere; coinvolgeva operai e (impiegati e tecnici e operatori) in un lavoro sistema- tico di ricerca su tutto l'arco della loro sopravvivenza e conflittualità e lot- ta, alla pari con gli intellettuali e e ricercatori esterni a quel dato ambito la- vorativo».285 Attraverso la “conricerca” si eliminavano le differenze tra in-

280S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 66.

281Ibidem. 282Ivi, p.67.

283A. VENTRONE, “Vogliamo tutto”, p. 40.

284Ibidem.

tervistatore e intervistato cercando di creare quindi un rapporto di reci- proca influenza e scambio che avrebbe, alla fine, avvantaggiato entrambi i soggetti dell'inchiesta.

La tecnologia quindi si dimostrò essere uno dei fattori che spingeva il capitale a estendersi al di fuori della fabbrica verso la società che doveva quindi modellarsi sulla necessità del sistema produttivo. L'uso massiccio delle macchina permetteva di aumentare la produzione rendendo il lavo- ratore succube del macchinario perché era lui che doveva adattarsi, e non viceversa, ai ritmi produttivi imposti dalla tecnologia. Le nuove esigenze del capitale rendeva necessario ricorrere alla pianificazione, dato che lo sviluppo dell'uso capitalistico delle macchine era strettamente legato il tema della programmazione economica.286 La pianificazione secondo Pan- zieri, che qui si discostava dalla linea dominante dell'epoca, non era nemi- ca delle leggi del capitale ma era diventata «l'espressione fondamentale della «legge del plusvalore», estendendosi fuori dal luogo di lavoro per af- fermare il suo comando sulla società intera».287