4.2. Teorie politiche
4.2.2. L'organizzazione della classe operaia
Un nuovo modo di pensare l'organizzazione operaia emerse principal- mente nei lavori comparsi sulla rivista “Classe operaia” (Co) che, nata da una scissione interna a Qr, finì per raccogliere la gran parte dei membri at- tivi in Veneto e a Roma. Le pubblicazione di Co iniziarono quando si sta- va esaurendo la spinta del boom economico e ci si stava avviando verso la crisi del 1963-64, innescata principalmente da un eccessivo aumento dei salari rispetto alla produttività. Di fronte al rallentamento congiunturale che, se non bloccato, poteva trasformarsi in crisi, la classe dominante si trovava di fronte a un dilemma:
o prendere l'iniziativa coraggiosa di un attacco politico generale che blocchi in fabbrica e respinga e devii l'attuale pressione operaia sullo processo di accumula- zione capitalista, oppure rassegnarsi a subire, in prospettiva, tutti i contraccolpi direttamente economiche inevitabilmente provoca il meccanismo di riaggiusta-
bali: ricchezza e limiti dell'operaismo italiano, DeriveApprodi, Roma, 2002, p.14.
286S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 68.
mento oggettivo offerto dalla crisi.288
Ambedue le scelte spaventavano il capitale:
la prima eventualità terrorizza il ceto politico borghese nel suo complesso, per la terribile risposta operaia che ne potrebbe derivare: non a caso la soluzione gover- nativa, anche nella sua veste, cerca di non assumere simili iniziative. La seconda terrorizza il capitalista singolo, per quell'arresto nel suo profitto privato...289
Era possibile però innestare sul terreno della congiuntura un program- ma di lotte (centrate sul blocco della produzione e la richiesta di aumenti salariali alla richiesta di calmierarli a esempio). Benché non avessero of- ferto reali possibilità di vittoria,
la stabilizzazione della congiunzione poi ci sarà, l'equilibrio dello sviluppo verrà ricomposto, la programmazione prenderà a funzionare e la struttura dello stato si adeguerà di conseguenza, ma con un rapporto di forza diverso, una classe opera- ia più forte, agguerrita e rafforzata dallo scontro, organizzata dall'esperienza, pre- sente sul terreno politico sostanziale.290
La congiuntura fu il modo del capitalista di risolvere i suoi problemi, scaricandoli sulla pelle dei lavoratori, perché per una società capitalista non esisteva altro modo di farlo.291 Essa poteva essere usata dalla classe operaia come banco di prova delle proprie capacità di mobilitazione anche se non sarebbe confluita in uno sbocco rivoluzionario. La lotta operaia si sarebbe conclusa con una sua sconfitta ma da essa si avrebbero appreso le giuste lezioni per il futuro, quando veramente si fosse dispiegata la pro- spettiva rivoluzionaria. Ecco perché inserire il programma di lotte nella congiuntura:
è possibile oggi un programma concreto di lotta immediata. Diciamo che questo va innestato, come sua pratica applicazione, sulla visione strategica di un capitali- smo che cammina, nel suo sviluppo, su una catena di congiunture. Diciamo che ogni anello di questa catena offrirà l'occasione di uno scontro aperto, di una lotta diretta, di un atto di forza; e che l'anello in cui la catena si spezzerà non sarà quel- lo dove il capitale è più debole, ma quello dove la classe operaia è più forte.292
Spettava all'organizzazione politica «scegliere soggettivamente punti e momenti di attacco generale, che colpiscano alla base e facciano più volte vacillare il vertice del sistema, costruendo così una continuità, a salti, del- 288M. TRONTI, 1905 in Italia, in Operai e capitale, p. 103.
289Ibidem.
290M. TRONTI, Vecchia tattica per una nuova strategia, in Operai e capitale, p. 101
291M. TRONTI, 1905 in Italia, p. 104.
l'intero processo rivoluzionario».293 Allora la rivoluzione era la conclusio- ne di questo processo a salti, dove ognuno di esso era un ulteriore gradino verso l'obiettivo finale. In quest'ottica il titolo del saggio “1905 in Italia” serviva a mettere in luce come da un tentativo fallimentare si possano rica- vare preziose lezioni per il futuro dato che
Nel 1905 i bolscevichi fanno la loro prova del fuoco; dal 1905 nascono i soviet; senza il 1905 non c'è l'ottobre del '17. Una prova generale è necessaria a questo punto per ciascuno di noi e per tutti; dobbiamo ricavarne ricchi frutti a livello di nuova organizzazione.294
Il successo della classe operaia era quindi legato alla capacità della stes- sa di darsi un'organizzazione che trasformasse lo spontaneismo, in una se- rie di azioni legate da un filo strategico unico, delineato da un partito poli- tico. Il modo in cui questa organizzazione si doveva sviluppare era però originale perché essa sarebbe dovuta nascere in funzione e per la classe operaia e non come qualcosa di disgiunto da essa. Ciò che gli operai vole- vano e il modo in cui ottenerlo doveva provenire dai lavoratori stessi, sen- za che fosse calata dall'alto dal partito. La lotta non doveva essere di- sgiunta dall'elaborazione teorica ma doveva svilupparsi congiuntamente a essa e non poteva essere il risultato di discussioni astratte che cercavano un'applicazione alla realtà concreta.
Il caso italiano, secondo Tronti, era l'esempio della divisione dei due momenti di lotta, cioè quella economica e politica:
È nota la distinzione leninista di lotta economica (lotta contro i singoli capitalisti o contro i singoli gruppi capitalisti per migliorare la situazione degli operai) e lotta politica (lotta contro il governo per l'estensione dei diritti del popolo, cioè la de- mocrazia). Il marxismo di Lenin ha poi unito in un tutto indissolubile questi due momenti della lotta operaia. Senza il marxismo e senza Lenin, i due momenti sono tornati a dividersi: divisi sono entrati in una doppia crisi, che è la crisi di oggi della lotta di classe, intesa in senso leninista come organizzazione e direzione di questa lotta. Presa alla lettera, quella distinzione vuole infatti un sindacato di clas-
se e un partito di popolo: una realtà «italiana»...Due conseguenze: un sindacato che
si trova a gestire le forme concrete della lotta di classe senza poter neppur parlare di un loro sbocco politico, e un partito che esaurisce la sua funzione nel parlare di questo sbocco politico senza il minimo riferimento e il più lontano legame con le forme concrete della lotta di classe.295
293Ibidem.
294M. TRONTI, 1905 in Italia, in Operai e capitale, p. 109.
La lotta di classe era in difficoltà proprio perché i due momenti che la componeva erano disgiunti, dato che il sindacato non aveva la possibilità di far approdare a un livello superiore le istanze dei lavoratori mentre il partito, proprio a causa della sua mancanza nella fabbrica, non era in gra- do di fare l'interesse dei lavoratori dato la sua incapacità di comprenderli. La lotta avrebbe avuto successo o quando i due momenti si sarebbero ri- trovati di nuovo uniti, ma in quel caso sarebbe venuto a mancare la neces- sità di avere un partito e un sindacato separati. Tronti riteneva il sindacato incapace di tutelare gli interessi dei lavoratori:
l'emergere del capitale sociale cambiava la funzione del sindacato… qualunque strategia di “autonomia” del sindacato dal partito,...poteva solo affrettare il pro- cesso di trasformazione del sindacato in «una funzione sempre più organica del piano del capitale».296
Nella sua ricerca dell'autonomia il sindacato aveva finito per diventare parte del capitale. Quindi era necessario tenerlo legato al partito fino a che, una volta che la situazione si fosse rivelata matura, non si potesse identificare in esso. Fino a quel momento «legare il sindacato al partito con una cinghia di trasmissione sembra ancora la via più praticabile della lotta di classe»297 ma prima o poi «la cinghia tende a rompersi e il rapporto a spezzarsi»298 e quindi si poteva prevedere nel lungo periodo «che una identificazione, sul terreno di classe, tra partito e sindacato si renderà ine- vitabile».299
L'originalità della posizione trontiana, che emergeva nel saggio Classe e
partito, era la subordinazione del partito alla classe operaia, vero e proprio
elemento determinante della lotta, da cui sarebbe dovuta scaturire la linea che il partito doveva seguire. Il partito restava il punto fondamentale del successo della rivoluzione ma il suo compito si limitava a organizzare ciò che la classe già aveva in sé, quindi la lotta sarebbe stato il risultato della classe e non di un partito che usava l'operaio per raggiungere il suo scopo. L'organizzazione era il tassello fondamentale per passare dalla lotta alla ri- voluzione perché il dominio operaio, sua premessa, andava organizzato:
se è giusto dire che sempre vari momenti di lotta operaia precedono e impongono 296S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 99.
297Ivi, p. 115. 298Ibidem. 299Ibidem.
diversi momenti del ciclo capitalistico, è necessario aggiungere che per dare con- tenuto rivoluzionario a quelle lotte, occorre precedere e imporre le mosse del ca- pitale in modo cosciente a livello di massa sociale, e cioè in modo organizzato a li- vello di intervento politico. Se si fa questo, scatta quella condizione di dominio
operaio sul processo di produzione capitalistico, che dovrebbe essere l'immediata
premessa del suo rovesciamento. Ma questo non si fa senza il passaggio per l'or-
ganizzazione di quel dominio , senza l'espressione politica di questa organizzazio-
ne, senza la mediazione del partito.300
La necessità dell'organizzazione imponeva la nascita di un nuovo rap- porto tra spontaneità e organizzazione, non più fondato sulla conoscenza del capitale, ma su «una conoscenza scientifica dei movimenti materiali, og- gettivi, spontanei della classe operaia»301 perché solo questa «rende possi- bile una oggi una conoscenza scientifica dei movimenti della classe capita- listica e della sua organizzazione e della sua organizzazione sociale».302 Questo nuovo rapporto partito-classe operaia conferiva al primo la «capa-
cità pratica di previsione e direzione dei movimento della classe in situa-
zione storiche determinate»,303 che avrebbe reso il partito «non solo il por- tatore scientifico della strategia, ma l'organo pratico della sua applicazione tattica».304 Quindi avrebbe delegato la strategia alla classe e la tattica al partito perché:
La classe operaia possiede una strategia spontanea dei propri movimenti e del suo sviluppo: e il partito non ha che da rivelarla, esprimerla e organizzarla. Ma la stessa classe non possiede a nessun livello, né a quello della spontaneità né a quel- lo dell'organizzazione, il momento vero e proprio della tattica.305
Tronti nelle righe successive fornì la spiegazione del perché tutti i tenta- tivi di lotta erano falliti. Mancava il partito, l'unico in grado di «isolare e cogliere il punto determinato in cui lo scontro di classe rovescia e può ro- vesciarsi in rivoluzione sociale».306 Era il partito la chiave di volta per sfer- rare l'attacco definitivo al capitale e fintantoché non sarebbe nato nessun definitivo successo avrebbe arriso alla classe operaia. All'interno della for- ma-partito Tronti concepiva, come unico modo possibile, l'unificazione 300M. TRONTI, Classe e partito, in Operai e capitale, p. 112.
301Ivi, p. 113. 302Ibidem. 303Ibidem. 304Ibidem. 305Ibidem. 306Ibidem.
della classe operaia come una forza contro il capitale.307
Il percorso rivoluzionario era strutturato attorno a una classe operaia conscia delle proprie capacità ma incapace di esprimerle compiutamente, senza la mediazione di un partito che avrebbe dovuto solamente riscoprire qualcosa di già noto ma non ancora emerso, se non in forma embrionale e quindi debole. Se il partito era espressione della classe operaia allora si rendeva necessario tornare alla fabbrica perché là poteva nascere “il rap- porto tra partito e classe”308 e da li «deve partire per investire tutta la socie- tà, compreso il suo Stato. E in fabbrica deve tornare , per far camminare sul terreno decisivo il meccanismo politico del processo rivoluzionario».309
La rivoluzione come punto finale di un percorso in cui ogni fase prepa- rava la successiva e superava la precedente, ma al contempo si doveva evi- tare che il capitale infliggesse alla classe operaia delle sconfitte che vanifi- cassero i risultati fino al quel punto raggiunti:
Maturità senza stabilizzazione, sviluppo economico senza stabilità politica: su que-
sto filo bisogna far camminare il capitale, per far rimettere nel frattempo sui piedi le forze operaie che dovranno farlo saltare. Stabilizzazione politica non ci sarà senza una sconfitta generale della classe operaia: e a questo tende l'iniziativa capi- talistica in questo momento.310
Per non chiudere la prospettiva rivoluzionaria per un lungo periodo si doveva impedire la stabilizzazione del sistema perché:
Quando l'intero movimento operaio ufficiale,e all'interno di una paese capitalisti- co, si attesta su posizioni apertamente socialdemocratiche, bisogna avere già pronta e in grado di funzionare un'alternativa di organizzazione capace di portare dietro di sé subito la maggioranza politica della classe operaia.311
Il capitale andava affrontato quando la classe operaia aveva raggiunto un livello di organizzazione, e quindi di preparazione, sufficientemente elevato da riuscire in ciò ma allo stesso tempo il capitale andava «tenuto a bada». Gli si doveva impedire di stabilizzare il sistema prima che la classe operaia fosse in grado di impedirlo. Nel caso italiano ciò si sarebbe dovu- to tradurre nell'impedire la socialdemocratizzazione del partito comunista 307S. WRIGHT, L'assalto al cielo per una storia dell'operaismo italiano, p. 101.
308M. TRONTI, Classe e partito, in Operai e capitale, p. 114.
309Ibidem. 310Ivi, p. 117 311Ivi, p. 118.
prima che l'alternativa partitica-rivoluzionaria fosse emersa e organizzata.
4.3. Conclusioni.
L'operaismo rimise al centro dell'azione rivoluzionaria la fabbrica e l'ope- raio in un periodo in cui si guardava al terzo mondo come principale luo- go deputato alla rivoluzione. La “rivoluzione copernicana”, come Tronti l'aveva soprannominata, era «riconoscere la classe come motore dello svi- luppo, e nel riconoscere al salario una centralità politica decisiva, all'indi- viduazione di nodi precisi dello scontro di classe in Italia».312 La fabbrica tornò a essere il punto centrale non solo per la mutata realtà economica del paese, ormai assimilabile agli paesi industrializzati, ma perché il capitale, per massimizzare i risultati della fabbrica si era allargato alla società di- ventando “capitale sociale”. Il capitalista singolo lasciava il passo a quello collettivo che, sfruttando lo Stato, imponeva le sue regole alla società, la- sciando alla classe operaia solo l'arma dell'organizzazione politica per so- stenere l'attacco del capitale e il tentativo di ridurla a semplice appendice della struttura produttiva.
La rivoluzione veniva intesa come ”atto finale” della lotta contro il capi- tale, composta da diversi momenti che si succedevano uno all'altro fino a che la classe operaia non avesse avuto un livello organizzativo tale da sconfiggere il capitalista. Fino a che non si sarebbe giunti alla rivoluzione il capitale andava fronteggiato, tenendolo in una tensione continua, al fine d'impedirgli di riportare la classe operaia indietro di anni nel suo processo organizzativo. La rivoluzione sarebbe stata quindi il coronamento di una serie di probabili sconfitte (alternate a vittorie) con ognuna, però, che ave- va qualcosa da insegnare ma nessuna doveva essere di una gravità tale da compromettere il cammino della classe verso la rivoluzione e il socialismo.
312F. BERARDI (BIFO), La nefasta utopia di Potere operaio. Lavoro tecnica movimento nel labora-
CAPITOLO 5
Potere operaio (Po), nato nel 1969 e scioltosi nel 1972, era un movimento politico rivoluzionario dell'estrema sinistra che si prefiggeva come obietti- vo l'abbattimento dell'ordine capitalista. La sua storia lo lega a quella del- l'operaismo, perché Po è stato il tentativo di dare corpo alle teorie operai- ste mettendone in luce, in questo modo, i limiti sia teorici che pratici.313 Prospettava la rivoluzione a opera della classe operaia che, insieme alla fabbrica, divennero gli epicentri dell'azione dei suoi militanti. Sempre in nome della rivoluzione, Po e i suoi dirigenti cercarono il dialogo con altre formazioni della sinistra rivoluzionaria italiana−come i Gruppi d'azione partigiana (Gap) di Giangiacomo Feltrinelli (fondatore dell'omonima casa editrice e della biblioteca, adesso fondazione, Feltrinelli) o le Brigate rosse (Br)−ed esteri, senza molto successo. Il movimento rimase invischiato per tutta la sua esistenza attorno ai temi della sua organizzazione e della sua evoluzione in forma-partito, considerato unico modo per guidare la classe operaia nel processo rivoluzionario. La struttura che si diede rispecchiò il suo fine e, accanto a quella ufficiale, fatta di militanti, manifestazioni e ser- vizi d'ordine, ne esisteva un'altra, occulta, i cui membri si preparavano per la rivoluzione. Chi faceva parte di questa struttura nascosta difficilmente militava alla luce del sole in Po, affinché i suoi membri difficilmente potes- sero essere collegabili alla struttura pubblica del movimento. Ma va chia- rito che la militanza in Po non costituiva, per le vicende giudiziarie che vi- dero coinvolti molti militanti della sinistra extraparlamentare alla fine de- gli anni '70, una fattispecie di reato, a patto che non si facesse parte della struttura occulta.