2.2. Il '68 italiano
2.2.1. La cultura del movimento
Se era vero che il movimento studentesco traeva le sue origine dalla pie- tosa situazione in cui la scuola pubblica e l'università versavano negli anni '60, era altrettanto vero che il protagonismo giovanile finì per estendersi alla società nel suo complesso. Vista da questa angolatura l'università di- ventava un'appendice della società, il cui compito si limitava a trasmettere i valori fondanti di quell'ordine, in modo da continuarlo a perpetrarlo nel tempo. Allora non solo l'università, in quanto strumento borghese, si pre- stava a essere messa in discussione ma anche il resto della società doveva essere tirata in ballo e criticata. La società capitalista, borghese e indivi- dualista era responsabile della riduzione dell'università a mero strumento di validazione dell'ordine costituito e quindi il cambiamento dell'universi- tà, per essere efficace, implicava il mutamento della società. Il movimento studentesco quindi allargò il cerchio delle critiche andando fuori dall'uni- versità per abbracciare la società nel suo complesso. Un esempio erano le
Tesi della Sapienza (gennaio '67), elaborate dall'Unione goliardica italiana,
dove lo studente era inteso come “forza-lavoro in formazione” e quindi parte della classe operaia e la cui controparte era la classe borghese domi- nante.157 Questo documento proponeva per la prima volta il problema del-
l'alleanza tra studenti e operai in chiave anticapitalista, ma l'idea dello stu- dente-proletario non venne accolta a livello di massa.158
I cambiamenti nel tessuto sociale portati dal benessere stavano renden- do la scuola e l'università accessibili anche ai figli di operai, contadini o della piccola borghesia prima esclusi dallo studio o limitati nelle scelte scolastiche. Ma l'università, anche di fronte a questo lento mutamento del- la composizione del corpo studentesco, continuava a restare un'istituzione classista, adatta solamente ai figli delle classi privilegiate e che trasmetteva una cultura di classe atta a organizzare il consenso verso la società e i rap- porti sociali che in essa si sviluppavano.159 Per gli studenti, specialmente quelli provenienti dalle classi medio-basse, si faceva sempre più evidente lo scarto tra le loro aspettative (tramite la laurea migliorare la posizione sociale) e la realtà del mercato del lavoro dove trovavano con fatica posto. La protesta si focalizzò verso la legge Gui proprio perché si vedeva nella tripartizione dello studio universitario (diploma, laurea e dottorato), il ten- tativo di trasformare l'università in una “succursale” del sistema capitali- stico che fornisse alle aziende, quindi ai padroni, quella manovalanza di cui avevano bisogno differenziandola (molteplici titoli di studi) in base alle loro necessità.
L'idea di un'università piegata alle esigenze del mercato emerse da al- cuni documenti del movimento studentesco. A Trento l'analisi della realtà porto a considerare lo studente (“Università come istituto produttivo”, Trento gennaio '68) come una merce, prodotta dall'università, che posta sul mer- cato del lavoro avrebbe potuto dare quattro esiti diversi: disoccupazione, lavoro non corrispondente al livello di studio, sociologo e carriera univer- sitaria (“...la merce è posta sul mercato del lavoro per esservi acquistata e poi consumata entro l'istituto stesso che l'ha prodotta: l'università”).160 L'università allora doveva calibrare la produzione della merce sulla base del sistema attuale e delle sue richieste;“le merci...devono essere comun- que vendibili entro lo schema attuale o pianificato del mercato del lavoro, devono essere fungibili al livello attuale o pianificato delle forze produttive 158Ibidem, pp. 202-3.
159G. CRAINZ, Il paese mancato, p. 236.
160Università come istituto produttivo, pp. 255-6, in P. ORTOLEVA, Saggio sui movimenti del
1968 in Europa e in America. Con un'antologia di materiali e documenti., Editori Riuniti,
e dei rapporti di produzione”.161 Ciò doveva avvenire avvenire tramite il “controllo di quantità e qualità delle merci stessi.162 I controlli di qualità venivano espletati attraverso gli esami , dove lo studente-merce era valuta- to nella sua adattabilità al mercato del lavoro, mentre i controlli di quanti- tà avevano la funzione di adeguare “i volumi della sua produzione in rife- rimento allo stato del mercato del lavoro”,163 attraverso una serie di blocchi che avevano un origine classista e che aveva come effetto la produzione di uno scarto tra immatricolati e laureati.
Dalla protesta studentesca proveniva quindi l'immagine di un'universi- tà classista, dove esisteva una discriminazione dello studente basata sulla condizione economica. I più svantaggiati erano i lavoratori-studenti, co- stretti ad alternare allo studio la necessità di un impiego per far fronte ai costi economici dell'università. Erano doppiamente svantaggiati, perché incapaci di prepararsi efficacemente a causa del lavoro e lasciati a se stessi perché privati di un aiuto da parte dell'istituzione. Molte volte venivano bocciati agli esami e dopo un po si ritiravano (“dopo due-tre bocciature agli esami, si smette di studiare, si rimanda di sessione in sessione il pros- simo esame, finché ci si accorge che è inutile continuare a pagare le tasse per dare lo stipendio a quel professore che continua a bocciare”).164
La protesta giovanile quindi si enucleava a partire dalla lotta contro l'autoritarismo accademico e di un'idea di un'università non più dedita alla studio e al sapere ma sottomessa al volere del sistema capitalistico, nella quale i tentativi di riforma erano solo un ulteriore modo per accen- tuare tale subordinazione. Nelle facoltà scientifiche si mirava a preparare dei tecnici che, se da un lato erano qualificati nei rispettivi campi dall'altro erano incapaci di comprendere il proprio ruolo sociale e avviare una con- testazione dell'apparato produttivo e politico in cui si trovavano.165 L'ac- quisizione del sapere da parte dello studente era quindi, strutturata in modo che, una volta, uscito questo s'integrasse pienamente nel sistema produttivo e mancasse delle capacità di muovere delle critiche verso di 161Ivi, p. 256.
162Ibidem. 163Ibidem.
164Sul diritto allo studio, p. 263, in P. ORTOLEVA, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in
America.
esso. Ottenere una modifica della didattica, un suo aggiornamento, voleva dire fornire allo studente gli strumenti per sviluppare la sua “capacità di critica” in modo che, assunta la consapevolezza del suo ruolo sociale, sa- rebbe passato da mero strumento al servizio del sistema a parte integrante del processo di scardinamento dello stesso.
L'assunzione di una consapevolezza di sé, del proprio ruolo sociale che li portava a voler diventare un elemento utile a migliorare il contesto so- ciale in cui si trovavano, aveva delle ripercussioni sul modo in cui i i diver- si attori istituzionali sarebbero entrati in relazione tra loro. Venne avviato un dibattito sulle condizioni di vita del malato di mente o dei carcerati e in campo lavorativo si sarebbe prestato maggiore attenzione verso le condi- zioni di lavoro che erano alla base di molti incidenti. Venne progressiva- mente abbandonata, ad esempio, la pratica di monetizzare la pericolosità dell'ambiente di lavoro a favore di un miglioramento dello stesso.166 Le proteste studentesche tentanrono di scuotere nel profondo le fondamenta di una società ormai sclerotizzata e arroccata su sé stessa che di fronte alle azioni dei militanti rispondeva con una repressione che non lasciava alcu- no spazio al dialogo e alla riforma. L'effetto che si voleva provocare nella società era quello di avviare un processo rivoluzionario, che non necessa- riamente doveva essere un processo violento, perché era sufficiente infil- trare i gangli della società e farla esplodere dall'interno.167 Nessuna lotta frontale tra classi, con sostituzione di una con l'altra, ma un lento processo di erosione del sistema che avrebbe portato al crollo di tutte le sue compo- nenti e l'edificazione di un nuovo ordine sociale.