2.1. I giovani dei primi anni '60
2.1.3. Prime avvisaglie della rivolta giovanile
Scuola e università. Uno dei settori della pubblica amministrazione che
136D. GIACHETTI, Ribellismo giovanile e manifestazioni di violenza nell'Italia degli anni '60, p.
58.
137A. CAVALLI e C. LECCARDI, Le culture giovanili, in Storia dell'Italia repubblicana, III/2 L'Ita-
lia nella crisi mondiale. L'ultimo ventennio, p. 751.
138N. BALESTRINI e P. MORONI, L'orda d'oro 1968-1977. la grande ondata rivoluzionaria e crea-
tiva, politica ed esistenziale, Feltrinelli. Milano, 20116 (1a edizione SugarCo edizioni Mila-
passò quasi indenne la transizione dal regime fascista a quello repubblica- no fu il settore scolastico. Modellata secondo la riforma del filosofo ideali- sta Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione tra il 1922 e il 1924, la scuola italiana risultò essere un'istituzione altamente classista dove la possibilità di studiare derivava più dalla posizione sociale ricoper- ta che dalle reali capacità dello studente. La selezione cominciava fin dalle elementari quando al giovane studente, una volta concluse, si prospettava la possibilità di scegliere tra la scuola di avviamento professionale e la scuola media che dava la possibilità di accedere ai licei (scientifico e classi- co) o agli istituti tecnici. Una tale suddivisione della scuola favoriva fin dall'inizio una ferrea selezione, dove solo alle persone più abbienti era possibile studiare mentre ai figli delle classi inferiori veniva forse garanti- ta la licenza elementare, bocciature permettendo. La selezione classista non era limitata alle sole classi inferiori ma si estendeva anche all'interno di quelle medio-alte, perché solo il liceo classico garantiva l'accesso a tutte le facoltà universitarie mentre era limitato a quelle scientifiche per il resto dei liceali e agli studenti tecnici era del tutto preclusa la strada degli studi universitari.
La rigidità della suddivisione dei cicli scolastici e la difficoltà di acce- dervi permetteva il mantenimento dello status quo sociale: precludendo la possibilità di studiare alle classi inferiori si garantiva che il ricambio della classe dirigente avvenisse sempre all'interno dei medesimi strati sociali. La società italiana era sostanzialmente bloccata ed era precluso ai suoi membri l'effettiva possibilità di migliorarsi socialmente, attraverso lo stu- dio, dato che gli sbarramenti scolastici didattico-economici rendevano la scuola una cosa per pochi . La mancanza di un sistema di aiuti statali, sot- to forma di borse di studio, accentuava ancor di più il carattere aristocrati- co ed elitario dello studio dato la quasi impossibilità per un giovane talen- tuoso ma di umili origini di emergere grazie al merito. Il sistema scolasti- co poteva ben adattarsi alla situazione socioeconomica della prima metà del XX secolo, ma il mutamento della forma stato in Repubblica e l'adozio- ne di una costituzione fondata sull'eguaglianza dei cittadini rendeva ana- cronistica la struttura scolastica italiana le cui contraddizioni esplosero ne- gli anni '60.
che le migliori condizioni economiche permisero l'avviò di un processo di scolarizzazione di massa. Raddoppiarono gli iscritti alle scuole medie, mentre gli alunni delle superiori passarono dai 741.502 dell'anno scolastico 1960-61 ai 1.732.178 del 1970-71; anche l'università vide triplicati i suoi iscritti, che passarono dai 268.000 del 1960-61 ai 642.000 del 1969-70.139 L'e- splosione degli iscritti in ogni ordine e grado della scuola era dovuto prin- cipalmente all'istituzione della scuola media unificata e alla susseguente li- beralizzazione degli accessi alle scuole superiori. Adesso chiunque ottene- va la licenza media poteva iscriversi a una scuola superiore qualsiasi e cosi anche l'operaio poteva aspirare ad avere il figlio dottore. L'opera riformi- stica del centrosinistra in ambito scolastico si limitò a questa importante novità, senza varare una riforma organica della pubblica istruzione che fosse in grado di andare incontro alle esigenze di una società ormai piena- mente industrializzata. Il legislatore si limitò a risolvere il problema del- l'accesso alla scuola e ad aggiornare i programmi, aumentando l'importan- za delle materie scientifiche, senza intaccare però la didattica: l'intervento politico mirava più alla quantità, allargando la platea degli studenti, che alla qualità dell'offerta.140 La mancanza di una riforma complessiva del si- stema scolastico si ripercosse sull'incapacità delle scuole superiori di as- sorbire le nuove leve di studenti, data la mancanza di un progetto d'inve- stimenti rivolto sia all'edilizia scolastica che alla formazione e aggiorna- mento del corpo dicenti.
A livello universitario la situazione era ancora più grave, perché il siste- ma era del tutto impreparato a livello di strutture e docenti ad accogliere la crescita di iscritti. Ad esempio le università di Roma, Napoli e Bari, co- struite per accogliere cinquemila studenti ognuna, ne ospitavano rispetti- vamente 60.000, 50.000 e 30.000 nel 1968 mentre molti docenti affiancavano all'attività didattica un altro lavoro (medici, architetti o politici) dato che avevano l'obbligo di sole cinquantadue ore d'insegnamento annue.141 Mancava quasi del tutto una politica di aiuti economici statali per gli stu- denti meno abbienti e la condizione del lavoratore-studente divenne prassi tra molti studenti universitari. Solo le famiglie benestanti potevano per- 139M. FLORES e A. DE BERNARDI, Il sessantotto, il Mulino, Bologna, 20032 (1a edizione 1998),
p. 183.
140R. LUMLEY, Dal '68 agli anni di piombo, p. 69.
mettersi di mantenere i figli all'università ma questi, nel '68, erano solo la metà del corpo studentesco perché il resto era costituito da lavoratori-stu- denti.142 La didattica e i piani di studi erano vetusti e gli esami si svolgeva- no prevalentemente in forma orale, favorendo in questo modo una valuta- zione soggettiva e anche di parte. Le deficienze del sistema universitario si ripercuoteva sul numero di laureati che ne acuiva ancor di più la natura classista di un istituzione che avrebbe dovuto offrire a tutti la possibilità di ottenere il titolo di studio. Se era vero che l'81% dei diplomati si iscriveva all'università solo il 44% arrivava a laurearsi.143 I costi, l'autoritarismo dei professori e l'inflessibilità di una struttura vecchia mietevano le loro vitti- me tra gli studenti, dato che meno della metà di loro completavano gli stu- di universitari.
A partire dalla metà degli anni '60 si era venuta a creare una generazio- ne giovanile contraddistinta da un netto rifiuto dei valori della società in cui vivevano e dalla ricerca di un nuovo modello sociale. I giovani cerca- rono di ritagliarsi un proprio spazio che li rendessero indipendenti dagli adulti, ormai non più riconosciuti come legittima guida morale, causando una rottura tra le due realtà. A partire dalla metà degli anni '60 la società cominciò a essere scossa da nuove forme di proteste che avevano il loro centro principale nelle scuole e nelle università.
Nella scuola avviata sulla strada della massificazione continuava a do- minare un forte autoritarismo che chiudeva le porte davanti a una qualsia- si allentamento dei ferrei regolamenti o della richiesta di modifica del rap- porto insegnante-alunno. Di fronte ai primi tentativi di “ribellione” la rea- zione delle istituzioni scolastiche fu dura: a Novara una studentessa venne sospesa per aver criticato la propria professoressa su un tema, a Mestre duecento studenti vennero sospesi perché privi del libretto personale men- tre anche l'abbigliamento, come capelli lunghi o il trucco, poteva portare a punizioni per gli studenti.144 Ancora più anacronistico, per come ormai la società si stava evolvendo, erano la presenza di ingressi, aule e intervalli separati per ragazzi e ragazze in alcuni licei della Capitale.145 La scuola era
142Ibidem. 143Ivi, p. 360.
144G. CRAINZ, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli editore,
Roma, 2003, p. 202. 145Ibidem.
come impegnata a mantenersi separata de ciò che succedeva nella società, quasi a voler mantenere una certa purezza di comportamenti e idee, chiu- sa a qualsiasi tentativo di riforma che ne intaccasse la forma, l'autorità e il prestigio dei docenti. L'istituzione non puniva solamente gli studenti ma anche quegli insegnati che cercavano di cambiare il modo di porsi verso gli studenti. Il caso più eclatante dello scontro generazionale lo si ebbe a Milano, presso il liceo Parini, dove la pubblicazione di un articolo dal tito- lo “Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso" si concluse in un processo che aveva come imputati i tre autori (Marco de Poli, Claudia Beltramo Ceppi e Marco Sassano) e poi assolti. La vicenda del Parini innescò assemblee e proteste in molte scuole146 e mostrò chiara- mente l'arretratezza delle istituzioni rispetto a una società dinamica e orientata a una maggiore libertà dei costumi.
Fin dai primi anni '60 si erano registrate nelle università italiane spora- dici casi di proteste sfociate in casi di occupazione (Trento, Torino nel '63 e Pisa nel '64) che avevano il loro epicentro nelle facoltà di architettura (tutte occupate nel '63147). I futuri architetti chiedevano un aggiornamento dei piani di studio e cominciarono a interrogarsi sul ruolo dell'architetto nella società, data l'importanza che il settore edilizio ricopriva nel paese. A Trento nel '66 la nuova facoltà di Sociologia, la prima aperta in Italia, ven- ne occupata due volte nel corso dell'anno: prima a gennaio per chiederne il riconoscimento e poi a fine anno per ottenere una migliore definizione dei piani di studi.148 Anche qui, in modo analogo a ciò che succedeva nelle fa- coltà di Architettura, si sviluppò un dibattito sul ruolo del sociologo nella società. In questa prima fase della mobilitazione studentesca l'attenzione era rivolta in primo luogo al disegno di legge proposto da Gui, ministro dell'Istruzione, che prevedeva l'istituzione di un diploma, di una laurea e di un dottorato di ricerca oltre alla soppressione della facoltà a favore del dipartimento, e poi in seconda istanza a condizioni della società in cui gli studenti si sarebbero trovati una volta laureati.
Il fatto più grave di questa prima ondata di manifestazioni studentesche 146N. BALESTRINI e P. MORONI, L'orda d'oro 1968-1977, pp. 189-90.
147R. LUMLEY, Dal '68 agli anni di piombo, p. 79.
avvenne a Roma dove si registrò il primo morto riconducibile a scontri tra avversari politici dalla fine degli anni '40.149 In occasione delle elezioni stu- dentesche dell'università La Sapienza scoppiarono degli scontri, provocati da estremisti di destra, pressò le scalinate della facoltà di Lettere dove lo studente socialista diciannovenne Paolo Rossi si sentì male e mori la notte stessa.150 Alcuni giorni dopo gli incidenti del 27 aprile il rettore dell'uni- versità fu costretto a dimettersi, quando che la facoltà di Lettere fu occupa- ta, poi sgomberata dalla polizia, e di nuovo occupata. I responsabili per la morte di Paolo Rossi non furono mai identificati.