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Il regime penitenziario del c.d “carcere duro”

5. La necessità di introdurre il divieto di tortura nell’ordinamento

5.3 Trattamenti inumani e degradanti nelle carceri

5.3.2 Il regime penitenziario del c.d “carcere duro”

Il regime del c.d. “carcere duro” disciplinato all’art 41 bis ord. penit. è stato introdotto con legge 7 agosto 1992 n. 356, a seguito delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, per far fronte all’incapacità della pena detentiva, così come al tempo era strutturata, di neutralizzare la pericolosità di detenuti che, in virtù dei loro legami con le associazioni criminali di appartenenza, continuavano dal carcere ad impartire ordini.

85 Sentenza della Corte EDU Torreggiani c. Italia 8 gennaio 2013, la quale ha deciso (all’unanimità) i ricorsi

di sette detenuti in relazione al trattamento loro riservato presso le carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Oltre alle misure delle celle, i detenuti lamentavano il limitato accesso alle docce a causa della limitata disponibilità di acqua calda e la scarsa illuminazione determinata dalle barre metalliche apposte alle finestre.

86 E. Scaroina, Il delitto di tortura, p. 131

L’art 41 bis prevede da un lato, il divieto di concessione dei benefici penitenziari88; dall’altro, la possibilità di sospendere le normali regole di trattamento penitenziario all’interno degli istituti di detenzione.89

Il secondo comma attribuisce al Ministro della giustizia la facoltà, quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, di sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per una serie di gravi delitti, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge sull’ordinamento penitenziario che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La disposizione stabilisce che le restrizioni possono essere adottate solo nelle modalità strettamente necessarie per la soddisfazione delle suddette esigenze, e al fine di evitare contatti con l’organizzazione di appartenenza.

La l. 23 dicembre 2002 n. 279 ha introdotto il comma 2 quarter contenente l’elenco delle misure che la sospensione delle normali regole di trattamento può comportare, precedentemente, rimessa alla discrezionalità dell’autorità competente.

Fin dalla sua entrata in vigore, l’art 41 bis, è stato oggetto di dure critiche, le quali hanno evidenziato il carattere di estrema afflittività dell’istituto, nonché i possibili profili di violazione dei diritti fondamentali.

In ambito giurisprudenziale, tali critiche si sono spesso presentate nella forma di censure di incostituzionalità del disposto normativo; la Corte costituzionale ha però sempre mantenuto un atteggiamento di favore nei confronti di questa disciplina, emanando sentenze interpretative di

88 Lavoro all’esterno; permesso premio; misure alternative alla detenzione.

89 E. Nicosia, il c.d. 41 bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano, o degradante? In Riv. it.

rigetto, le più importanti delle quali, meritano qui di essere ricordate sent. 349/199390, sent. 351/199691, sent. 376/199792.

90 “la norma in esame può essere interpretata in modo aderente al dettato costituzionale”, “il secondo comma dell'art. 41-bis attribuisca al Ministro di grazia e giustizia la facoltà di incidere sulla pena e sul grado di libertà personale del detenuto, la censura non risulta fondata in quanto la corretta lettura della norma non può che limitare il potere attribuito al Ministro alla sola sospensione di quelle medesime regole ed istituti che già nell'Ordinamento penitenziario appartengono alla competenza di ciascuna amministrazione penitenziaria e che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto

Eventuali variazioni di tale regime possono comportare evidentemente un maggiore o minore contenuto afflittivo per chi ad esse è assoggettato, proprio perché un certo grado di flessibilità può rivelarsi necessario sia ai fini di rieducazione del detenuto che per l'ordine e la sicurezza interni (dovendosi del pari prendere atto che la realtà di ogni istituzione penitenziaria comprende anche la presenza di soggetti refrattari a qualsiasi trattamento riabilitativo, ed anzi così spiccatamente pericolosi da rendere indispensabile la possibilità di un regime differenziato nei loro confronti), ma nel novero delle misure attualmente previste dall'Ordinamento penitenziario esse non esulano dall'ambito delle modalità di esecuzione di un titolo di detenzione già adottato con le previste garanzie costituzionali”. Sent. Corte costituzionale 349/1993

91 “[…] ha consentito alla Corte di escludere che l'art. 41-bis sia di per sé in contrasto con l'art. 13, secondo comma, della Costituzione. Infatti, se non è consentito, attraverso i provvedimenti ministeriali in questione, adottare misure qualificabili come restrittive della libertà personale del detenuto, ma solo misure di trattamento rientranti nell'ambito di competenza dell'amministrazione penitenziaria, attinenti alle modalità concrete, rispettose dei diritti del detenuto, di attuazione del regime carcerario in quanto tale, e dunque già potenzialmente ricomprese nel quantum di privazione della libertà personale conseguente allo stato di detenzione, per ciò stesso non vengono in considerazione né la riserva di legge né la riserva di giurisdizione stabilite dall'art. 13, secondo comma, della Costituzione”. Sent Corte Costituzionale 351/199

92 “da un lato, il regime differenziato si fonda non già astrattamente sul titolo di reato oggetto della condanna o dell'imputazione, ma sull'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati costituiscono solo una logica premessa; dall'altro lato, le restrizioni

Ciò su cui appare più opportuno soffermarsi, è l’accusa di inumanità rivolta al regime penitenziario italiano, e se debba considerarsi fondata. La questione può essere affrontata da due punti di vista differenti: il primo, opera un confronto con il testo costituzionale, il secondo, con il diritto internazionale. Nei casi in cui è stata sollevata una questione di incostituzionalità dell’art 41 bis ord. penit., in violazione dell’art 27 Costituzione, la Corte ha sempre negato tale contrasto. Nella citata sentenza 376/97, la Corte ribadì che il 41 bis doveva essere interpretato alla luce della Costituzione, in modo tale da vietare l’adozione di qualsiasi misura restrittiva, idonea ad essere qualifica come inumana o degradante.93

Più complesso, appare, invece, verificare se sussista un conflitto tra la disciplina italiana e il divieto di tortura e trattamenti crudeli, inumani o degradanti sancito dal diritto internazionale.

Di difficile inquadramento sono quei trattamenti non accompagnati da violenza fisica o psicologica, ma consistenti in forme più o meno incisive di limitazione della libertà di movimento, di circolazione e di contatti umani all’interno e/o all’esterno dei luoghi di detenzione. In relazione a questa tipologia di trattamenti, la giurisprudenza internazionale, non è univoca, registrandosi una

apportate rispetto all'ordinario regime carcerario non possono essere liberamente determinate, ma possono essere solo quelle congrue rispetto alle predette specifiche finalità di ordine e di sicurezza; e anche di tale congruità al fine è garanzia ex post il controllo giurisdizionale attivabile sui provvedimenti ministeriali. Non vi è dunque una categoria di detenuti, individuati a priori in base al titolo di reato, sottoposti ad un regime differenziato: ma solo singoli detenuti, condannati o imputati per delitti di criminalità organizzata, che l'amministrazione ritenga, motivatamente e sotto il controllo dei Tribunali di sorveglianza, in grado di partecipare, attraverso i loro collegamenti interni ed esterni, alle organizzazioni criminali e alle loro attività, e che per questa ragione sottopone a quelle sole restrizioni che siano concretamente idonee a prevenire tale pericolo, attraverso la soppressione o la riduzione delle opportunità che in tal senso discenderebbero dall'applicazione del normale regime penitenziario”. Sent. Corte Costituzionale 376/1997 93 E. Nicosia, il c.d. 41 bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano, o degradante? In Riv. it.

certa cautela nella qualificazione degli stessi come trattamenti inumani o degradanti. Atteggiamento particolarmente evidente, nella giurisprudenza europea, la quale registra una tendenza a negare che la sottoposizione di un individuo ad un regime speciale di detenzione comporti una violazione dell’art 3 CEDU.94 La Commissione europea dei diritti dell’uomo, nel caso Natoli c. Italia, aveva ritenuto irricevibili tutte le doglianze proposte dal condannato, ad eccezione di quella relativa alla corrispondenza, tutelata dall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. In questa circostanza, la Corte, affermò che, affinché si potesse rinvenire un trattamento inumano o degradante, il fatto dovesse raggiungere un minimo di gravità, la valutazione del quale è per definizione relativa95. La Corte operò un bilanciamento tra la severità delle misure adottate nei confronti del ricorrente e la gravità delle infrazioni dallo stesso commesse, prendendo, anche, in debita considerazione gli scopi di difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica, perseguiti dall’ordinamento. Ciò rese non censurabile il trattamento applicato nel caso di specie.96

Decisione analoga venne assunta nel caso Messina c. Italia, rispetto al quale, la Corte, non ritenne che le doglianze avessero raggiunto la soglia di gravità richiesta dall’art 3 CEDU, dichiarando irricevibile il ricorso.97

94 E. Nicosia, il c.d. 41 bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano, o degradante? In Riv. it.

dir. proc. pen. 2009, p. 1240 ss.

95 Dipende dall’insieme dei dati della causa e specialmente dalla natura e dal contesto del trattamento, nonché

dalla sua durata, dagli effetti fisici e mentali, così come, dal sesso, dall’età, e dallo stato di salute della persona considerata.

96 Natoli c. Italia Commissione europea dei diritti dell’uomo, decisione 18 maggio 1998, a cura di G. La

Greca, in Foro italiano 1998, IV, p. 321

Merita, infine, di essere accennata la recente condanna subita dall’Italia, in riferimento al caso

Provenzano c. Italia, deciso con sentenza 25 ottobre 2018.

La Corte, nel caso di specie, prendendo atto della inadeguata valutazione della sussistenza di finalità preventive tali da giustificare la permanenza del regime differenziato98; ha ritenuto che fosse stata integrata la violazione dell’art 3 Convenzione poiché, in sede di proroga del regime detentivo ex 41 bis ord. penit., non era stata svolta un’adeguata valutazione delle condizioni psico- fisiche di Provenzano, le quali erano tali da far si che il ricorrente non potesse più rappresentare un pericolo per la società.

Dalle argomentazioni utilizzate dai giudici non risulta, però, possibile desumere un mutamento di orientamento circa la conformità del regime di cui all’art 41 bis ord. penit. al disposto della Convenzione.

Alla luce di quanto osservato sembra di poter giungere alla conclusione che il regime detentivo del 41 bis ord. penit., pur nella sua estrema severità, non raggiunge la soglia di gravità necessaria per poter essere qualificato come trattamento crudele, inumano o degradante, nel senso fino ad oggi attribuitogli dal diritto internazionale.

98 G. Alberti, Caso Provenzano: la Corte Edu riconosce una violazione dell'art. 3 Cedu con riferimento

CAPITOLO III

IL REATO DI TORTURA NEGLI ORDINAMENTI

EUROPEI