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Repressione della violenza fisica e morale nella Costituzione

3.1. Cenni sul dibattito in assemblea costituente sull’art 13 comma 4

La prima elaborazione di quello che, in un secondo momento sarebbe diventato l’art 13 Costituzione, si ebbe in seno alla Sottocommissione I dell’Assemblea Costituente. Nel corso della

32 A. Mazzacane, Il diritto fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino - Rivisteweb, gennaio-marzo

2011, p. 93

33 Regio decreto-legge 9 febbraio 1939 n. 126, norme di attuazione ed integrazione di cui all’art 10 del R.

decreto-legge 17 novembre 1938 n. 1728, relative ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commerciale per i cittadini italiani di razza ebraica.

seduta tenutasi in data 17 settembre 1946, si discusse del contenuto che avrebbe dovuto assumere l’ultima parte dell’articolo in questione.

Le impostazioni che si fronteggiarono in questa sede furono formalmente due: la prima, sostenuta tra i più dall’Onorevole Togliatti, esponente del Partito Comunista Italiano, il quale intervenne asserendo che: “In essa (Costituzione) si deve dire della condizione in cui viene a trovarsi il

cittadino arrestato o fermato, cioè quando si è venuto a creare nei suoi riguardi quello speciale stato di diritto che è definito dai capoversi precedenti, e per cui ogni violenza contro di lui è proibita. Questo unicamente si deve dire e niente più”35. L’On. Cevelotto, dichiarandosi in linea di massima d’accordo con l’On. Togliatti, volle sottolineare che: “Quello di cui ci si deve

preoccupare non è tanto il trattamento dell’arrestato durante l’interrogatorio da parte del giudice istruttore. Fortunatamente anche in passato, nei riguardi di queste autorità, non si sono dovute in genere deplorare violenze o costrizione. Queste invece, come risulta dall’esperienza professionale e personale di molti, si mettevano in essere da parte della pubblica sicurezza”36. A queste osservazioni, l’On. Mastrojanni, aggiunse semplicemente che a suo avviso la garanzia costituzionale dovesse essere estesa all’intera durata del periodo di detenzione, non venendo limitata alla tutela del solo soggetto fermato o arrestato. La seconda impostazione fu sostenuta, invece, da Mancini e Lombardi, i quali erano dell’idea che, in sede costituzionale, fosse più opportuno limitarsi ad indicare i principi fondamentali e generali di responsabilità dello Stato e dei suoi funzionari, mentre, la disciplina puntuale della materia, dovesse essere lasciata al legislatore ordinario.

35 Cit. Resoconto sommario della seduta del 17 settembre 1946, I sottocommissione dell’Assemblea

Costituente, p. 55 ss, al sito

http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed007/sed007nc.pdf

36 Cit. Resoconto sommario della seduta del 17 settembre 1946, I sottocommissione dell’Assemblea

Al termine della seduta fu approvato il testo in questa forma: “è vietata ogni violenza fisica o

morale in danno alla persona fermata, arrestata o comunque detenuta”.37

Il 10 aprile 1947, in sede di Assemblea plenaria, venne nuovamente affrontata la questione relativa alla libertà personale. Degno di nota fu l’intervento dell’Onorevole Costantini38, il cui pensiero, unito alle tesi tecnico-giuridiche di Bettiol, poteva essere sintetizzato in tre punti fondamentali: prima di tutto, la tortura doveva essere considerata una questione riguardante i soli regimi dispotici; in secondo luogo, non poteva riguardare le forze di polizia degli ordinamenti democratici, le quali incorporavano valori di civiltà tali da impedire comportamenti violenti; infine, la tortura non

37 Resoconto sommario della seduta del 17 settembre 1946, I sottocommissione dell’Assemblea Costituente,

p. 54 ss

38 “(…) che noi si debba, come ha detto l’onorevole Tupini “per ricordare il periodo nefasto, durante il quale abbiamo personalmente pagato lo scotto della violazione di codesta norma”,inserire nella Carta costituzionale del nostro Paese – che non è neanche una Carta limitata a uso interno ma è destinata alla diffusione anche all’estero – una disposizione che offende i principi fondamentali delle tradizioni di civiltà, della dignità e delle libertà umane, e quindi stabilire nella Costituzione stessa che gli agenti della pubblica sicurezza, i tutori dell’ordine in generale, i custodi delle carceri non devono mal- trattare i detenuti, mi sembra andare un pò al di là delle nostre colpe recenti, a tutto danno della nostra tradizione civile (...). Se il fascismo è passato come una bufera, noi vogliamo dimostrare (...) che esso non ha lasciato traccia nell’animo dei cittadini e che bastano le leggi ordinarie per assicurare il massimo rispetto dei detenuti, senza che debba formare oggetto della nostra Carta costituzionale questa garanzia, la quale è talmente elementare da considerarla soltanto i popoli che sono di civiltà embrionale e non appartengono a quel grado di civiltà che l’Italia ha diritto ed orgoglio di rivendicare per sé”. Resoconto sommario della seduta 10

aprile 1947, Assemblea plenaria, p. 16 al sito

doveva essere considerato un reato che richiedesse una diversificazione criminale di trattamento rispetto agli altri delitti presenti nel Codice penale. 39

Nonostante le numerose sollecitazioni tese ad una modifica del testo costituzionale, soprattutto, da parte degli esponenti socialisti e da quelli della Democrazia Cristiana, il testo mantenne la medesima formulazione approvata originariamente dalla Sottocommissione I.

3.2 Esame del quarto comma dell’articolo 13 Costituzione

L’art 13 Costituzione consacrò un equilibrio nei rapporti tra autorità e libertà all’interno del processo40.

In un’epoca in cui era ancora vivo il ricordo dei metodi impiegati dalla polizia del regime fascista, l’affermazione di un principio come quello consacrato dall’art 13 comma 4 Costituzione, rivestiva il significato di un’elementare scelta di civiltà, tesa a ristabilire una gerarchia di valori fondata sull’inderogabile priorità del rispetto della persona dell’inquisito41. Il comma 4 dispiega effetti in una duplice direzione: la prima, quella più immediata, rivolta ai singoli organi cui è affidata la disponibilità dell’imputato; l’altra, invece, diretta al legislatore, il quale avrebbe dovuto attivarsi al fine di impedire l’utilizzo, di tutti quei mezzi e strumenti che, dando luogo ad una forma di violenza fisica o morale, sono vietati dalla Costituzione. Il testo di questa disposizione pone alcune problematiche: prima di tutto un problema rispetto a ciò che debba intendersi per violenza, soprattutto morale; in seconda battuta, non è chiaro quale debba essere la soglia oltre la quale un interrogatorio lecito passi ad essere considerato produttivo di violenza. Una seconda problematica può essere ravvisata nel difetto di chiarezza del testo

39 Patrizio Gonnella, Storia, natura e contraddizioni del dibattito istituzionale che ha condotto all’approvazione della legge che criminalizza la tortura, 3/2017 Il Mulino – Rivisteweb, p. 415

40 Enciclopedia del diritto, Giuffrè Editore, 1974, p. 232

costituzionale in ordine alla necessità di introdurre, oltre a misure repressive, anche misure preventive, le quali, secondo parte della dottrina dovrebbero riguardare: il regime probatorio degli elementi ottenuti a seguito di violenza, e mezzi indiretti atti ad alterare le circostanze concrete in cui tali violenze si producono. Rispetto al primo profilo, si ritiene che, se le prove raccolte per mezzo della violenza non potessero essere utilizzate contro l’imputato, il ricorso alla forza sarebbe, sicuramente, molto svantaggiato. Tutt’oggi, però, l’art 185 c.p.p. non prevede una simile ipotesi di nullità, qualificando come nulli i soli atti compiuti con violazione del diritto di difesa42. Il secondo profilo, invece, si riferisce all’introduzione di una pluralità di misure indirette idonee a modificare le situazioni in cui più frequentemente le violenze vengono perpetrate. Il caso più emblematico è quello delle forse di polizia, le quali, frequentemente, utilizzano la forza nei confronti delle persone sottoposte a fermo o arresto, allo scopo di ottenere una confessione o comunque notizie concernenti il reato.43 Per limitare il più possibile il realizzarsi di tali condotte, il legislatore intervenne riducendo al minimo indispensabile il periodo di soggezione dell’indiziato agli organi di polizia44.

42 Commentario delle Costituzione, a cura di Giuseppe Branca, Zanichelli Editore, 1977, p. 29

43 L’autore ricorda alcuni dei metodi utilizzati dalle forze dell’ordine per estorcere confessioni o notizie

rilevanti: “L’interrogatorio prolungato senza concedere al detenuto le ore di usuale riposo, ovvero con riposo in locali pervasi da una luce sempre intensa; la nutrizione con cibi salati e con diniego di acqua; l’utilizzazione di falsi compagni di cella, che fingono di aver subito gravi torture e consigliano di parlare, e così via”. Commentario delle Costituzione, a cura di Giuseppe Branca, Zanichelli Editore, 1977, p. 27

44 Art 13 comma 3 Cost. “In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.