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L’assenza di disciplina nel periodo post costituzionale

“La tortura è l’unico delitto costituzionalmente necessario: la ratifica dell’Italia di trattati e convenzioni che la vietano, quindi, obbedisce a un dovere di coerenza costituzionale come per una sorta di rima davvero obbligata, perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso”45.

Numerosi sono gli accordi internazionali, che vietano la tortura46 e, contestualmente, pongono obblighi di repressione all’interno dei singoli ordinamenti. L’Italia, solo nel luglio 2017, si è conformata a tali obblighi internazionali, emanando il nuovo art. 613 bis c.p.

Le argomentazioni addotte dal Governo italiano per giustificare tale sua perdurante inadempienza sono stati di due ordini diversi: prima di tutto, si sostenne che l’art 1 della Convenzione di New York del 198447 fosse norma self-executing48, e completo al punto da non necessitare di ulteriori

45 Cit. Andrea Pugiotto, “Repressione penale della tortura e costituzione: anatomia di un reato che non c’è”,

Diritto Penale Contemporaneo, 2/2014, p. 129

46 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948; Convenzione di Roma del 1950 all’art 3; Patto

Internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 all’art 7; Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, emanata con risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU nel 1984; Convenzione di New York del 1987.

47 “1. Ai fini della presente Convenzione, il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad

specificazioni. A tale argomentazione replicava, tra gli altri, il relatore del Comitato contro la tortura, Gil Lavedra, in occasione del secondo rapporto periodico sull’Italia, osservando che, l’obbligo previsto dall’art 4 della Convenzione49, rappresenta “uno dei rari casi in cui una

disposizione non può essere direttamente applicabile ma necessita di una legge che preveda l’infrazione e fissi la sanzione”50. D’altra parte, se l’articolo 1 della Convenzione di New York fosse norma self-executing sarebbe risultato in contrastato con il principio di legalità del reato e delle pene posto dagli artt. 25 Cost. e 1 c.p.51

Una seconda argomentazione utilizzata per giustificare l’inerzia del legislatore italiano, riguardava il fatto che, all’interno del Codice penale esistessero una pluralità di norme perfettamente idonee ad assolvere gli oneri di criminalizzazione: percosse (art 581); lesione personale (art 582); ingiuria (art 594) ora abrogato; sequestro di persona (art 605); arresto illegale (art 606); indebita limitazione di

2. Il presente articolo lascia impregiudicato ogni strumento internazionale e ogni legge nazionale che contiene o può contenere disposizioni di portata più ampia”.

48 Norme sovranazionali o internazionali che, essendo complete in tutti i loro elementi, sono suscettibili di

applicazione immediata nell’ordinamento interno dei singoli Paesi.

49 “1. Ogni Stato Parte provvede affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato a tenore del suo diritto penale. Lo stesso vale per il tentativo di praticare la tortura o per qualunque complicità o partecipazione all’atto di tortura.

2. In ogni Stato Parte tali reati vanno resi passibili di pene adeguate che ne prendano in considerazione la gravità”.

50 E. Scaroina, Il delitto di tortura, p. 231

51 La Corte costituzionale, con sentenza n. 26/1966 ha affermato come “il principio costituzionale della legalità della pena sia da interpretare più rigorosamente, nel senso che esso esige che sia soltanto la legge dello stato a stabilire con quale misura debba essere repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente”. E. Scaroina, Il delitto di tortura, p. 231

libertà personale (art 607); abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art 608); violenza privata (art 610); minaccia (art 612); stato di incapacità procurato mediante violenza (art 613).

Il diritto internazionale pattizio ha fissato degli standard che devono essere rispettati dai governi nazionali in sede di repressione dei crimini internazionali. La disciplina italiana è risultata essere carente sotto molteplici profili: in primo luogo, la maggior parte dei reati, sopra citati, sono reati comuni; mentre ai sensi del diritto internazionale il crimine di tortura viene qualificato come un reato proprio, chiamando in causa la responsabilità dei funzionari dello stato52.

In secondo luogo, si tratta di reati che non prendono in considerazione la violenza psicologica, laddove, invece, è considerato un elemento materiale del fatto imprescindibile.

In terzo luogo, in alcuni reati come percosse e lesioni, non essendo richiesta l’intenzionalità dell’inflizione del dolore e delle sofferenze gravi, tipico invece della tortura. Altri reati, come quello previsto dall’art 608 c.p., si rivelano inidonei a ricoprire lo spettro più ampio della tortura, essendo posto a tutela della sola libertà personale, e non ricomprendendo altre condotte come le lesioni, le percosse, le molestie sessuali e i maltrattamenti.

In quarto luogo, la dosimetria sanzionatoria di tali reati, in astratto elevata, in concreto ha più volte condotto a pene lievi, soprattutto, a seguito di bilanciamento con circostanze attenuanti. Per di più, tutti questi reati, prevedono la possibilità che vengano applicate pene alternative a quella detentiva53; risulta, perciò, evidente l’inadeguatezza delle sanzioni rispetto al crimine.

In quinto luogo, per la procedibilità di alcuni dei reati sopra richiamati, è richiesta la querela di parte: decisione, quasi impossibile, per le vittime di tortura, specialmente se ancora ristrette, per il

52 “Il dolore e la sofferenza siano inflitti da o su istigazione o con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico

ufficiale o altra persona che svolga una funzione ufficiale”. Andrea Pugiotto, “Repressione penale della

tortura e costituzione: anatomia di un reato che non c’è”, Diritto Penale Contemporaneo, 2/2014, p. 129 53 Sospensione condizionale della pena, affidamento in prova ai servizi sociali.

timore di subire nuovi tormenti. Per evitare che vengano a crearsi ampi margini di impunità la tortura dovrebbe essere collocata tra i reati procedibili d’ufficio.

Infine, in sesto luogo, vi è la questione, strettamente connessa a quella sopra citata, della prescrizione eccessivamente breve, soprattutto, alla luce del fatto che, fino a che il soggetto rimane detenuto, o comunque soggetto al potere dell’autorità che lo ha torturato, difficilmente denuncerà il fatto. A livello internazionale, su questo tema, si registrano risposte differenti, poiché il CAT prevede che il termine di prescrizione debba essere commisurato alla gravità del reato; mentre lo Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale, collocando la tortura tra i crimini internazionali, ne sancisce anche l’imprescrittibilità.54

5. La necessità di introdurre il divieto di tortura nell’ordinamento