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l’extraordinary rendition

3. Giurisprudenza europea in tema di tortura e trattamenti o pene

3.3. L’espulsione e l’estradizione

3.3.1 l’extraordinary rendition

Sulla base di recente giurisprudenza148 in materia, è stata formulata dalla Corte la definizione di

extraordinary rendition, la quale consisterebbe nel trasferimento, in assenza di autorizzazione

dell’autorità giudiziaria, di un soggetto dalla giurisdizione territoriale di uno Stato a quella di altro Stato in vista di una detenzione e di interrogatori al di fuori del regime giuridico ordinario e con il serio rischio di essere torturato o di subire un trattamento crudele, inumano o degradante.149

Una famosa vicenda che ha visto l’Italia protagonista è quella di Osama Mustafa Nasr, alias Abu Omar, residente in Italia dal 1998, il quale godeva dello status di rifugiato politico, ed era Imam presso la Moschea di via Quaranta in Milano.

Al momento del sequestro era indagato dalle autorità italiane per associazione con finalità di terrorismo internazionale, solo nel 2005 sarebbe stata emessa contro di lui un’ordinanza, da parte del GIP di Milano, di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.

Il 17 febbraio 2003, mentre si dirigeva verso la moschea di cui era l’imam, Abu Omar, venne sequestrato da agenti della CIA e del SISMi150, trasportato ad Aviano e successivamente al

147 Sent. Corte EDU Hirsi Jamaa e altri c. Italia, 23 febbraio 2012, par. 157

148 Si vedano, sent. Corte EDU Grande Camera, El Masri c. Macedonia, 13 dicembre 2012; sent. Corte

EDU, Al Nashiri c. Polonia, 27 aprile 2014; sent. Corte EDU, Husayn (Abu Zubaydah) c. Polonia, 24 luglio 2014

149 M. Mariotti, La condanna della Corte di Strasburgo contro l’Italia sul caso Abu Omar, in

www.penalecontemporaneo.it, 2016.

Cairo. Fin dai primi momenti del sequestro il ricorrente venne preso a calci e pugni, immobilizzato e bendato; solo a seguito di una grave crisi respiratoria, cagionata dai maltrattamenti, gli venne concesso di ricevere cure mediche.

Durante il primo periodo di detenzione (dal 17 febbraio 2003 al 19 aprile 2004), venne rinchiuso in una cella estremamente piccola, senza luce, aereazione o un bagno; gli veniva permesso di lavarsi solo una volta ogni quattro mesi, e per tutta la durata della detenzione non gli venne mai concesso, né di avere un Corano per pregare, né gli fu indicata la direzione in cui fosse La Mecca. Ogni giorno veniva sottoposto a violenti interrogatori151 ed umiliazioni152, finalizzati ad estorcergli informazioni sui gruppi terroristici in Italia.

A partire dal marzo 2004 le autorità egiziane smisero di porgli domande, costringendolo, invece, ad imparare una falsa dichiarazione in base alla quale, il ricorrente, avrebbe dovuto affermare di essersi volontariamente allontanato dall’Italia, di non volervi più tornare e di non aver subito alcun maltrattamento nel corso del suo periodo di detenzione in Egitto.

151 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 16 “il ricorrente sarebbe stato condotto regolarmente in una sala di interrogatorio dove sarebbe stato sottoposto a violenze fisiche e psichiche destinate a estorcergli informazioni, soprattutto sulle sue presunte relazioni con delle reti terroristiche islamiste in Italia. Durante il suo primo interrogatorio, sarebbe stato svestito e costretto a rimanere su un piede – l'altro piede e le mani erano legati insieme –di modo che sarebbe caduto più volte in terra, sotto le ironie degli uomini in uniforme che erano presenti. In seguito, sarebbe stato picchiato, sottoposto a scosse elettriche e minacciato di violenze sessuali se non avesse risposto alle domande che gli venivano poste”.

152 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 19 “Il ricorrente spiega che, due volte al giorno, una guardia veniva a prenderlo per condurlo nella sala d'interrogatorio, legato e privato della vista con una benda sugli occhi. Ad ogni interrogatorio, un agente lo avrebbe spogliato poi avrebbe invitato gli altri agenti a toccare le sue parti intime per umiliarlo. Il ricorrente dice di essere stato spesso sospeso per un piede o legato a una porta in ferro o a una grata di legno, in varie posizioni”.

Circa venti giorni dopo la scarcerazione, avvenuta il 19 aprile 2004, venne nuovamente arrestato in virtù della legge antiterrorismo egiziana, e solo tre anni più tardi, il 12 febbraio 2007, rimesso in libertà, senza alcuna incriminazione.

Le indagini sul sequestro del ricorrente da parte delle autorità italiane, si concentrarono, in un primo momento sull’identificazione ed individuazione degli agenti americani, successivamente, vennero estese anche all’eventuale coinvolgimento di agenti dello Stato.

Il SISMi, nella persona del suo direttore, aveva, fin da subito, negato la sussistenza di ogni sorta di relazione con la CIA, o il fatto di aver scambiato documenti in riferimento al sequestro dell’Imam153; affermazione dimostratasi falsa, a seguito della perquisizione avvenuta il 5 luglio 2006 presso la sede del SISMi di Roma, che portò al rinvenimento di un documento, datato 15 maggio 2003 dal quale risultava che la CIA avesse informato il SISMi che il ricorrente si trovava in Egitto ed era sottoposto ad interrogatori da parte dei servizi segreti egiziani154.

Nel proseguo delle indagini il PM chiese al PdC di produrre le informazioni e i documenti, posseduti dal Governo, riguardanti il sequestro del ricorrente e la pratica dei “trasferimenti extra-giudiziari”; con una nota del 26 luglio, la Presidenza del Consiglio, comunicò che le informazioni e i documenti richiesti erano coperti dal Segreto di Stato e che non sussistessero giustificati motivi per rimuoverlo.

Al termine della vicenda, Abu Omar e la moglie decisero di presentare ricorso innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando la violazione degli articoli 3, 5, 6, 8 e 13 della Convenzione.

La Corte EDU nel caso Nasr e Ghali c. Italia ha ritenuto sussistenti violazioni sia di tipo procedurale sia di tipo sostanziale, discendenti dagli articoli 3, 5 e 8.

153 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 56 154 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 63

Rispetto alle prime, ha stabilito, in via preliminare, che non è possibile muovere alcuna critica verso i giudici nazionali, i quali avevano condotto un’inchiesta approfondita, riuscendo a ricostruire i fatti155.

Riguardo all’annullamento della condanna di cui hanno beneficiato gli agenti del SISMI, la Corte ha ritenuto non vi fosse stata alcuna negligenza da parte dei giudici nazionali, dimostrando, anzi, le sentenze di Appello e di Cassazione, una fermezza esemplare non giustificando in alcun modo i fatti in questione156.

Circa l’apposizione del segreto di Stato da parte dell’esecutivo, è stato constatato che non fosse nient’altro che il tentativo di evitare la condanna degli appartenenti al SISMI, poiché i fatti oggetti del segreto erano, già da tempo, ampiamente di dominio pubblico.

Con riferimento alla condanna, in contumacia, degli agenti americani, lo stesso governo ha ammesso di non aver mai richiesto l’estradizione degli stessi. Successivamente, tra il 2013 e il 2015, il Presidente della Repubblica concesse la grazia ai tre condannati157.

Rispetto, invece, alle violazioni di tipo materiale della Convenzione, la Corte, a seguito della valutazione dei trattamenti cui era stato sottoposto il ricorrente, descritti dallo stesso in dichiarazioni scritte, confermati da certificati medici, e considerati attendibili dai giudici

155 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 272 “Nel caso di specie, il principio legittimo del «segreto di Stato», evidentemente, è stato applicato allo scopo di impedire che i responsabili dovessero rispondere delle loro azioni. Di conseguenza l’inchiesta, seppur effettiva e approfondita, e il processo, che ha portato all’identificazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non hanno avuto l’esito naturale che, nella fattispecie, era la punizione dei responsabili”.

156 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 266

157 M. Mariotti, La condanna della corte di Strasburgo contro l'Italia sul caso Abu Omar, in Penale

italiani, ha ritenuto che i trattamenti in questione avessero raggiunto il livello di gravità richiesto dall’art 3158.

La Corte, ricordando le parole dei giudici italiani159, ha ribadito che “Era quantomeno

prevedibile per le autorità italiane, che collaboravano con gli agenti della CIA, che il sequestro del ricorrente da parte della CIA fosse il preludio di gravi maltrattamenti vietati dall’articolo 3”160.

Dagli articoli 1 e 3 della Convenzione discendono obblighi tali per cui, le autorità nazionali avrebbero il dovere di assicurarsi che i soggetti sotto la loro giurisdizione non subissero tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti. Nel caso di specie, questo non era avvenuto e perciò, lo Stato italiano doveva essere considerato direttamente responsabile della violazione dei diritti del ricorrente, dal momento che i suoi agenti si erano astenuti dall’adottare le misure necessarie ad impedire il trattamento contestato.161

Tutto ciò considerato la Corte ha concluso che “permettendo alle autorità americane di rapire il

ricorrente sul territorio italiano nell’ambito del programma di «consegne straordinarie», le autorità italiane abbiano consapevolmente esposto l’interessato a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione”162.

158 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 287

159 Con un’ordinanza del 3 luglio 2006 il GIP di Milano, disponendo la custodia cautelare in carcere nei

confronti di ventotto imputati, dichiarava che “È evidente che un’operazione quale quella condotta dagli

agenti della CIA a Milano, secondo uno schema «avallato» dal servizio [di informazione] americano, non poteva aver luogo senza che il corrispondente servizio dello Stato [territoriale] ne fosse almeno informato”.

160 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 288 161 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 289 162 Sent. Corte EDU Nasr e Ghali c. Italia, 23 febbraio 2016, par. 290

CAPITOLO V

L’INTRODUZIONE DEL DELITTO DI TORTURA

NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

SOMMARIO: 1. I progetti di legge finalizzati all’introduzione del delitto di tortura

susseguitesi dalla X alla XVI legislatura – 2. Il lungo iter parlamentare dalla proposta del Sen. Manconi alla legge n. 110 del 2017 – 3. Il delitto di tortura – 3.1. Il soggetto attivo – 3.2. Il soggetto passivo – 3.3. Il fatto tipico – 3.3.1. La condotta – 3.3.2. L’evento – 3.4. L’elemento soggettivo – 3.5. Il trattamento sanzionatorio – 3.6. La tortura del pubblico agente e le altre circostanze aggravanti – 3.7. L’istigazione del pubblico ufficiale – 4. Tortura e cause di giustificazione – 4.1. Adempimento di un dovere – 4.2. Difesa legittima – 4.3. Uso legittimo delle armi – 4.4. Stato di necessità – 5. I limiti di effettività del delitto di tortura – 5.1. Gli esiti dell’ipotetica applicazione della nuova disciplina ai leading case in tema di abusi delle forze dell’ordine.

1. I progetti di legge finalizzati all’introduzione del delitto di tortura

susseguitesi dalla X alla XVI legislatura

Come rilevato in dottrina “il fatto grave, che spiega la ritardata introduzione del reato di tortura, è che resiste in Italia una forma diffusa di preoccupazione non per ciò che le polizie, in nome e in forza della legge, possono compiere, ma per ciò che possono compiere contro la legge. È come se la classe politica, in particolare, non si fidasse della lealtà delle polizie, dubitasse della loro dipendenza in via esclusiva dalla legge, ne temesse le reazioni incontrollate. Da qui, una

sorta di complesso di inferiorità e di sudditanza psicologica che pone come prioritario l’obiettivo della stabilità e della compattezza delle forze dell’ordine, anche quando ciò vada a discapito della correttezza e della piena legalità del loro agire”1.

La X legislatura (1987 - 1992), è stata la prima nel corso della quale sono state presentate delle proposte di legge finalizzate all’introduzione del delitto di tortura2. Tali proposte, però, non arrivarono mai in discussione in assemblea; la medesima sorte hanno seguito anche le cinque proposte di legge presentate nel corso della XIII legislatura3 (1996 - 2001).

Nella relazione introduttiva al ddl. n. 3691 presentato il 10 dicembre 1998 dai Sen. Salvato e altri, veniva data per scontata la natura di reato proprio della fattispecie4; si affermava, inoltre, che l’introduzione di un reato di tortura fosse necessaria per poter adeguare la normazione nazionale a quella sovranazionale, per colmare le lacune interne ed infine, per garantire la presenza di una norma di chiusura a tutela dei diritti umani dei cittadini.5

Nel progetto di legge C. 40876, presentato da Forza Italia, risultava evidente la volontà di condannare le condotte poste in essere negli anni precedenti da parte della magistratura,

1 L. Manconi, S. Anastasia, V. Calderone, Pratica degli abusi e diritto debole. Le polizie, le illegalità e le carenze normative, in Criminalia Edizioni ETS, 2015, p. 179

2 S. 1677 presentata nell’aprile 1989, dal PCI e il cui primo firmatario fu il Sen. Battellino e S. 2659

presentata nel febbraio 1991, dal partito radicale e il cui primo firmatario fu il Sen. Corleone.

3 C. 4087 presentata dall’On. Cicu e altri di Forza Italia; C. 7283 proposta di origine Governativa

proveniente dal presidente del Consiglio Amato e dal Ministro della Giustizia Fassino; S. 2701 presentata dal Sen. Semenzato e altri; S. 3691 trova tra i suoi primi firmatari gli appartenenti ai DS Sen. Salvato e altri; S. 3705 presentata dal Sen. Lo Curzio e altri del Partito Popolare.

4 “Non è necessario che il pubblico ufficia- le sia autore diretto della tortura; è sufficiente che ne sia istigatore, complice con- senziente o mero soggetto acquiescente alla commissione del crimine”.

5 Ddl n. 3691, consultabile presso il sito http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00300928.pdf 6 Consultabile presso il sito http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/pdf/4087.pdf

specificatamente nel corso delle indagini per “Tangentopoli”, la quale si riteneva avesse abusato dell’istituto della custodia cautelare7. In tale proposta il reato era presentato come un delitto generico che assurgeva a delitto proprio nell’ipotesi in cui ad esserne responsabili fossero stati dei pubblici ministeri8.

Merita, infine, di essere ricordata la proposta di legge n. 7283 di origine governativa, presentata nell’agosto 2000. Il progetto di legge proponeva di trattare la tortura, non come fattispecie autonoma di reato, bensì come circostanza aggravante9, giustificando tale presa di posizione osservando che “la necessaria tipicità delle fattispecie penali, a fronte della latitudine degli

impegni assunti sul piano internazionale, non si presta a ridurre in una sola norma la varietà delle situazioni riconducibili al concetto di «tortura», con la possibilità che sfuggano al precetto condotte significative e la probabilità di non riuscire a graduare, come pure è necessario, sul piano sanzionatorio, condotte di diverso disvalore”10.

7 Ddl 13-4087 art. 1 comma 3 “L’emissione di una ordinanza di custodia cautelare comporta l’obbligo per il magistrato che l’ha emessa di procedere all’interrogatorio del soggetto entro le 24 ore successive all’arresto, fatto salvo il caso di flagranza di reato. Il giorno e l’ora presumibile dell’interrogatorio debbono essere riportati nel medesimo provvedi- mento cautelare. L’inosservanza dell’obbligo di procedere all’interrogatorio è punita ai sensi del comma 1”.

8 P. Gonnella, Storia, natura e contraddizioni del dibattito istituzionale che ha condotto all’approvazione della legge che criminalizza la tortura, in Il Mulino - Rivisteweb, 2017, p. 415

9 Circostanza aggravante solo parzialmente tipica dei pubblici ufficiali, essendo, infatti, l’aumento di pena

a carico di chiunque avesse agito con crudeltà. P. Gonnella, Storia, natura e contraddizioni del dibattito

istituzionale che ha condotto all’approvazione della legge che criminalizza la tortura, in Il Mulino -

Rivisteweb, 2017, p. 415

La XIV legislatura (2001 - 2006) coincise con una serie di eventi che influenzarono in maniera estremamente rilevante il dibattito in materia di tortura11, portando alla presentazione di una pluralità di progetti di legge. Per la prima volta fu avviata una discussione parlamentare in Commissione Giustizia alla Camera. Venne elaborato un disegno di legge unitario A.C. 148312, che non fu, però, mai discusso in Assemblea, a seguito dell’approvazione di un emendamento che introdusse il tema della reiterazione delle condotte come condizione per l’integrazione del reato13.

Nel corso della XV legislatura (2006 - 2008) furono presentate otto proposte di legge, quattro alla Camera14 e quattro al Senato15, che vennero unificate in un unico disegno di legge C. 915 “Introduzione dell’articolo 613 bis del codice penale in materia di tortura”. Questo progetto fu il primo ad essere portato in discussione in parlamento e, addirittura, ad essere approvato alla

11 Nel 2001 l’irruzione nella scuola Diaz a Genova e le torture nella caserma di Bolzaneto; nel 2002

l’apertura del campo di prigionia a Guantanamo fuori dalle regole del diritto internazionale umanitario, le torture ad Abu Graib; nel 2004 le torture avvenute nel carcere di Asti ai danni di due detenuti. P. Gonnella, Storia, natura e contraddizioni del dibattito istituzionale che ha condotto all’approvazione

della legge che criminalizza la tortura, in Il Mulino - Rivisteweb, 2017, p. 415

12 “ART. 613-bis. – (Tortura). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, con violenze

o minacce gravi, infligge ad una persona sottoposta alla sua autorità sofferenze fisiche o mentali allo scopo di ottenere informazioni o confessioni da essa o da una terza persona su un atto commesso ovvero allo scopo di punire una persona per gli atti dalla stessa compiuti o che la medesima è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa, o sessuale, è punito con la reclusione da uno a dieci anni”.

13 P. Gonnella, Storia, natura e contraddizioni del dibattito istituzionale che ha condotto all’approvazione della legge che criminalizza la tortura, in Il Mulino - Rivisteweb, 2017, p. 436

14 C. 915 (On. Pecorella e altri); C. 1206 (On. Forgione e altri); C. 1272 (On. De Zulueta e altri); C. 1279

(On. Suppa e altri)

Camera dei Deputati il 13 dicembre 200616. Successivamente, venne trasmesso al Senato, sotto forma di disegno di legge S. 1216, ove l’iter parlamentare subì un arresto a causa della cessazione anticipata della legislatura.

L’art 613 bis così come prospettato nel disegno di legge appena citato, disciplinava il reato di tortura come un’ipotesi generica, introducendo una circostanza aggravante nel caso in cui il fatto fosse stato commesso da un pubblico ufficiale, nonché il raddoppiamento della pena se dal fatto fosse derivata la morte della persona offesa. Il Sen. Buccico nella relazione della II Commissione permanente (Giustizia) criticò il testo e soprattutto la scelta di qualificare il delitto come comune, piuttosto che come proprio, secondo quella che era l’impostazione originaria data al progetto17. Lo stesso Buccico sottolineò l’esigenza dell’approvazione di un testo

16 Il ddl approvato dalla Camera dei Deputati nel corso della seduta del 13 dicembre 2006, prevedeva

l’introduzione, all’interno del codice penale, dell’art 613 bis il quale avrebbe dovuto prevedere che “E`

punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o e` sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale”.

Consultabile presso il sito http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00230948.pdf

17 “La scelta operata nel disegno di legge n. 1216 non appare condivisibile sia perché tradisce la genesi storica e la suità ontologica della tortura che, nella sue specificità, si inquadra nel rapporto – patologico e perverso –tra autorità ed individuo sia perché l’opzione del reato comune – dal momento che astrattamente il più (reato comune) contiene il meno (reato proprio) – potrebbe tracimare nella irrazionalità e nel paradosso: si pensi alla condotta di genitori sussumibile non più nella fattispecie logica dei maltrattamenti in famiglia ma in quella della tortura nella ipotesi, per esempio, di condotta finalizzata ad ottenere dal figlio tossicomane il nome dello spacciatore dal quale si rifornisce. Sarebbe marginalizzata, se non azzerata, la specificità del disvalore della tortura”. Relazione della II

normativo che consentisse di illuminare circa il particolare disvalore della fattispecie, poiché “una rilevanza episodica e parcellare impedisce, infatti, di cogliere il disvalore essenziale che,

come icasticamente si esprime il professor Padovani, «la tortura, in quanto tale, assume a prescindere dalle specifiche modalità con cui si realizza»”18.

Nessuno dei progetti di legge presentati nel corso della XVI legislatura (2008 - 2013) giunse alla discussione in aula. L’orientamento comune aveva accettato l’idea che l’unico modo per riuscire ad introdurre una fattispecie così controversa e contrastata dalle forze di polizia, come la tortura, fosse concepirla come un’ipotesi comune.

Tutti i disegni di legge presentati dalla X legislazione alla XVI riproducevano, in maniera più o meno conforme, la definizione di tortura offerta dalla Convenzione di New York del 1984.

Il nodo problematico sotteso alle varie proposte in materia di tortura, a partire dalla X legislazione, riguardava la qualificazione del reato come proprio o come comune. Le