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La violenza da parte delle forze di polizia negli anni della lotta al terrorismo

5. La necessità di introdurre il divieto di tortura nell’ordinamento

5.2 La violenza da parte delle forze di polizia negli anni della lotta al terrorismo

Nel momento in cui i costituenti dovettero stabilire quello che sarebbe diventato il contenuto dell’attuale art 13 Costituzione, a lungo discussero circa la necessità di introdurre il divieto di tortura al fine di evitare il più possibile che le violenze perpetrare dalle forze dell’ordine rimanessero impunite.

L’uso della forza da parte delle autorità pone dei problemi che hanno investito, ed investono tutt’ora, tutti gli ordinamenti del mondo, e che tendono a manifestarsi con maggiore frequenza ed intensità nei periodi di instabilità politica e sociale.

L’Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, ha attraversato un periodo di profondo allarme sociale causato da numerosi atti terroristici di matrice politica. Questo ha spesso portato gli agenti delle forze di polizia ad utilizzare la violenza, fino ad arrivare a pratiche di vera e propria tortura, nei confronti di soggetti sospettati di essere affiliati ad organizzazioni terroristiche.

Nel corso delle indagini per il sequestro e l’omicidio del Presidente della DC, Aldo Moro, venne arrestato Enrico Triaca, membro dell’organizzazione terroristica delle Brigate Rosse e ritenuto essere in possesso di informazioni utili.

A seguito degli interrogatori a cui venne sottoposto, Triaca, denunciò alcuni agenti di polizia per maltrattamenti, adducendo di essere stato sottoposto a numerose torture tra cui anche quella della c.d. algerina57. Al tempo non vennero ravvisate le prove necessarie per sostenere la sua accusa; fu, infatti, lo stesso Triaca ad essere condannato, in via definitiva, per calunnia. Solo nel 2012 ottenne

la possibilità di un riesame del processo, presso la Corte d’Appello di Perugia, che portò all’annullamento della precedente sentenza con rinvio al Tribunale di Roma. La Corte d’Appello di Perugia nel 2012 non incontrò particolari difficoltà nell’accertamento dei fatti, potendo assumere come prove le numerose interviste e dichiarazioni rilasciate nel corso degli anni da esponenti delle forze dell’ordine, i quali avevano ammesso l’esistenza di un sistema diffuso di violenza all’interno dell’apparato statale negli anni della lotta al terrorismo58.

Un episodio di violenza successivo, ed ancor più significativo, riguardò le vicende relative alle indagini per il sequestro del generale americano James Lee Dozier avvenuto il 17 Dicembre 1981 a Verona59.

58 Nel mese di ottobre 2011 il giornalista Nicola Rao pubblicò un libro dal titolo “Colpo al cuore - dai pentiti ai metodi speciali: come lo Stato uccise le B.R. – La storia mai raccontata”. In un capitolo del libro venivano

descritte le vicende attraverso le quali si era giunti alla liberazione del generale Dozier, sequestrato dalle B.R. nel 1981, propiziata dalle torture praticate nei confronti di alcuni arrestati dal funzionario conosciuto con il nomignolo di dottor De Tormentis e dalla sia squadra, denominata “I cinque dell’Ave Maria”, esperti della tortura con acqua e sale o algerina, conosciuta con il nome inglese di “waterboarding”. Nella narrazione si dava atto di come nel maggio 1978 il De Tormentis e i suoi si fossero occupati di Enrico Triaca, arrestato il 7 maggio 1978, il quale a seguito del trattamento aveva reso dichiarazioni auto e eteroaccusatorie. Si ricorda anche che il giornalista Matteo Indice, nel quotidiano Il Secolo XIX di Genova, aveva intervistato il De Tormentis, garantendone l’anonimato, intervista pubblicata il 24 giugno 2007, nella quale il predetto aveva parlato anche del tipografo Enrico Triaca, il quale a detta del dichiarante aveva fornito “una serie di rivelazioni impressionanti dopo che lo torchiammo”. L’articolo era annunciato da un titolo in prima pagina “Così ai tempi delle B.R. dirigevo i torturatori”. Cit. Sentenza n. 1130/13 Corte di Appello di Perugia, Sezione Penale.

A riguardo si ricorda infine anche l’intervista a Salvatore Genova pubblicata dalla rivista “L’Espresso” il 5 aprile 2012. http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2012/04/05/news/cosi-torturavamo-i-brigatisti- 1.42054

I cinque sequestratori, militanti delle BR, dopo l’arresto, furono sottoposti a vere e proprie torture: privazione del sonno, percosse, minacce di morte e per le donne, anche, di violenza sessuale; allo scopo di ottenere informazioni sulla struttura dell’organizzazione e sull’identità degli altri membri. Cesare Di Leonardo, fu sottoposto a trattamenti particolarmente violenti, sia fisicamente, sia psicologicamente, in quanto subì una falsa fucilazione, e waterboarding, congiuntamente, ancora, a minacce e percosse, quest’ultime, gli cagionarono una perforazione del timpano con conseguente emorragia.

Con sentenza del 15 luglio 1983 il Tribunale di Padova condannò gli agenti del NOCS60 per i reati di: sequestro di persona, tentata violenza privata e lesioni personali.

Ciò che ai nostri fini risulta essere più interessante è il fatto che la Corte, nel caso di specie, non abbia ritenuto integrata la scriminante dell’aver agito per stato di necessità61 (art. 54 c.p.). Per il Tribunale di Padova, a seguito di un bilanciamento di valori, risultava evidente la sproporzione, infatti, le informazioni raccolte, dai cinque brigatisti, erano da considerare certamente utili, ma non necessarie, aggiungendosi che, i medesimi risultatiti, avrebbero potuto essere ottenuti anche tramite l’utilizzo di strumenti leciti.62

60 Nucleo operativo centrale di sicurezza: un gruppo speciale della Polizia di Stato addestrato per portare a

termine operazioni ad alto rischio.

61 La difesa aveva invocato lo stato di necessitò alla luce del fatto che le B.R. rappresentavano al tempo dei

fatti un pericolo attuale, e grave per l’intera collettività.

62 “In punto di diritto, la tesi difensiva non è fondata semplicemente perché le informazioni che ottengono,

mediante il ricordo a violenze morali e fisiche nei confronti degli arrestati, sono utili ma non assolutamente necessarie per la lotta al terrorismo; vi sono altri modi legali, più efficaci, per combatterlo e la storia di questi anni recenti lo ha dimostrato in modo certo, perché essi si sono rivelati vincenti”. Rivista Foro Italiano, 1984, II, p. 230

Dalle parole della Corte è possibile evincere che, in determinate circostanze, la violenza avrebbe potuto essere giustificata dallo stato di necessità; un’impostazione, questa, non accettata da Pulitanò, il quale, infatti, in nota a tale sentenza affermava: “l’impossibilità di giustificazioni non può rimettersi semplicemente (parola del tribunale) alla verifica fattuale della non necessità della violenza; ma ha valore di principio normativo inderogabile”63; in un ordinamento democratico non si può ritenere che il fine giustifichi i mezzi, “la legittimazione dei mezzi deve risultare dall’ordinamento legale”64. Nelle moderne democrazie tutte le azioni poste in essere dallo Stato sono limitate dalla Costituzione e dalle garanzie dalla stessa previste, “se si fa passare l’idea che le garanzie possano venire meno a fronte di una pubblica necessità, non essendoci altro arbitro di questa necessità se non le stesse Autorità che porrebbero in atto le torture quelle garanzie rischiano di diventare scatole enfaticamente vuote”65.

La condotta dei torturatori, per altro, non presenta le condizioni tipiche dello stato di necessità: è tutt’altro che certo che il soggetto sottoposto a tortura rappresenti un pericolo diretto ed immediato per la collettività, così come non sono certe le informazioni da questi ottenute. Per di più lo stato di necessità richiede che vi sia proporzione con il pericolo, e la tortura per definizione risulta sproporzionata, sia in riferimento al male inflitto, sia rispetto alla relazione tra vittima e carnefice.66

Lo stato di necessità venne più volte in rilievo, nel corso degli anni Settanta e Ottanta, per giustificare le linee d’azione assunte dallo Stato per affrontare il terrorismo. Inizialmente, si optò a favore di una c.d. “linea umanitaria” consistente nell’aprire un dialogo e delle trattative con i

63 Cit. Nota a sentenza D. Pulitanò in Rivista Foro Italiano, 1984, II, p. 230

64 Cit. Nota a sentenza D. Pulitanò in Rivista Foro Italiano, 1984, II, p. 230

65 G. Serges, La tortura giudiziaria. Evoluzione e fortuna di uno strumento di imperio, in L. Pace, S.

Santucci, G Serges, Momenti di storia della giustizia, 2011, p. 318

66 A. Pugiotto, Repressione penale della tortura e costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in Diritto

gruppi eversivi e terroristici; questa, però, venne rapidamente sostituita dalla c.d. “linea delle fermezza”, intesa come stretta tutela del principio di legalità.

Il passaggio dalla trattativa alla fermezza, avvenne a seguito del primo clamoroso sequestro politico delle B.R., il sequestro del dott. Mario Sossi67. Tale vicenda “ha sancito il rifiuto dello stato di necessità, quale criterio di affievolimento degli istituti in cui si concreta l’autorità della giustizia penale”68.

Pulitanò si è chiesto se lo stato di necessità potesse essere accettato, laddove, avesse avuto come scopo un indebolimento delle garanzie individuali difronte all’autorità, e cioè se “la necessità di salvare vite umane offrirebbe un criterio di eccezionale legittimazione di violenze su detenuti”69; questo avrebbe, però, portato ad un capovolgimento del significato stesso della “fermezza” che “sarebbe passata dall’essere un’intransigente difesa del principio di legalità, ad un indirizzo autoritario svincolato da regole e garanzie certe”70.

67 Il 18 aprile 1974, un commando di B.R. sequestrò il dott. Mario Sossi, sostituto procuratore della

Repubblica presso il Tribunale di Genova. In un secondo momento i sequestratori, tramite bollettini anonimi, minacciarono la morte dell’ostaggio qualora non fossero stati liberati otto imputati, al tempo detenuti in stato di custodia preventiva, appartenenti alle Brigate Rosse. La Corte d’Assiste di Appello di Genova, il 20 maggio emise un’ordinanza con la quale concedeva la liberazione provvisoria degli otto brigatisti a condizione che fosse assicurata l’incolumità e la scarcerazione del dott. Sossi. Il Procuratore Generale presentò ricorso per Cassazione, la quale con provvedimento interlocutorio del 27 maggio ordinò la sospensione dell’esecuzione, qualificando l’atto emanato dalla Corte d’Assise d’Appello come inesistente, avendo la Corte ecceduto i limiti segnati per la stessa dall’ordinamento. In Rivista Foro Italiano, 1974, II, p. 257

68 Cit. Nota a sentenza D. Pulitanò in Rivista Foro Italiano, 1984, II, p. 230

69 Cit. Nota a sentenza D. Pulitanò in Rivista Foro Italiano, 1984, II, p. 230

Cadrebbe in errore chi si persuadesse che tali pratiche di violenza da parte delle forze dell’ordine ormai non ci appartengano più, e che fossero semplicemente conseguenza di un periodo storico di profonda tensione come furono i c.d. “anni di piombo”. Numerosi sono stati, anche in anni recenti, gli episodi di violenze perpetrate dalla polizia; a titolo esemplificativo, si ricordano alcune delle vicende più famose: l’omicidio di Federico Aldrovandi71; l’omicidio di Stefano Cucchi72; l’omicidio di Giuseppe Uva73.