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Obblighi di repressione penale

6. La lacunosa ed inadempiente legislazione tedesca

1.2 Obblighi di repressione penale

giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – 2.1. I c.d. ill-treatments in policy custody – 2.2. Divieto di pene inumane o degradanti – 2.2.1. L’ergastolo – 2.2.2. L’isolamento e la sorveglianza particolare – 2.2.3. Il sovraffollamento carcerario – 2.2.4. Le condizioni igieniche – 2.2.5. L’adeguatezza delle cure mediche apprestate all’interno delle carceri – 2.3. L’espulsione e l’estradizione – 3. Giurisprudenza europea in tema di tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti, in riferimento al caso italiano – 3.1. La gestione dell’ordine pubblico e l’uso della forza – 3.1.1. Le vicende del G8 di Genova del 2001 – 3.2. Divieto di pene inumane o degradanti – 3.2.1. La questione ancora irrisolta del c.d. ergastolo ostativo – 3.2.2. Il regime detentivo speciale dell’art 41 bis ord. penit. – 3.2.3. Il sovraffollamento carcerario – 3.2.4. L’adeguatezza delle cure apprestate in carcere e il problema della compatibilità della detenzione con lo stato di salute – 3.3. L’espulsione e l’estradizione – 3.3.1. l’extraordinary rendition

1. Il divieto di tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti

nell’art 3 CEDU

L’articolo 3 della CEDU sancisce la protezione assoluta dell’individuo sotto due differenti punti di vista: da un lato, il diritto a non essere sottoposti a tortura o a pene o trattamenti inumani o

degradanti non è, in nessun caso, suscettibile di deroga, come sancito dall’art 15 CEDU1, dall’altro, la tutela della collettività non può mai, in nessun caso, autorizzare il compimento di condotte vietate dalla norma.

Ad oggi, l’art 3 CEDU possiede un ambito applicativo di tipo “orizzontale” potendo, infatti, essere identificati come soggetti attivi dei fatti di tortura, non più, solo gli appartenenti alle forze dell’ordine, ma anche, chiunque possa attentare alla dignità e all’integrità della vittima, in virtù di una particolare situazione di fatto che veda quest’ultima in una posizione di debolezza2.

È opportuno precisare che, affinché la Corte possa pronunciarsi su di una vicenda, anche concernente fatti di tortura, deve configurarsi necessariamente un comportamento, quanto meno, omissivo da parte delle autorità dello Stato, ai sensi di quanto disposto dall’art 34 CEDU3.

1Art 15 CEDU commi 1 e 2 “1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato

da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7”.

2 Nel caso H.L.R. c. Francia, la Corte ha ritenuto che nel valutare se sussistesse una violazione dell’art 3

CEDU, necessitasse di essere preso in considerazione anche il fatto che il ricorrente, laddove fosse stato espulso in Colombia, avrebbe corso il rischio di ritorsioni da parte del gruppo di narcotrafficanti di cui, precedentemente, faceva parte. Nel caso Balsan c. Romania, la Corte ritenne integrata la violazione, in virtù del fatto che le autorità nazionali avessero omesso di adottare misure adeguate a prevenire i reiterati e gravi maltrattamenti posti in essere dal marito nei confronti della moglie, nonostante quest’ultima si fosse più volte rivolta agli organi di polizia.

3 Art 34 CEDU: “La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione

Dall’art 3 discendono, sia obblighi negativi, la cui mancata osservanza da luogo a violazioni dirette ed indirette4 della Convenzione, sia ad obblighi positivi, che si orientano in tre diverse direzioni: obblighi di protezione, di repressione penale e procedurali.

L’articolo in esame ha assunto progressivamente, grazie all’opera della giurisprudenza, il ruolo di norma cardine per la tutela dell’integrità psico-fisica dell’individuo, guadagnando uno spazio di applicazione notevolmente più ampio di quello che il testo sembrerebbe suggerire5; da ciò non deve, però concludersi che ogni lesione dell’integrità psico-fisica del singolo sia suscettibile di integrare una violazione dell’art 3 CEDU: una giurisprudenza, ormai, consolidata richiede, infatti, il superamento di una soglia minima di gravità6.

da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto”.

4 Violazioni indirette dell’art 3 CEDU si possono avere in relazione a pratiche come l’espulsione o

l’estradizione, rispetto alle quali può venire in rilievo una responsabilità dello Stato convenuto per una violazione realizzata dalle forze dell’ordine o da privati cittadini, di altro Stato.

Costituisce orientamento consolidato in seno alla Corte il principio per cui affinché, l’estradizione o l’espatrio, diano luogo a violazione dell’art 3 CEDU, non è sufficiente allegare una generica situazione di insicurezza nel paese destinatario, essendo, infatti, necessaria la dimostrazione di un rischio individuale per la vita e l’integrità fisica. F. Cassibba, A. Colella, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, G. Giappichelli Editore, 2016, p. 81

5 F. Cassibba, A. Colella, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, G.

Giappichelli Editore, 2016, p. 65

6 La valutazione della gravità della condotta si fonda su due circostanze: le prime, di natura oggettiva,

fanno riferimento alla durata del trattamento e alla gravità dello stesso; le seconde, di natura soggettiva, prendono in considerazione l’età, il sesso, le condizioni psicologiche.

L’art 3 CEDU stabilisce che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti

inumani o degradanti” senza, tuttavia, precisare il contenuto di tali mistreatments. È stata,

infatti, la dottrina a fissare il contenuto di queste tre diverse categorie di reati, stabilendo che, in caso di trattamenti o pene degradanti vengono in rilievo elementi di natura emotiva7; i trattamenti o le pene inumane si riferiscono all’inflizione di una sofferenza fisica o psicologica di particolare intensità8; infine, la tortura viene chiamata in causa solo in presenza di condotte di rilevante gravità, aventi come scopo specifico l’ottenimento di informazioni, l’estorsione di una confessione, l’inflizione di una punizione9. Tale classificazione è considerata, dalla giurisprudenza di Strasburgo e dalla stessa dottrina10, solo tendenziale, in quanto, da un lato, il

7 Caso degli Asiatici dell’Africa Orientale c. Regno Unito, 1 dicembre 1973, il ricorso era stato presentato

da alcuni cittadini di Uganda e Kenya in possesso di passaporto britannico, cui era stato negato il permesso di trasferirsi in Gran Bretagna in virtù di una disposizione contenuta nel Commonwealth

Immigrants Act del 1968. Secondo il parere della Commissione tale diniego determina una violazione

dell’art 3, in quanto una misura che discredita una persona nel suo ceto sociale, nella sua situazione o nella sua reputazione può essere considerata trattamento degradante.

8 Pierce c. Regno Unito, 10 luglio 2001, la ricorrente, una disabile condannata a pena detentiva,

lamentava di non aver potuto ricaricare la batteria della propria sedia a rotelle in carcere e di non essere stata assistita, durante il periodo di detenzione e per i suoi bisogni fisiologici, da personale di sesso femminile

9 Aksoy c. Turchia, 25 settembre 1997, prima ipotesi in cui la Corte ha ravvisato un vero e proprio caso di

tortura. Il ricorrente, sospettato di essere membro del gruppo terroristico PKK, venne arrestato e torturato tramite il ricorso, tra gli altri, dell’impiccagione alla palestinese. Successivamente Aksoy sarebbe stato ucciso per essersi rifiutato di ritirare il ricordo innanzi alla Corte EDU.

10 La posizione della soglia che distingue le varie forme di maltrattamento non è individuata in modo

fisso, in quanto essa dipende dall’insieme dei dati della causa, e in particolare, dalla durata del trattamento, dalle conseguenze fisiche e/o mentali così come talvolta dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.

confine tra trattamenti o pene degradanti ed inumane è spesso labile; dall’altro, i mistreatments che raggiungono la soglia minima necessaria per poter essere qualificati come ipotesi di tortura non sempre sono sostenuti dallo scopo specifico richiesto.11

È principio consolidato della giurisprudenza europea che l’onere della prova sia a carico di chi asserisca di essere stato vittima di condotte contrarie all’art 3 CEDU.

A seguito di due sentenze degli anni ’9012, entrambe rese contro la Francia, la Corte modificò parzialmente il proprio indirizzo, introducendo una presunzione di responsabilità dello Stato. Tale presunzione prevede due condizioni, e cioè che il soggetto, al momento dei fatti si trovasse in stato di, lato sensu, detenzione13, e che le autorità nazionali non siano in grado di fornire una spiegazione alternativa o una ragione giustificatrice dei maltrattamenti subiti dalla vittima14. In ogni caso, il ricorrente, dovrà, comunque, dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio le lesioni che asserisce di aver subito15, poiché la presunzione opera solo rispetto alla riferibilità delle stesse all’operato degli agenti di polizia.

11 F. Cassibba, A. Colella, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, G.

Giappichelli Editore, 2016, p. 67

12 Tomasi c. Francia, sent. 27 agosto 1992; e Selmouni c. Francia, sent. 28 luglio 1999

13 Ad esempio, fermo di polizia, custodia cautelare, esecuzione di una pena detentiva

14 F. Cassibba, A. Colella, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, G.

Giappichelli Editore, 2016, p. 68

15 Circa la rigidità della Corte nel richiedere referti medici a supporto della propria allegazione, merita qui

si essere richiamata la sentenza Volkan Özdermir c. Turchia, 20 ottobre 2009, nella quale i giudici di Strasburgo hanno valutato la lacunosità e la contraddittorietà dei referti medici come un elemento a supporto delle allegazioni del ricorrente, evitando che questi subisse conseguenza negative derivanti dalla mancata corrispondenza di questi ultimi agli standard di diligenza richiesti. A. Colella, La giurisprudenza

1.1. Obblighi di protezione

La giurisprudenza ha ricavato dall’art 3 CEDU degli obblighi di protezione, a fronte di un pericolo individuato per l’integrità fisica di persone determinate, obblighi del tutto analoghi a quelli derivanti dall’art 2 CEDU16.

Il leading case di questo filone giurisprudenziale è rappresentato dalla sentenza Z e altri c.

Regno unito del 2001, relativa alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione, in conseguenza

dell’omesso intervento delle pubbliche istituzioni a protezione di minori costretti dai loro genitori a vivere in un ambiente familiare degradato e di totale abbandono fisico e psicologico. Paradigmatica è, anche, la sentenza Boris Ivanov c. Russia, 6 ottobre 2015, rispetto alla quale è stata ravvisata la violazione degli obblighi di protezione dalle azioni violente commesse da privati in un caso in cui il ricorrente, detenuto, era stato picchiato dai compagni di cella alla presenza di un agente penitenziario, il quale si era astenuto dall’intervenire.

Nel marzo 2017, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo17, per violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti, nonché del divieto di discriminazione. Le autorità nazionali non erano intervenute per proteggere una donna e i suoi figli, vittime di violenza domestica, avvallando di fatto tali condotte violente. La Corte ha osservato come, nel caso di specie, successivamente alla denuncia, la vittima sia stata privata dell’immediata protezione che la sua situazione di vulnerabilità richiedeva. Le autorità

di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in

Diritto Penale Contemporaneo

16 In base alla sentenza Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, la Corte edu ha stabilito che dall’art 2

Cedu discende un obbligo per le autorità nazionali di proteggere la vita e l’integrità fisica delle persone affidate, a qualunque titolo, alla loro custodia. S. Zirulia, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, G. Giappichelli Editore, 2016, p. 56

nazionali, non agendo rapidamente, hanno privato la denuncia di ogni efficacia, creando un contesto d’impunità favorevole alla ripetizione degli atti di violenza.18

1.2 Obblighi di repressione penale

Gli obblighi positivi discendenti dall’art 3 CEDU si declinano, anche, come obblighi di incriminazione e di effettiva punizione dei fatti di tortura o di trattamenti inumani e degradanti. Con la sentenza Cestaro c. Italia, la Corte ha riconosciuto la violazione dell’art 3 della Convenzione in ragione della mancanza, all’interno dell’ordinamento italiano, di una fattispecie incriminatrice idonea a prevenire e reprimere i fatti di tortura, ponendo a carico dello Stato l’obbligo di adottare strumenti giuridici idonei. Poco importa, infatti, che l’ordinamento penale contempli fattispecie che si prestano a coprire l’ambito di applicazione di un’ipotetica norma incriminatrice della tortura, se nessuna di tali fattispecie si mostra idonea ad assicurare al diritto sancito dall’art 3 CEDU una protezione effettiva.19

Ad analoghe conclusioni è pervenuta la Corte, in una sentenza resa contro la Bulgaria20, evidenziando che l’assenza del reato di tortura nel codice penale bulgaro, avesse impedito la inflizione di un’adeguata sanzione nei confronti di alcuni ufficiali di polizia, i quali per molte ore avevano torturato il ricorrente, colpendolo con una mazza di legno e sottoponendolo a scosse elettriche, al fine di fargli confessasse un reato di furto con scasso.

18 R. Casiraghi, La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Penale Contemporaneo, 2017, p. 378

19 A. Colella, C’è un giudice a Strasburgo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2009, p. 1801 20 Corte EDU sentenza 3 novembre 2015, Myumyun c. Bulgaria