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Il Teatro Statale Yiddish dell’Ucraina Occidentale

I. Lo spazio del teatro

4. Gli anni Trenta

5.1. Il Teatro Statale Yiddish dell’Ucraina Occidentale

Białystok rappresentò tuttavia una tappa di breve durata: il viaggio della compagnia proseguì in direzione di Leopoli, città in cui abitava la famiglia di Melman e in cui Ady Rosner avrebbe avuto l’opportunità di esibirsi di fronte agli ufficiali di alto rango dell’Armata Rossa. Qui Ida ricevette l’invito, cal- damente patrocinato da Mosca, a ricoprire l’incarico di diret- trice del Teatro Statale Yiddish dell’Ucraina Occidentale,148

insieme alla promessa di un sostegno economico da parte

146. Alla fine degli anni Trenta, in Unione Sovietica, le istituzioni scolastiche e gli organi di stampa ebraici furono drasticamente ridotti. Il teatro, invece, continuò a fiorire, in parte anche ufficialmente incoraggiato dal governo, che in esso vedeva uno strumento di indottrinamento. Nel momento in cui l’Armata Rossa invase i territori della Polonia Orientale, in Unione Sovietica erano attivi teatri ebraici nelle città di Mosca (il celebre Teatro yiddish statale da camera diretto da Solo- mon Michoels), Char’kov, Minsk, Birobidzhan, Odessa, Zhitomir e Baku. Oltre alle compagnie itineranti (tra cui la sezione drammatica dell’Iteg, Idishe Teater Gezelshaft, un’associazione teatrale con forti influenze comuniste anche prima della guerra), erano presenti numerosi gruppi drammatici.

147. I. Kaminska, My life cit., p. 113.

148. Il cui primo direttore amministrativo fu l’attore Gershon Roth, mentre Alter Kacyzne ricoprì l’incarico di consigliere artistico. Gravitarono inoltre attorno al teatro i drammaturghi Israel Ashendorf, Yerahmiel Green e Leybush Dreykurs.

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del regime. La gestione statale della struttura garantiva agli artisti la stabilità e la libertà di dedicarsi esclusivamente alla pratica artistica senza dovere andare in cerca di finanziamen- ti: un privilegio che il governo seppe ampiamente enfatizzare e strumentalizzare. Ida si trovò così a capo di uno degli otto teatri yiddish statali sorti nei nuovi territori annessi all’U- nione Sovietica: a quello di Leopoli, che con diciotto nuo- ve produzioni si distinse per dinamismo, si aggiungevano il teatro statale di Białystok,149 inizialmente diretto da Avrom

Morevski, oltre a una scena satirica in cui erano confluiti i membri del Teatro Ararat di Varsavia;150 due teatri dramma-

tici istituiti in Lituania, con sede a Kovno e a Vilnius;151 uno a

Riga, in Lettonia; un Der Yidishe Teater fun der Moldavisher ssr a Chis˛ina˘u, capitale del distretto della Bessarabia prima di allora sprovvista di un teatro yiddish stabile152 e una com-

pagnia itinerante di prima qualità generalmente di stanza a Czernovitz.153 Complessivamente, tra il 1939 e il 1941 questi

149. Il teatro presentò in totale dodici opere e inaugurò l’attività con La famiglia

Ovadis di Markiš, diretta da Avrom Morevski, e seguita dai frammenti di due clas-

sici del repertorio del teatro yiddish sovietico: Uno scherzo sanguinoso di Sholem Aleichem e Hershele di Ostropole di Gershenson diretta da Jacob Mindlen, un gio- vane direttore succeduto a Morevski. L’ultimo spettacolo avrebbe dovuto essere il melodramma Gli spagnoli di Michail Lermontov, ma non andò mai in scena perché dopo l’invasione tedesca i settanta membri della compagnia si dispersero nell’Asia Centrale.

150. Tra i membri figuravano Broderzon, Dzigan e Shumacher. Questo teatro sa- tirico portava in scena la vita del tempo in una lotta costante con la censura sovie- tica, spesso vinta attraverso improvvisazioni dell’ultimo minuto e allusioni sottili. Veniva spesso criticato e accusato di rimanere attaccato allo shmaltz (sentimentali- smo) del tempo passato. Quando scoppiò la guerra tra il Terzo Reich e l’Unione Sovietica la compagnia si trovava in tournée a Odessa: gli attori furono mandati a Char’kov e da lì si separarono, trovando rifugio in Asia Centrale.

151. Teatro diretto da Dovid Umru e Chaim Grade, in cui confluirono molti ar- tisti ebrei polacchi in fuga. A Vilnius era inoltre attivo un teatro di marionette e burattini.

152. Il regime comunista stanziò i fondi per allestire una sala da millecinque- cento posti, di cui divenne direttore artistico il drammaturgo Jacob Sternberg. La compagnia comprendeva venti attori, ai quali si aggiunsero i colleghi del Teatro Yiddish Statale di Baku, che era stato chiuso. Per il debutto il Teatro Yiddish Cen- trale della Repubblica Socialista Sovietica Moldava scelse La strega di Goldfaden, opera che destò grandi attenzioni e che fu vista anche dai membri principali del Goset. Ronit Fisher, Romanian Yiddish Theater: <http://jwa.org/encyclopedia/arti- cle/romanian-yiddish-theater>.

153. Alla fine del 1940 si raccolsero a Czernovitz alcuni tra i principali attori della scena yiddish romena, tra cui Sidy Thal e Sevilla Pastor. La compagnia operò sol- tanto per quattro mesi, durante i quali allestì spettacoli di successo come Tevye il

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nuovi gruppi teatrali statali rappresentarono un centinaio di opere e se si considera che uno spettacolo andava in scena mediamente una decina di volte ci si rende conto della quan- tità di spettacoli in yiddish che furono prodotti in questo periodo.

Con l’eccezione del teatro di Chis˛ina˘u, che ebbe il corag- gio di inaugurare la propria attività con La strega di Goldfa- den, tutti i nuovi teatri permanenti debuttarono con un’o- pera sovietica; ciò nonostante il repertorio restava sempre saldamente legato ai drammi classici yiddish e, in misura minore, a opere di drammaturghi sovietici contemporanei di origine ebraica (tra i favoriti Markiš, Gershenson, Daniel e Dobrušin). Il ristretto numero di opere di drammaturghi sovietici non ebrei portate in scena attesta la relativa indi- pendenza della scena statale yiddish del tempo. Anche Ida scelse tra le prime opere Mio figlio, dell’ungherese Sándor Gergely, storia della persecuzione di un comunista da parte del regime reazionario di Miklós Horthy che da poco era stata portata in scena dal teatro dell’Armata Rossa, ma fece prevalere nel suo repertorio classici yiddish come Il decimo

comandamento e successi dell’anteguerra come Fuente oveju- na. Un elemento irrinunciabile del programma fu anche La famiglia Ovadis di Perets Markiš,154 il dramma yiddish più rap-

presentato in Unione Sovietica, propagandato dalla stampa come primo esempio di contatto degli ebrei locali con la real- tà sovietica attraverso il ritratto di giovani ebrei rivoluzionari che imbracciano le armi.

154. Perets Markiš (1895-1952): poeta, autore di prosa, drammaturgo e saggista, originario della Volinia. Debuttò nel 1917 e nel 1921 si trasferì a Varsavia: qui fu tra i fondatori della rivista «Literarishe bleter», collaborò con i poeti Uri Tsevi Grinberg e Melech Ravitch trasformando la città nel centro del modernismo yiddish. Nel 1926 tornò in Unione Sovietica e il trasferimento coincise con la fine della stagione modernista della sua scrittura. Negli anni Trenta era conside- rato uno dei più importanti scrittori yiddish sovietici. Tra le sue opere più note figura il romanzo Uno a uno, storia di un operaio ebreo che torna in Unione Sovietica dagli Stati Uniti per contribuire alla costruzione del socialismo. Dal 1939 al 1943, Markiš fu a capo della sezione yiddish dell’Unione degli scrittori sovietici e nel 1942 si unì al partito comunista. Fu arrestato nel 1949 durante la campagna di liquidazione orchestrata contro i membri del Comitato antifascista ebraico e gli ultimi esponenti della cultura ebraica in Unione Sovietica. Dopo un processo farsa fu condannato a morte, come gran parte degli accusati. Avraham Novershtern, Perets Markish, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 8 otto- bre 2016: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Markish_Perets> e il quinto volume di questa serie.

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In quei primi mesi di guerra, la Galizia occidentale era diventata uno degli epicentri del teatro ebraico e Ida visse questo periodo con la fiducia di avere trovato riparo in un luogo in cui la cultura yiddish poteva non soltanto sopravvi- vere, ma addirittura svilupparsi. Una speranza che l’artista condivideva con gran parte dell’eterogenea comunità ebrai- ca: se gli yiddishisti contavano sulla simpatia del regime per la cultura yiddish e sulla possibilità di inserirsi nelle linee di governo con opere «di contenuto socialista e forma naziona- lista», i sionisti prendevano atto che l’avvento del nuovo siste- ma politico avrebbe comportato la fine della lingua ebraica e guardavano alla cultura yiddish come l’ultimo scampolo di identità, e anche tra folkisti e bundisti si respirava un’analoga speranza. Solo più tardi sarebbe sopraggiunta l’amara disillu- sione e tutti avrebbero compreso che l’obiettivo del governo comunista era circoscrivere l’attività culturale ebraica a fini esclusivamente propagandistici. A quell’epoca, invece, mol- ti intellettuali e artisti ebrei guardavano ai territori annessi della Polonia orientale, delle Repubbliche Baltiche, della Bessarabia e della Bucovina settentrionale come a un nuovo spazio di creazione e vi confluirono in massa.

Gli ebrei rifugiati si mescolarono a oltre tre milioni di ebrei russi, andando a costituire un terzo della popolazio- ne ebraica del mondo. I due gruppi, tuttavia, presentavano notevoli differenze sociali, culturali e spirituali. Gli ebrei “annessi” (tra cui i polacchi) abitavano prevalentemente in

shtetl e piccole cittadine, erano dediti a occupazioni tradi-

zionali, utilizzavano la lingua yiddish per le attività di tutti i giorni, erano cresciuti floridamente attorno alla propria eredità ebraica (sia religiosa che secolare) e avevano creato numerose congregazioni, organizzazioni filantropiche, isti- tuzioni culturali e partiti politici, tra cui vigorosi movimenti giovanili come quello sionista. Gli ebrei russi, al contrario, potevano considerarsi in genere assimilati: appartenevano in gran parte all’intellighenzia cittadina, non possedevano organizzazioni pubbliche proprie, parlavano perlopiù russo e i giovani erano stati educati nello spirito del movimento comunista. Attraverso l’esodo da ovest, i secondi entrarono in contatto con un ebraismo sconosciuto e in questo incon- tro artisti come Perets Markiš ravvisarono la possibilità di un incremento dell’attività culturale in yiddish. La politica sovie- tica, invece, mirava a omologare al più presto i due gruppi,

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sopprimendo il pluralismo nella vita culturale e spirituale ebraica (così come faceva con tutti gli altri popoli) e sfrut- tando lo yiddishismo a fini promozionali, ma svuotandolo del tutto del suo contenuto nazionale.155

Nell’adempiere all’ufficio di direttrice del Teatro Statale Yiddish dell’Ucraina Occidentale, Ida fu costretta a destreg- giarsi tra le animosità interne alla compagnia, i cui membri originari, galiziani, mal tolleravano l’arrivo dei colleghi var- saviani e la successiva ondata di artisti provenienti dal teatro di Dnipropetrovs’k. Anche la circolazione e la fusione delle compagnie teatrali erano parte di una precisa strategia di sovietizzazione: a metà del 1940, ad esempio, il teatro yiddish di Dnipropetrovs’k era stato chiuso e un gruppo di attori, il cui «stile recitativo era in forte contrasto»156 con quello

promosso da Kaminska, era stato mandato a integrarsi con la compagnia del teatro di Leopoli. Nella primavera dello stesso anno era stato anche imposto un cambiamento nella dirigenza, passata dapprima nelle mani di un russo, poi di un ebreo, poi di un ucraino e infine ancora di un ebreo. Ida continuava comunque a dirigere la scena sotto il profilo artistico e il suo status nell’ambiente teatrale rimaneva indi- scusso, al punto che nel dicembre 1940 le autorità la elessero presidente del comitato degli attori (una sorta di “direttore politico”) e consigliere comunale, per approfittare del suo nome a fini di propaganda.157 Ida ricoprì questi incarichi po-

155. Alcune operazioni di facciata avevano fatto sperare che la cultura yiddish trovasse posto nel nuovo assetto. Nel gennaio del 1941 era stato fondato a Mosca un comitato presieduto dal segretario dell’Associazione degli Scrittori Sovietici, allo scopo di organizzare le celebrazioni dedicate al 90° anniversario della nascita di Peretz, cui presero parte, tra gli altri, Alter Kacyzne, Ida Kaminska, Moyshe Bro- derzon e Avrom Morevski (allora direttore del teatro yiddish di Białystok). 156. I. Kaminska, My life cit., p. 120.

157. Le credenziali per essere eletti nel consiglio comunale erano: origini pro- letarie, attività rivoluzionaria, interesse per il proletariato. «A standout among the candidates for the Lvov council was Ida Kaminska, a well-known stage actress and the artistic director of the governmental Jewish Theater in the town. She was summoned to the Party’s municipal committee, where she was informed that the Party and the people appreciated her artistic endeavors and therefore decided to present her candidacy for the municipal council as a member of the Communist and unaffiliated list». Tra gli altri candidati ebrei figuravano Pearl Urich, attrice di successo in fuga dalla Polonia, Sophia Okrant, «donna “dal ricco passato proleta- rio”»; il professore di biochimica Jacob Parnass, il professor Kutscher dell’Istituto Sovietico di Commercio e la poetessa yiddish Rokhl Korn». Dov Levin, The Lesser of

Two Evils: Eastern European Jewry under Soviet Rule, 1939-1941, Philadelphia, Jerusa-

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litici con grande disagio, dovendo rispondere della mancata iscrizione al partito e ricevendo inviti pressanti a manifesta- re più apertamente la propria devozione a Stalin durante i comizi a cui era obbligata a partecipare, ma al contempo apprese l’arte della convivenza con il regime, apprendistato che le sarebbe presto tornato utile.

Nell’estate del 1940 Ida si recò a Leningrado per incon- trare la figlia Ruth e la sua fiducia nei confronti dell’Unione Sovietica si incrinò definitivamente: sulla strada l’attrice e il marito sostarono a Kiev per fare visita ad alcuni vecchi attori della compagnia della madre, i quali però le raccontarono di un crescente sentimento di intolleranza nei confronti degli ebrei, di persone torturate perché sospettate di spionaggio e fu essa stessa testimone delle miserabili condizioni in cui versavano gli artisti sovietici, i quali faticavano a procurarsi perfino i generi alimentari di prima necessità. A Leningra- do, Ida e Meir assistettero al concerto dell’orchestra di Ady Rosner e all’esibizione canora di Ruth ed ebbero modo di saggiare il divario tra lo stile di vita lussuoso del genero, uno degli artisti prediletti dal “padre del popolo”, e la miseria a cui era condannata la maggioranza della popolazione. Sulla via del ritorno, la coppia si fermò nuovamente a Kiev, dove ebbe occasione di vedere il Re Lear del Teatro Statale Yiddish di Mosca, considerato uno dei più importanti spettacoli del

teatro yiddish ed europeo del xx secolo.158 L’incontro con

Solomon Michoels, protagonista di primo piano dell’avven- tura teatrale yiddish, deluse però le aspettative di Ida. Le poche righe che l’attrice dedica alla serata lasciano intuire che nutrisse alcune riserve, purtroppo mai esplicitate, nei confronti dello spettacolo e del suo protagonista.159 Con la

scusa di non avere avuto altre occasioni di vederlo in scena, nelle sue memorie si dichiara incapace di esprimere un giu-

158. A un’approfondita analisi del Re Lear è dedicato il sesto volume di questa serie: Claudia D’Angelo, Re Lear. Storia di uno spettacolo yiddish sovietico, Accade- mia University Press, Torino 2017. Nello spettacolo recitava anche una vecchia conoscenza di Ida, Sara Rotbaum, che interpretava Goneril, una delle figlie del sovrano, e che dopo la guerra avrebbe collaborato con il Teatro Statale Yiddish di Varsavia.

159. A Solomon Michoels e al suo compagno di scena Veniamin Zuskin è dedi- cato il quinto volume di questa serie: Antonio Attisani, Solomon Michoels e Veniamin

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dizio articolato sul lavoro d’attore di Michoels, ma lo descrive comunque come

un uomo affascinante, e questa qualità affiorava sul palco- scenico nella sua interpretazione di Re Lear. Non posso giu- dicarlo con precisione come attore, ma attirava l’attenzione. A tutti piaceva Zuskin nel ruolo del buffone. Molti sostene- vano fosse migliore di Michoels ma io non potrei affermare una cosa del genere. Zuskin [nel ruolo del Fool] era molto bravo – era impressionante – ma in Michoels si percepiva con forza l’intellettuale. Forse Zuskin era più maestoso, più drammatico e aveva più tecnica teatrale.160

Se non è del tutto chiaro quale dei due interpreti Ida prefe- risse e per quale ragione, è però certo che rimase dispiaciuta dalla scena che trovò nel camerino del primo attore quando lo raggiunse al termine dello spettacolo: Michoels sedeva in- fatti «come un imperatore»,161 attorniato da giovani attrici

che lo adulavano, lo sventagliavano e gli servivano il caffé. Al di là dell’aneddotica, non possiamo non rammaricarci che lo sguardo di Kaminska si sia appuntato su un episodio anti- patico e non sullo spettacolo in cui Gordon Craig aveva rico- nosciuto il teatro del futuro, un gioiello di bellezza e poesia.