I. Lo spazio del teatro
17. Dovid Pinski (1872-1959): scrittore e drammaturgo yiddish nato a Mogilev, in Bielorussia Nel 1892 a Varsavia incontrò Yitskhok Leybush Peretz e in stretta
12 Indomita yidishe mame. Ida Kaminska e la sua famiglia teatrale
ke, ruolo che fino a poco prima era stato della sorella. Da quel momento Ida interpretò tutti i personaggi infantili del repertorio dei genitori, lavorando anche come suggeritrice, siparista e addetta alle luci e appassionandosi progressiva- mente alla cura di ogni aspetto legato alla messa in scena. Qualche tempo dopo, sempre all’età di cinque anni, anche il più piccolo dei fratelli Kaminski compì il suo debutto arti- stico come violinista.
1.2. La scelta dello yiddish
Nel periodo in cui Ida si affacciava sulle scene, il dramma- turgo e attivista culturale Yitskhok Leybush Peretz18 si faceva
capofila di una polemica centrale per lo sviluppo della cul- tura teatrale yiddish della prima metà del Novecento. Peretz si scagliò contro gli artisti del teatro yiddish professionale, accusandoli di produrre spettacoli triviali e di cattivo gusto, incatenati alla tradizione del purimshpil, incapaci di riflettere le aspirazioni estetiche e morali della collettività ebraica e di tenere il passo con le coeve esperienze del teatro europeo, ad esempio quella di Stanislavskij in Russia o di Witkiewicz in Polonia. La sua lotta a favore di un teatro più nobile e letterario, in grado di incarnare anche le aspirazioni nazio- nalistiche del popolo ebraico, mobilitò un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Alexander Mukdoyni e Noah Pryłucki, a formarsi come critici teatrali e ne spinse altri a creare com- pagnie teatrali amatoriali.
Anche la compagnia dei Kaminski rispose all’invito di Pe- retz a rinnovare le proprie ambizioni per un teatro yiddish
dish, caratterizzati da un approccio innovativo alla cultura ebraica e improntati alla promozione di idee socialiste. Autore di romanzi, racconti e copioni teatrali che furono adottati anche dal cinema yiddish. Avraham Novershtern, Dovid Pinski, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 8 ottobre 2016: <http://www.yivo- encyclopedia.org/article.aspx/Pinski_Dovid>.
18. Yitskhok Leybush Peretz (1852-1915): poeta, scrittore e drammaturgo, prota- gonista di spicco della cultura yiddish ed ebraica. Nato a Zamos´c´, città multietnica della Polonia dominata dalla Russia e roccaforte dell’Illuminismo ebraico, Peretz modellò la propria idea di rinascimento della cultura ebraica sull’esempio della lotta polacca per l’indipendenza che, dovendo compensare la mancata libertà sul piano politico, si concentrò sulla promozione della lingua e della cultura. Alfiere della necessità per gli intellettuali ebrei di rivolgersi al popolo, offrendo una crea- zione artistica che ne elevasse le apirazioni culturali e lo spirito nazionalista, fu un severo fustigatore del teatro yiddish di basso livello. Ruth R. Wisse, Yitskhok Leybush
Peretz, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 8 ottobre 2016: <http://www.
Lo spazio del teatro
13
moderno, raffinato e cosmopolita, con un’attenzione fino a quel momento inedita per la drammaturgia. In società con Mark Arnshteyn, artista di cui si tratterà diffusamente nel prossimo capitolo, i coniugi Kaminski cominciarono a portare sulle scene le opere dei padri della letteratura yid- dish, Sholem Aleichem e Peretz, ma anche di autori stranieri come Gorkij, Ibsen e il drammaturgo simbolista Stanisław Przybyszewski. Arnshteyn, insieme ad Avrom Kaminski o se- condo altre fonti in maniera indipendente, aveva fondato anche una Literarishe Trupe – esperimento analogo a quello condotto a Odessa, negli stessi anni, dal drammaturgo Pe- retz Hirshbein e dall’attore Jacob Ben-Ami – ma l’ambizioso progetto si era inabissato per la concorrenza con operette di minore caratura artistica e maggiore attrattiva. La compagnia dei Kaminski, invece, riuscì a sopravvivere perché Avrom si rivelò un impresario e organizzatore astuto e non ripudiò mai del tutto le commedie leggere e le operette che gli garantiva- no l’affetto del pubblico e un sicuro introito.
Queste scelte gli costarono la disapprovazione di coloro che aspiravano a nobilitare la produzione artistica yiddish e che si trovarono, paradossalmente, a unire la propria voce a quella di coloro che osteggiavano tout court la lingua yiddish. Un redattore del settimanale «Izraelita», organo d’informa- zione degli ebrei assimilati, giudicò ad esempio affascinanti le musiche di Shulamis, figlia di Gerusalemme, della compagnia Kaminski, ma tacciò il libretto di ingenuità nei contenuti e povertà linguistica, aggiungendo di disapprovare la scelta di «nobilitare la lingua yiddish condendola con il sugo annac- quato del tedesco».19 Da questa recensione si evince che il
fenomeno di pasticciare la lingua yiddish (dotata di un les- sico limitato) non si limitò al periodo in cui era necessario camuffare la recitazione per evitare la censura, ma rimase per qualche tempo un’abitudine degli attori, che attingevano al tedesco quando volevano declamare una battuta partico- larmente aulica o sentimentale. Se dal punto di vista della drammaturgia e del repertorio c’era ancora chi, a ragione, catalogava le proposte di Avrom Kaminski come espressione
19. Henryk L. (H. Lichtenbaum?), Teatr z·ydowski, «Izraelita», 25, 1905, p. 289, cit. in Mirosława Bułat, Teatr z·ydowski w s´wietle «Izraelity» w latach 1883-1905, in Aa. Vv.,
Teatr z·ydowski w Polsce, a cura di Anna Kuligowska-Korzeniewska e Małgorzata
14 Indomita yidishe mame. Ida Kaminska e la sua famiglia teatrale
dello shund, accadeva però di frequente che gli stessi detrat- tori restassero soggiogati dalla qualità attoriale di membri della compagnia come Libert, Wajsman e, naturalmente, Ester Rokhl.
Mark Arnshteyn, alfiere del dialogo
Noto con lo pseudonimo Andrzej Marek, Mark Arnshteyn20 era un
drammaturgo e regista attivo sia nell’ambiente culturale polacco sia in quello yiddish. Dopo essersi formato presso le scuole ebraiche e polacche, prendendo a modello lo stile del poeta modernista Stanisław Przybyszewski si impegnò nella scrittura di due dram- mi in polacco a tema ebraico: La favola eterna (1901), incentrato sulla vita della classe lavoratrice, e il più celebre I cantanti (1903), dedicato a un celebre cantore della Vilnius del xix secolo, che avrebbe conosciuto il successo sulle scene dell’opera di Varsavia per poi andare incontro a un triste destino. L’autore tradusse poi entrambe le opere in yiddish ed esse entrarono a fare parte del repertorio di molte compagnie. Ispirato dalla riforma proposta da Y. L. Peretz, collaborò con diversi ensemble – tra cui, come si è visto, quello di Ester Rokhl e Avrom Kaminski – alla ricerca di nuove strade per il teatro yiddish, estendendo la propria ricerca registica anche al campo cinematografico. Tra il 1912 e il 1924 fu attivo in Russia, Inghilterra e in America. Al ritorno in Polonia, si concentrò sulla traduzione e sull’allestimento di drammi yiddish per la scena polacca. Prigioniero del ghetto di Varsavia durante la Seconda guerra mondiale, proseguì la propria opera culturale anche tentando (invano) di fondare un teatro per bambini. So- pravvissuto all’Insurrezione del ghetto, fu ucciso poco dopo. Amico dei Kaminski, Mark Arnshteyn fu l’artista teatrale che più si spese per animare il dialogo tra la cultura polacca e quella ebraica, ad esempio attraverso la traduzione di alcuni drammi yiddish in po- lacco. In generale, durante l’epoca di interdizione zarista, si era diffuso l’uso di tradurre le opere yiddish e inserirle nel repertorio dei teatri polacchi, a Varsavia come nelle cittadine della provincia. 20. Il primo studioso a riservare un’attenzione approfondita alla figura di Mark Arnshteyn è stato Michael Steinlauf, autore nel 1988 di una tesi di dottorato ri- masta inedita: Polish-Jewish theater: The case of Mark Arnshteyn; A study of the interplay
among Yiddish, Polish and Polish-language Jewish culture in the modern period, Bran-
deis University, De partment of Near Eastern and Judaic Studies. Dello stesso au- tore, segnaliamo i più accessibili: Mark Arnshteyn and Polish-Jewish theater, in Yisrael Gutman, Ezra Mendelsohn, Jehuda Reinharz, Chone Shmeruk, The Jews of Poland
Between Two World Wars, University Press of New England, Hanover 1989, pp. 399-
411 e Mark Arnshteyn, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 17 ottobre 2016: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Arnshteyn_Mark>.
Lo spazio del teatro
15 In un periodo in cui si andava rafforzando il processo di assimila- zione della minoranza ebraica (attestato dal fatto che sempre più bambini ebrei frequentavano le scuole polacche), questi spettacoli riscuotevano un notevole successo. Il fenomeno era a tal punto esteso da indurre lo studioso Michael Steinlauf a osservare che «se il teatro yiddish non fosse stato rilegalizzato nel 1905 di sicuro sarebbe nato un teatro yiddish in lingua polacca».21
Dal punto di vista della lingua, le strade percorse da Arnshteyn e dalla famiglia Kaminski divergevano profondamente. No- nostante la vita quotidiana si svolgesse in una condizione di plurilinguismo – in un’intervista Ida ricorda infatti di avere frequentato il ginnasio russo, di avere appreso il polacco sol- tanto dopo l’indipendenza e di avere sempre parlato yiddish in casa, su esortazione dei genitori22 – i Kaminski non pre-
sentarono mai spettacoli in una lingua diversa dallo yiddish, perché erano convinti che avrebbe significato tradire la natu- ra stessa del teatro, indissolubilmente legato a quella lingua e alla sua qualità ibrida e magmatica. Da una parte, infatti, lo yiddish era il collante principale di quei tre milioni di in- dividui che in Polonia avevano creato «un proprio mondo, unico sotto il profilo delle tradizioni, della spiritualità e della filosofia […] verso il quale erano diretti gli occhi degli ebrei
di tutto il mondo […] e anche dei non-ebrei»23 e sanciva
così l’appartenenza a un corpo comune; dall’altra rimaneva una lingua meticcia (contemporaneamente europea e semi- tica), impura, in aperta rivalità con l’altra lingua identitaria, l’ebraico, e oggetto di rifiuto da parte di chi la considerava simbolo della miseria del ghetto. Nel rapporto con l’esterno, ciò si traduceva in una condizione di marginalità e apertura che ebbe esiti linguistici e culturali di grande interesse: la lingua yiddish tracciava innegabilmente un confine, ma al contempo rappresentava «un punto di passaggio – non di