I. Lo spazio del teatro
6. Verso la creazione di un Teatro Statale Yiddish in Polonia
6.3. Un repertorio strategico
Prima di allora, però, Ida aveva già consolidato la strategia di sopravvivenza del teatro e – pur senza coltivare più alcuna illusione nei confronti del comunismo – lo aveva trasforma- to in una delle più attive vetrine di drammi sociorealisti o espressione della corretta ideologia. Con questo proposito curò ad esempio il debutto in Polonia di opere come Mio
figlio di Gergely (già allestita durante la guerra), La famiglia
191. Cfr. Cart. Trentacinquesimo anniversario della carriera artistica di Ida Kamin´ska, Cart. Trentacinquesimo anniversario della carriera artistica di Ida Kamin´ska (bis), Cart. Telegrammi per il trentacinquesimo anniversario della car- riera artistica di Ida Kamin´ska, Cart. 4.6. Programma del trentacinquesimo an- niversario, Cart. 102. Trentacinquesimo anniversario (1952), Archiwum Teatru Z·ydowskiego im. Estery Rachel i Idy Kamin´skich, Varsavia.
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di Popov, La tragedia ottimistica di Vsevolod Višnevskij, sulla Rivoluzione d’Ottobre, o Trenta pezzi d’argento di Howard Fast, feroce attacco al capitalismo diretto da Jakub Rotbaum.
Oggi gli storici del teatro concordano sul fatto che Ida Kaminska abbia consentito all’introduzione di opere “con- sigliate” dal regime, ma soltanto dopo averle accuratamen- te selezionate in base al loro valore drammaturgico (e alla possibilità di creare ruoli memorabili) e con l’intento di curarne sempre l’allestimento sul piano artistico, tenendosi alla larga dallo schematismo tanto in voga all’epoca. Oltre ai componimenti di chiaro profilo propagandistico, scelti per siglare l’alleanza di facciata con il nuovo sistema, la diret- trice si impegnò con particolare attenzione a sottolineare il legame con la cultura polacca, tanto nelle dichiarazioni pubbliche quanto nelle scelte artistiche, che attinsero alla drammaturgia polacca classica e contemporanea: entrarono così nel repertorio Il signor Jowialski di Aleksander Fredro (gennaio 1952, già rappresentato prima della guerra), Meir
Ezofowicz di Eliza Orzeszkowa (settembre 1953), La ragnatela
di Maria Czanerle (febbraio 1954) e Julius ed Ethel di Leon Kruczkowski (maggio 1954).
La scelta di Kaminska di approntare un repertorio inter- nazionale e di affrancare il teatro yiddish dal ghetto delle te- matiche ebraiche – già strenuamente difesa negli anni Venti e Trenta – incontrò come allora numerose resistenze, sia in ambito polacco sia ebraico. Nel caso di un capolavoro della commedia polacca ottocentesca come Il signor Jowialski, ben noto a tutti gli spettatori, i giudizi furono particolarmente polarizzati. Se un critico come Jan Alfred Szczepan´ski lodò il personaggio della Szambelanowa interpretato da Ida,192 lo
192. «Fredro ha fatto della Szambelanowa un personaggio farsesco e caricaturale, che blaterava sciocchezze in un francese da cuoche – Kamin´ska non ha ceduto alle pressioni e lo ha reso un personaggio da commedia, una dama del dwór [casa signorile in campagna, simbolo della nobiltà polacca] nonostante tutte le ridico- laggini – e ne è uscita vittoriosa perché è stata un’interpretazione innovativa e riu- scita: ricordo molte Szambelanowa, ma più di tutte stimo quella di Ida Kamin´ska», Jan Alfred Szczepan´ski, Symbol z·ywych wartos´ci, in Ida Kamin´ska. 50 lat pracy artystycz-
nej/50 ior kinstlerishe tetikajt, a cura di Andrzej Wróblewski, Idish Buch, Warszawa
1967, p. 56. Regia: Ida Kaminska. Traduzione: Ida Kaminska, Lejb Olicki. Sceno- grafia: Edward Grajewski. Interpreti: Marian Melman (il signor Jowialski), Ruth Kowalska/Miriam Lancmanowa (la signora Jowialski), Józef Widecki (Szambelan Jowialski), Ida Kamin´ska (Szambelanowa), Ketty Efron (Helena), Mieczysław Spektor (Janusz), Karol Latowicz (Ludmir), Michał Grynsztejn (Wiktor), Arnold Paluszak/Mojz·esz Lancman (lacché).
Lo spazio del teatro
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scrittore Adolf Rudnicki paragonò il suo «buffo esperimen- to» ai tentativi fatti dal padre Avrom con la drammaturgia polacca, che non restituivano autenticamente lo spirito po- lacco e si erano rivelati al più divertenti.193
A metà degli anni Cinquanta i critici Juliusz Kydryn´ski e Artur Sandauer misero in discussione il repertorio del teatro
yiddish, sostenendo che una scena con «compiti speciali»194
avrebbe dovuto concentrarsi di più sul proprio patrimonio drammaturgico nazionale. Sandauer, di origine ebraica, af- fermò che il teatro yiddish non avrebbe dovuto portare in scena opere estranee alla vita ebraica e con un certo corag- gio, considerato il categorico imperativo realistico applicato alla drammaturgia del tempo, suggerì invece di attingere ai drammi fantastici di cui la cultura yiddish era ricca, rassicu- rando tra le righe il regime che tali opere a carattere mistico e religioso non avrebbero intaccato l’educazione del cittadi- no socialista. Il critico aveva probabilmente in mente titoli come Il dibbuk di An-ski (che tornerà sulle scene solo dopo il “disgelo” del 1956), Il golem di Lejwik o Notte al Mercato Vecchio di Peretz, entrambi rappresentati al Teatro Statale Yiddish dopo l’emigrazione di Ida.
In risposta, Ida pubblicò sulla rivista « Teatr» un artico- lo polemico dal titolo Incomprensioni, in cui ribatteva che se era importante che ogni teatro avesse in repertorio un buon numero di opere del paese di provenienza, non aveva inve- ce alcun senso che si dedicasse unicamente a esse. L’artista invitava pertanto critici e spettatori
a liberarsi da questo offensivo […] pregiudizio […], secon- do il quale in lingua yiddish si possono recitare soltanto ebrei. Ebrei con tanto di barba…
Artur Sandauer, in un articolo su di noi peraltro molto lu- singhiero, scrive tra l’altro che: «…in bocca a un re o a un nobile la lingua yiddish suona strana, perchè personaggi del genere non sono mai esistiti tra il popolo ebraico». (Come? Non ci sono stati? […]) E se si parla di “lingua”, è pensabile che un torero parli svedese? Uno svedese ha mai lottato con un toro? Si tratta veramente di questo? Che fine hanno fatto tutti gli altri elementi che compongono un buon spettacolo […]?
193. Adolf Rudnicki, Teatr zawsze grany, Czytelnik, Warszawa 1987, p. 55. 194. Juliusz Kydryn´ski, Odwiedziny teatralne, «Przekrój», 526, 1955, p. 11.
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Il Teatro Yiddish di Mosca, guidato dall’illustre Michoels, ha messo in scena prima della guerra Re Lear di Shakespeare e Gordon Craig lo ha definito uno dei migliori allestimenti shake spea riani.195
Dopo avere citato a sostegno della propria tesi il capolavo- ro del Goset, Kaminska ricordava al lettore che anche Leon Schiller aveva allestito in lingua yiddish La tempesta di Shake- speare e che lei stessa prima della guerra, e ancor più da quando aveva assunto la direzione del Teatro Statale Yiddish, aveva contribuito a portare per la prima volta sulle scene polacche opere internazionali. Commentando poi la propria messa in scena della commedia di Fredro, aggiungeva:
Anche quando abbiamo recitato Il signor Jowialski (come si sono sdegnati, quelli a cui dà fastidio l’accostamento della lingua yiddish con Fredro) volevamo dimostrare che Fredro non si ferma al confine della lingua nativa ma, su coloro che non sono prevenuti, può esercitare un influsso anche in lingua yiddish. Grazie al nostro spettacolo Il signor Jowialski è stato pubblicato anche in yiddish e potrà raggiungere quanti non conoscono la lingua polacca.196
In risposta all’invito di Sandauer a introdurre opere «fanta- stiche» nel repertorio del Teatro Statale Yiddish, Ida motiva- va il suo rifiuto rifugiandosi nel linguaggio propagandistico dell’epoca e mettendo piuttosto in rilievo come la minoranza ebraica si fosse integrata con successo nella società polacca del dopoguerra e non ambisse a separarsene.
Ci rendiamo conto che i nostri spettacoli tipicamente ebraici, cioè retrospettivi, riscuotono molto successo, proba- bilmente in virtù del loro “esotismo”… Ma davvero dobbia- mo aspirare soltanto a opere fantastiche o che attingono alla “mitologia religiosa” (articolo di Sandauer), anche se esse non riflettono per nulla i grandi eventi della nostra epoca? Davvero questo unico teatro yiddish in Polonia deve avere un repertorio così limitato, in cui non riesce a esprimersi? L’affermazione di Lucjan [Juliusz, sic!] Kydryn´ski, che non dovremmo recitare opere del repertorio normale, ci ha av- vilito. […] Siamo forse un teatro “anormale”?… […] Per la popolazione ebraica gli avvenimenti degli ultimi an- ni […] sono stati realmente fantastici, perché impossibili 195. Ida Kamin´ska, Nieporozumienia, « Teatr», 12, x, 16-30 giugno 1955, p. 17.
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109 da concepire attraverso una normale immaginazione. Ma il
gruppetto di coloro che sono rimasti è stato in grado, insie- me a tutta la società, di impegnarsi in un lavoro normale e sano e in nessun settore vuole considerarsi differente. Vogliamo essere – conservando il nostro carattere specifico, la nostra lingua e il nostro temperamento – uno dei teatri di qualità in Polonia. Penso che non si debba recitare male e che non si debbano portare in scena opere prive di valore. Ma qualunque opera degna di fare parte del tesoro comune del teatro non può esserci estranea. […]
Non possiamo permettere che ci trattino come un ristorante nel quale si va solo per “il pesce alla maniera ebraica”… Il teatro non è una trattoria…
Ci dispiace quando si pregiudica in partenza l’indirizzo del nostro repertorio, circoscrivendolo alla “particolarità del ghetto”. Quanto a me, non vorrei essere la direttrice di un teatro con una così “limitata responsabilità”…197
Se Sandauer non rispose pubblicamente alla replica di Ka- minska, Kydryn´ski approfittò invece delle pagine dello stesso giornale per sottolineare che non avrebbe mutato opinione perché a suo avviso il teatro yiddish non era un teatro co- me tutti gli altri, ma aveva il compito di «salvare ciò che è rimasto della tradizione degli ebrei polacchi, richiamando dal passato quel mondo defunto di idee e sentimenti e mo- strandolo a quanti sono sopravvissuti […] E anche a coloro che non facevano parte di quell’universo ma per i quali esso
era parte del loro mondo».198 Kydryn´ski concluse che non
aveva alcun senso tradurre e recitare in yiddish drammi che lo spettatore ebreo avrebbe potuto vedere in altri teatri (an- che considerando che, a differenza del passato, tutti gli ebrei che abitavano la Polonia del dopoguerra comprendevano la lingua polacca), mentre si sarebbero dovute allestire quelle opere della tradizione ebraica alle quali sia ebrei sia polacchi si accostavano con interesse e piacere, «come a una fonte».199
Lo spazio che Ida Kaminska immaginava per il teatro yid- dish andava tuttavia ben oltre i confini del folklore e del ge- nere: più che la differenza insita nella cultura ebraica-yiddish l’artista desiderava porre in primo piano le qualità artistiche
197. Ivi, pp. 17-18.
198. Juliusz Kydryn´ski, Teatr narodowy czy getto kulturalne, « Teatr», 16, 1955, p. 20. 199. Ibid.
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del suo teatro, con l’obiettivo di proporre arte e non un in- trattenimento nostalgico o una ricostruzione etnografica. Co- me abbiamo visto, la convinzione che il teatro yiddish dovesse aspirare a un alto profilo artistico ed essere libero di attingere ai testi di qualsiasi cultura le era stata tramandata dai genitori e nel tempo aveva trovato diversi fiancheggiatori, anche tra artisti non ebrei come Leon Schiller.
Le scelte effettuate dalla direttrice del Teatro Yiddish mo- strano che, a differenza di quanto dichiarato nel proprio ar- ticolo, Ida non considerava la drammaturgia classica yiddish soltanto in un’ottica «retrospettiva». Basti riflettere sul suo costante ritorno a Mirele Efros e sulla presenza in cartellone di autori come Goldfaden, Aleichem, Gordin e, qualche anno più tardi, An-ski, Ettinger, Dymov: drammaturghi che riscuote- vano particolare successo tra il pubblico, le cui opere restavano a lungo in cartellone e sarebbero state proposte a più riprese anche negli anni varsaviani. Va precisato che, pur curandone la programmazione, con il tempo Kaminska aveva preso ad affidare la regia di tali opere tradizionali ai colleghi e si era orientata su scritture più contemporanee e internazionali, ma anch’esse, come vedremo nel prossimo paragrafo, esploravano questioni intrecciate all’identità ebraica. Se ancora nel 1947 Ida aveva diretto I due Kuni-Leml di Goldfaden e Mirele Efros di Gordin al Nidershlezyer Idisher Teater, e nel marzo del 1950 una serata dedicata a Sholem Aleichem dal titolo Gli uomini, tra il 1951 e il 1953 Jakub Rotbaum aveva invece firmato So-
gno su Goldfaden ispirato a testi di Goldfaden, Manger e dello
stesso regista, Sender Blank e 200 000 di Aleichem, e Hershele di
Ostropole di Zonszajn e Gerszenson; Natan Meisler e Yitskhok
Turkow-Grudberg C’era una volta (novembre 1951) da Peretz; Michał (Moishe) Szwejlich la «rappresentazione popolare» La
nonna racconta (luglio 1954) su un collage di testi di Peretz, Sfo-
rim, Manger e Gebirtig; mentre Chevel Buzgan l’Uriel Acosta di Karl Ferdinand Gutzkow (ottobre 1954).200
Come ha osservato Mirosława Bułat, una lettura attenta dell’articolo Incomprensioni trasmette l’impressione che Ida
200. Quella citata è una selezione dei titoli proposti dal Teatro Statale Yiddish, per il repertorio completo cfr. Teatr w latach 1944-1949 e Repertuar Pan´stwowego Te-
atru Z·ydowskiego (1950-1995), in Pan´stwowy Teatr Z·ydowski im. Ester Rachel Kamin´skiej. Przeszłos´c´ i teraz´niejszos´c´, a cura di Szczepan Ga˛ssowski, PWN, Warszawa 1995, pp. 99-
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non fosse veramente interessata ad attaccare i due critici, quanto a utilizzare strumentalmente la stampa – il mezzo più sfruttato dal regime per indottrinare la popolazione – per confermare la propria fedeltà al governo e affermare la re- sponsabilità della scena yiddish nella costruzione del nuovo stato socialista. A distanza di anni è impossibile stabilire con certezza perché l’artista ritenesse importante sottolineare proprio in quel momento la propria lealtà politica, ma non va dimenticato che sia lei che Jakub Rotbaum lottavano da tempo per riportare in Polonia i familiari rimasti in Unione Sovietica e che per la direttrice era prioritario garantire al te- atro yiddish un futuro, assicurandogli un ricovero sotto l’ala protettrice dello stato.