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La realtà moscovita e il ritorno in Polonia

I. Lo spazio del teatro

4. Gli anni Trenta

5.3. La realtà moscovita e il ritorno in Polonia

Nella capitale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste So- vietiche Meir trovò lavoro come annunciatore della sezione polacca di Radio Mosca e fu tra i fondatori della sezione ebraica dell’Unione dei Patrioti Polacchi. Per Ida, invece, l’ambiente moscovita si rivelò sfuggente: sulle prime fu ac- colta calorosamente, ma nel corso di due anni e mezzo di permanenza non riuscì mai a lavorare in teatro. In questo periodo il suo principale interlocutore fu Solomon Micho- els, che a più riprese la rassicurò sul suo futuro lavorativo e durante le celebrazioni per il ventesimo anniversario della morte di Ester Rokhl la segnalò come naturale erede del progetto materno. Tuttavia fino al 1946 Ida attese invano un’occasione per tornare sulle scene. Quando Michoels le comunicò che l’unica possibilità sarebbe stata organizzare una serata in lingua polacca, ossia sottostare a obblighi ana- loghi a quelli imposti alla madre trent’anni prima, non ebbe alcuna esitazione e rifiutò recisamente.

Kaminska maturò un giudizio severo nei confronti di Mi- choels, presumendo che non volesse creare un precedente con l’istituzione di un programma yiddish all’interno della Società Teatrale Ebraica, e altrettanto inclemente fu la sua opinione sul Goset:

Sinceramente, avevo dei dubbi sul suo teatro. Sapevo che non saremmo giunti a nessun accordo. Il dialetto yiddish degli attori mi sembrava troppo marcato (esageratamente lituano) e non ero abituata al loro stile recitativo. […] Li ho visti mettere in scena Sholem Aleichem […] e Goldfaden.

Lo spazio del teatro

89 Non posso dire di essere rimasta abbastanza soddisfatta da

considerarlo il migliore teatro di Mosca.166

Alla base della sensazione di estraneità riferita da Ida potreb- be esserci un pregiudizio nei confronti dei litvakes, gli ebrei che parlavano il dialetto litvisher yidish (yiddish lituano) e che gli ebrei polacchi (parlanti poylisher yidish) sospettavano di intellettualismo, simpatie goy e, in una parola, carenza di yi-

dishe neshome (anima yiddish). L’opposizione tra i due gruppi

rifletteva non solo varianti fonologiche, lessicali o sintattiche, ma anche differenze nei riti sinagogali e negli usi alimentari. Questo potrebbe indicare un’istintiva e irrazionale diffidenza dell’artista, ma in verità dobbiamo arrenderci al fatto che, anche in questo caso, le ragioni più profonde delle riser- ve nei confronti dello stile attoriale del Goset rimarranno nell’ombra.

Di certo Ida era disorientata da un contesto che non ri- usciva a comprendere, nel quale la paura impediva a molti di esprimere la propria opinione e in cui nessuno parlava apertamente yiddish. È opportuno ricordare, infatti, che la storia del teatro yiddish in Polonia differisce profondamente da quella dell’Unione Sovietica, come dimostra la lotta soste- nuta da Kaminska per rappresentare un repertorio che fosse anche europeo e quella di Michoels, che invece propugnava un teatro dai temi ebraici. Se il repertorio internazionale esprime una conquista per Kaminska, diviene invece la spia del ribaltamento dell’atteggiamento del regime comunista nei confronti della cultura ebraica nel caso del Goset. La carica di presidente del Comitato Antifascista Ebraico, che Michoels aveva assunto nella speranza di proteggere il pro- prio teatro, per qualche anno si rivelerà, in effetti, uno stru- mento utile nelle mani della politica sovietica, in cerca della solidarietà delle comunità ebraiche internazionali. Nel gen- naio del 1948, però, Solomon Michoels verrà assassinato e l’anno successivo il Teatro Statale Yiddish di Mosca chiuderà i battenti. La morte dell’artista inaugurerà la lunga serie di “purghe staliniane” che, tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, decimeranno l’élite culturale ebraica, annoverando tra le vittime molti degli artisti e amici con cui Ida aveva trascorso gli anni moscoviti: tra gli altri, i dram-

90 Indomita yidishe mame. Ida Kaminska e la sua famiglia teatrale

maturghi Perets Markiš e Dovid Bergelson, i poeti Shmuel Halkin e Itsik Fefer e lo scrittore Der Nister.

Durante la permanenza a Mosca Ida si recò spesso a te- atro, lamentando tuttavia la carenza di innovazione nel re- pertorio, che restava ancorato ai grandi classici ostacolando lo sviluppo di nuovi stili: a suo avviso anche il Teatro d’Arte, nonostante gli ottimi attori della nuova generazione, «in ge- nerale dava l’impressione di essere un museo: non metteva

in scena nessuna nuova opera di buona qualità».167

Dopo avere rimandato la decisione per quasi un anno per timore di separarsi da Ruth, che insieme al marito stava incontrando maggiori difficoltà a registrarsi per il rimpa- trio, alla fine del 1946 Ida si mise in viaggio con il marito e il figlio più piccolo per tornare in Polonia. Al tempo era impossibile lasciare l’Unione Sovietica per la Polonia senza l’appoggio di persone influenti e l’impegno a offrirsi come “collaboratori” una volta rientrati: non sappiamo con quali mezzi e promesse Ida abbia ottenuto il permesso del regime, ma riuscì nell’intento di tornare a casa. Nonostante le fosse giunta notizia del pogrom di Kielce,168 che aveva indotto oltre

novantamila ebrei a lasciare la Polonia, come molti ebrei po- lacchi sopravvissuti avvertiva l’urgenza di ricostruire ciò che la ferocia nazista aveva distrutto. A novembre giunse nella città fantasma di Varsavia e l’impatto con le rovine fu penoso: paradossalmente, soltanto il cimitero in cui riposava la madre le sembrò parte di una città vivente.

Ero oppressa dalla sensazione che soltanto questo fosse rimasto della grande città ebraica di Varsavia. […] Gli ebrei avevano l’usanza di fare visita alle antiche tombe di famiglia.

167. Ivi, p. 190.

168. Kielce è una città della Polonia sud-orientale: alla vigilia della Seconda guer- ra mondiale era abitata da circa 24.000 ebrei, nel gennaio del 1945 ne rimanevano 2. Un anno dopo, circa duecento sopravvissuti avevano fatto ritorno in città, ma nel mese di luglio, a seguito della diceria secondo la quale alcuni ebrei avevano ra- pito un bambino polacco, si scatenò un pogrom di straordinaria ferocia in cui per- sero la vita quarantadue ebrei e altri quaranta furono feriti. Per una ricostruzione dettagliata dell’evento, dei suoi moventi e della sua successiva strumentalizzazione da parte della propaganda del regime, che attribuì la colpa all’opposizione anti- comunista, si consiglia la lettura di Francesco M. Cataluccio, Vado a vedere se di là è

meglio, Sellerio, Palermo 2010, pp. 253-280. Per un’analisi delle posizioni assunte

dalla Chiesa polacca cfr. Adam Michnik, Il pogrom, postfazione a cura di Francesco M. Cataluccio, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

Lo spazio del teatro

91 Noi eravamo giunti sulla tomba di un intero popolo, ma le

tombe erano ricoperte di cenere vulcanica, sabbia e pietre.169

Il 3 dicembre Ida prese la parola dai microfoni della Radio Polacca,170 rivolgendosi in yiddish a tutti gli ebrei polacchi

sparsi per il mondo, rievocando le prime impressioni del ri- torno e condividendo i propri sogni per il futuro del teatro:

Ho rivolto i miei primi passi verso il cimitero ebraico di Varsavia, verso la tomba di mia madre, la madre del teatro yiddish. Ho sostato sulla tomba di Peretz, su tombe antiche e recenti. Poi ho camminato per un paio d’ore tra le rovi- ne del ghetto di Varsavia. Alla vista del cimitero, vivo, e del ghetto, morto, sono stata invasa da una strana sensazione… Chiunque può immaginarsi tragiche rovine, ma soltanto chi si trovi in mezzo a spaventosi mucchi di macerie, mattoni e ferraglie, imbevuti del sangue dei nostri cari, può sperimen- tare un’autentica commozione, un profondo rispetto e un enorme dolore nei confronti di tanta sofferenza, così come una sincera ammirazione per l’eroismo di decine di migliaia di ebrei, che qui hanno vissuto, combattuto e che qui sono morti. […] Mi rendo conto che in questo momento il nostro lavoro culturale deve essere imponentee realizzato con gran- de slancio, affinché sia un degno monumento alle vittime e agli eroi. Stessa cosa vale anche per il teatro yiddish. So che la questione del teatro è connessa a molte difficoltà. Creare 169. I. Kaminska, My life cit., p. 206.

170. I programmi in lingua yiddish della Radio Polacca andarono in onda dal 1945 al 1958 e furono promossi da Jonas Turkow, ex cognato di Ida Kaminska. I primi “a idishe radio-sho” avevano come speaker Diana Blumenfeld e venivano tra- smessi da Lublino con l’obiettivo di aiutare il ricongiungimento dei sopravvissuti. In breve tempo divennero molto popolari sia in Polonia sia all’estero. Quando Turkow e la moglie lasciarono la Polonia, le audizioni radiofoniche passarono nel- le mani del Dipartimento per la Cultura e la Propaganda del Comitato Centrale degli Ebrei Polacchi. A partire dal giugno del 1945 furono trasmesse da Varsavia quattro volte alla settimana e progressivamente il palinsesto si estese per includere informazioni sulla vita ebraica in paese e all’estero, aggiornamenti sulla situazione politica, economica e sociale in Polonia, programmi artistici, musicali e letterari. L’ensemble del Teatro Statale Yiddish registrò numerosi radiodrammi e interpretò molte canzoni, in yiddish e in polacco, moderne e tradizionali. Negli anni Cin- quanta le audizioni in yiddish smisero di essere ascoltate in Polonia, ma ogni gior- no andavano in onda due programmi indirizzati alle comunità ebraiche all’estero: uno per gli ascoltatori in Europa e in Israe le, l’altro per quelli americani. Nel 1958 la Segreteria del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco decretò la chiusura della redazione. Soltanto nel 2008 la Radio Polacca tornò a trasmettere un programma in lingua yiddish, Naie Chwalies (Nuove Onde): creato dalla sezio- ne ebraica della Radio Polacca per l’Estero, è andato in onda ogni domenica per mezz’ora proponendo interviste e reportage, fino alla liquidazione nel 2011.

92 Indomita yidishe mame. Ida Kaminska e la sua famiglia teatrale

un teatro degno di diventare un monumento richiede molto lavoro, tempo e mezzi, ma deve essere fatto. È un lavoro che deve essere intrapreso dagli attori che si trovano in Polonia e in tutto il mondo. È inoltre un dovere per Zygmunt Turkow, Dina Halpern, Rokhl Holzer, Maks Boz·yk e per tutti gli altri, mettersi a servizio del teatro proprio qui, sulla terra su cui sono sparse le ossa dei nostri cari. […] Questo soltanto è il fondamento di un teatro che voglia essere vivo monumento per le nostre vittime.171

6. Verso la creazione di un Teatro Statale Yiddish