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Riconoscimenti, compromessi e frizioni con il potere

I. Lo spazio del teatro

7. Varshe, ritorno e ripartenza

7.3. Riconoscimenti, compromessi e frizioni con il potere

In questo teatro trasformato in «sala conferenze»243 si gioca-

va, anno dopo anno, il delicato braccio di ferro tra il regime e Ida Kaminska, abile «Talleyrand in gonnella che sapeva sempre cosa fare perché il lupo statale fosse sazio e la pe- corella ebraica salva».244 Come abbiamo visto, da tempo Ida

non nutriva più illusioni circa la visione del mondo proposta dall’ideologia comunista, ma confidava di sapersi destreg- giare nel sistema ostentando un’aderenza tutta esteriore e ricavandosi uno spazio di libertà artistica e dialogo sincero con lo spettatore. Per questo motivo, pur restando apartitica, conduceva un complesso scambio di favori e astuzie con le autorità di ogni livello: allestendo di tanto in tanto spettacoli in linea con i dettami del realismo socialista, vincendo a carte gli appartamenti per i colleghi più bisognosi e le loro fami- glie con il reponsabile dell’ufficio per gli alloggi e trattando con i dovuti riguardi gli informatori nascosti tra il personale artistico e tecnico del teatro.

Nome in codice: Helena

Tra le spie figurava anche Ruth Taru Kowalska, attrice di spicco della compagnia e compagna di scena di lunga data di Ida, con la quale aveva condiviso anche l’esperienza del vykt.245 Figlia di bun-

242. H. Grynberg, Z·ycie osobiste cit., pp. 39-40. 243. A. Rudnicki, Niebieskie kartki cit., p. 25. 244. H. Grynberg, Z·ycie osobiste cit., p. 39.

245. Ruth Taru Kowalska (pseudonimo di Rajzł Tukmaker, 1909-1979) nasce in una famiglia ebraica di tendenze progressiste, legata al Bund. Si forma come attri- ce presso lo studio drammatico di Dovid Herman, che successivamente la ingaggia nel suo cabaret Azazel, dove Ruth rivela le proprie doti negli sketch comici, nel canto e nella danza. Si unisce poi al vykt diretto da Zygmunt e Ida, in cui prende parte, tra gli altri, ai Lupi di Rolland e alla Strega di Goldfaden. Tra il 1931 e il 1933 recita sporadicamente con la Vilner Trupe, recandosi anche in tournée a Vienna

Lo spazio del teatro

131 disti e attivista comunista della prima ora, tra il 1938 e il 1939 Ruth aveva scontato alcuni mesi di carcere per le proprie convinzioni politiche e al termine della guerra aveva fatto immediatamente ritorno nella “nuova” Polonia per offrire il proprio contributo alla ricostruzione. Tra i materiali conservati presso l’Istituto per la me- moria nazionale di Varsavia figurano due dossier che raccolgono i molti documenti prodotti dalla polizia segreta dopo gli incontri con l’attrice, che dal marzo del 1961 lavorò come informatrice con il nome in codice di “Helena”.246 Per quel che si evince dalle

relazioni della persona responsabile dei colloqui, Taru Kowalska considerava i propri resoconti sull’atteggiamento tenuto dalla dire- zione del Teatro Statale Yiddish come un dovere nei confronti della Repubblica Popolare Polacca e della causa socialista, al punto da rifiutare ogni ricompensa economica per due anni (salvo poi cam- biare idea) e da proporre essa stessa nuove indagini. Il principale compito della spia era riferire qualsiasi opinione politica eccentrica manifestata all’interno delle associazioni ebraiche e in particolare della dirigenza del Teatro Statale Yiddish. Le accuse si appuntavano soprattutto sulla conduzione familiare, dispotica e privatistica del teatro da parte di Ida Kaminska, «madre straordinaria» al servizio della figlia e del genero, ma «lontana dall’appartenenza al partito e dal senso di dovere che ciascun cittadino dovrebbe provare nei confronti dello stato socialista».247 Di ritorno da una tournée in

Israe le, “Helena” informò i servizi segreti del comportamento te- nuto da Meir Melman, concludendo che il collega era in realtà un simpatizzante del sionismo e che la sua adesione al partito comu- nista era fittizia. Le delazioni di Taru Kowalska, che nel frattempo continuava a prendere parte ai principali spettacoli del Teatro Sta- tale Yiddish, continuarono fino al 1967, quando la politica estera della Polonia popolare cambiò orientamento.

e in Germania. Dal 1932 è membro del Partito comunista polacco, di cui il marito è funzionario. Al ritorno in Polonia viene ingaggiata da Klara Segalowicz per fare parte del Folks un Yugnt-Teater: qui recita nella Strega di Itzik Manger diretta da Jakub Rotbaum e nella Tempesta allestita da Leon Schiller. Durante la guerra trova rifugio in Kazakistan, dove conduce alcuni circoli drammatici. Fa ritorno in Polo- nia a metà del 1945 e da subito si impegna nella ricostruzione del teatro yiddish: a Dzierz·oniów organizza un concerto in occasione della fondazione del Comitato Ebraico del Voivodato della Bassa Slesia. Attrice di primo piano del Teatro Yiddish della Bassa Slesia, del Teatro Yiddish di Łódz´ e del Teatro Statale Yiddish di Var- savia (al quale rimarrà legata fino alla morte), è ricordata per la passionalità che seppe infondere nelle proprie creazioni.

246. ipn bu 001043/1599 Ruth Taru Kowalska (pseudonimo Helena), ipn bu 01434/180 Ruth Taru Kowalska (microfilm), Instytut Pamie˛ci Narodowej, Varsavia. 247. Denuncia, fonte: “Helena”, trascrizione della conversazione segreta registra- ta il 6 giugno 1961 e accolta da J. Da˛browski, ipn bu 001043/1599, Instytut Pamie˛ci Narodowej, Varsavia.

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Se da una parte il regime teneva sotto stretta osservazione tutti i membri della famiglia Kaminski (forse anche attraver- so microspie collocate nei loro appartamenti),248 dall’altra

premiava Ida con importanti onorificenze – tra cui l’Ordi- ne per la Rinascita della Polonia (1951), il Premio Statale di ii Livello per i Conseguimenti Artistici (1955) e l’Ordine della Bandiera del Lavoro di i Classe (1959), assegnato per meriti nella costruzione del socialismo nella Polonia Popo- lare – e si godeva i benefici della propria “vetrina” liberale. Trasformato in una tappa doverosa per i turisti in visita alla capitale (compresi ospiti illustri come Friedrich Dürrenmatt e Arthur Miller), con la sua esistenza il Teatro Statale Yiddish rappresentava infatti un efficace attestato dell’apertura del nuovo sistema socialista e dell’infondatezza delle accuse di antisemitismo che gli venivano rivolte.

Fu questo il motivo per cui, dalla fine degli anni Cinquan- ta, il governo consentì alla compagnia di Ida di estendere le proprie tournée anche all’estero. Nell’arco di un decennio il Teatro Statale Yiddish polacco avrebbe visitato il Belgio, l’O- landa, la Gran Bretagna, la Repubblica Democratica Tedesca e l’Austria, ma anche Israe le, il Sud America, gli Stati Uniti e perfino l’Australia, suscitando in tutto il mondo un’ampia eco per il valore simbolico della sua esistenza prima ancora che per il merito delle sue proposte artistiche.249 Il reperto-

rio scelto per questi viaggi – che per Ida avevano l’obiettivo preciso di incontrare gli ebrei di tutto il mondo per dire loro: «Siamo qui e stiamo facendo qualsiasi cosa in nostro pote- re per continuare a esistere»250 – era composto dai classici

della drammaturgia yiddish, con l’eccezione del dramma di Casona e di Tutti i miei figli di Arthur Miller, diretto da Che- vel Buzgan. Nell’estate del 1957 il governo della Repubblica Popolare Polacca e l’ambasciata israeliana finanziarono il primo viaggio dell’attrice in Israe le; viaggio che per Ida fu motivo di profonda emozione perché, dopo lungo tempo, le consentì di riabbracciare il fratello e la sua famiglia, l’ex ma- rito Zygmunt Turkow e gli attori dell’Habima, e di conoscere

248. ipn bu 01178/209 Gwiazda 1963 (microfilm).

249. Una delle rare eccezioni è Tymon Terlecki, che recensisce negativamente

Meir Ezofowicz, al quale aveva assistito a Londra nel 1957, cit. in Pan´stwowy Teatr Z·ydowski im. Ester Rachel Kamin´skiej cit., pp. 235-241.

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personalmente Golda Meir, all’epoca Ministro degli Affari Esteri e dichiaratasi una delle sue maggiori fan.

Le concessioni del «lupo statale» erano però sempre accu- ratamente calcolate e concertate con Mosca, come dimostra il fatto che, nonostante le numerose richieste avanzate da Ida, la compagnia non ottenne mai il permesso di andare

in tournée in Unione Sovietica.251 Accordare a un simbolo

vivente come Ida Kaminska, erede della madre del teatro yiddish e direttrice di un teatro statale in un paese sovietico, il permesso di esibirsi nella terra che aveva recentemente fatto assassinare i suoi artisti e smantellato tutti i teatri ebraici, restò sempre fuori questione.

In generale, per molti anni l’atteggiamento prevalente dei maggiorenti del partito comunista polacco nei confronti dell’artista e del suo teatro fu improntato a una diffusa cau- tela (condivisa anche dall’opinione pubblica), nel timore di essere accusati di discriminazione o, all’opposto, di eccessi- va complicità con la minoranza ebraica. Un risvolto positivo di questo atteggiamento prudenziale fu il minore controllo amministrativo esercitato sul teatro yiddish rispetto ad altre strutture; la conseguenza negativa fu l’indifferenza mostrata nei confronti delle concrete proposte artistiche della com- pagnia: il ministro della cultura Włodzimierz Sokorski, ad esempio, per anni si sarebbe “dimenticato” di citare il teatro yiddish in occasione di manifestazioni pubbliche, dimostran- do con i fatti di considerarlo un semplice paravento. Contro tale disinteresse Ida si batteva con ogni mezzo, consapevole che la visibilità era la carta più importante da giocare per garantire al Teatro Statale Yiddish la sopravvivenza. Nel 1962, per la prima volta, il governo di Varsavia prese ufficialmente in considerazione l’ipotesi di liquidare il teatro, adducendo la motivazione che l’edificio aveva sede in una struttura peri- colante e che, a fronte delle spese sostenute, non poteva ga- rantire l’affluenza di pubblico di altre scene drammatiche.252

In quell’occasione prevalsero gli interessi propagandistici e alla fine si decise di salvare il teatro e di iniziare i lavori per

251. Najstarszy w s´wiecie, a cura di Krystyna Nastulanka, «Polityka», 28 maggio 1966, […]. Anche Ruth Taru Kowalska, nelle sue denunce, sottolinea che Ida si lamentava spesso dell’impossibilità di andare in Unione Sovietica.

252. Cfr. documenti del Ministro alla Cultura Ta deusz Gilin´ski, 237/XVIII/26 e 237/XVIII/193, Archiwum Akt Nowych, Varsavia.

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la costruzione di un nuovo edificio, ma ormai era chiaro che la scena yiddish era considerata un’enclave di cui un giorno la Polonia Popolare avrebbe potuto fare a meno.

Allo stesso modo, Ida Kaminska era oggetto di ammirazio- ne e stima in seno all’ambiente culturale polacco, ma tutto sommato percepita come un “corpo estraneo”. Considerato per esempio il diffuso riconoscimento del suo talento, sareb- be stato lecito attendersi che i cineasti polacchi si interessas- sero all’attrice, invece in tutto il ventennio del dopoguerra non le fu mai proposto alcun ruolo di rilievo.253 Se ai registi

cecoslovacchi Ján Kadár e Elmar Klos era bastato assistere a una replica degli Alberi cadono in piedi per proporre a Ida un ruolo da co-protagonista nel film premio Oscar Il negozio

al corso (1965), le uniche interpretazioni cinematografiche

dell’attrice nella Polonia del dopoguerra si limitarono a un ruolo secondario nel film per la televisione Addio a Maria (1966)254 e a quello da co-protagonista – ma passato sotto si-

lenzio – ne L’abito nero (1967).

Il negozio al corso, prima pellicola prodotta da un paese

comunista dell’Europa Centrale e distribuita anche nei paesi democratici, compresi gli Stati Uniti (già nel gennaio del 1966), ottenne uno straordinario successo culturale e com- merciale e regalò ulteriore visibilità a Ida Kaminska, sia in Polonia sia all’estero. Nel 1965 fu premiato con l’Oscar come miglior film straniero e l’anno successivo Ida – che dall’epo- ca di Senza una casa non aveva più avuto esperienze cinema- tografiche – fu candidata all’Oscar come migliore attrice pro- tagonista. Insieme al primo attore Josef Kroner, magistrale

253. Gran parte delle fonti in circolazione le accreditano la partecipazione al dramma di Aleksander Ford sull’Olocausto, Fiamme su Varsavia (1949), ma l’attri- ce stessa chiarì che si trattava di una leggenda: «Non ho recitato in quel film, ho solo diretto un piccolo frammento. È tutto e me ne rammarico. Ancora quindici anni fa avrei potuto recitare molti ruoli. Oggi queste possibilità si sono ridotte»,

Najstarszy w s´wiecie cit.

254. Poz·egnanie z Maria˛ (Addio a Maria, 1966). Regia: Jerzy Antczak. Realizzazione televisiva: Henryk Drygalski. Adattamento: Irena Strzemin´ska, dai racconti di Ta- deusz Borowski Addio a Maria e Da noi ad Auschwitz. Fotografia: Paweł Minkiewicz. Scenografia: Anna Jarnuszkiewicz. Musica: Eugeniusz Rudnik. Interpreti: Ta deusz Łomnicki (Ta deusz), Ewa Wis´niewska (Maria), Zbigniew Zapasiewicz (Tomasz), Marian Kociniak (Piotr), Jan Matyjaszkiewicz (Apoloniusz), Ida Kamin´ska (mo- glie del medico), Jan S´widerski (dirigente), Barbara Sołtysik (la sposa), Wojciech Duryasz (lo sposo). Ida Kaminska interpreta il ruolo secondario ma commovente della moglie di un medico, che dapprima riesce a fuggire dal ghetto e poi sceglie di farvi ritorno per raggiungere la figlia, rimasta prigioniera. Durata: 68’.

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nel sottolineare il carattere tragico e farsesco della vicenda, ricevette inoltre una menzione speciale al Festival di Cannes e, nel 1967, un premio statale dal presidente cecoslovacco Antonin Novotny.

Il film fu il primo della cinematografia cecoslovacca a trattare il tema della Shoah e dell’antisemitismo slovacco e a mettere in luce l’efficiente collaborazione del governo clerico-fascista di Jozef Tiso nello sterminio degli ebrei. Il regista slovacco Kadár, che durante la guerra era stato impri- gionato e aveva perso il padre in un campo di concentramen- to, avvertiva l’esigenza di creare un’opera che non avesse la pretesa di raccontare la tragedia dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti, ma che fosse modellata sul destino di un singolo individuo. Persuaso dell’originalità del racconto La trappola (1962) di Ladislav Grosman, che ritrae con accenti tragicomi- ci l’emergere del fascismo slovacco attraverso l’intreccio delle vite di un falegname e della proprietaria di una merceria, si mise in cerca degli attori. La scelta dell’interprete femminile, in particolare, si rivelò difficile perché a suo giudizio «la Ce- coslovacchia non aveva attrici della precedente generazione che avessero un’esperienza di vita tale da poter creare un

personaggio così complesso».255 Quando però vide Ida Ka-

minska in scena, il regista si rese conto che l’artista «portava in sé il destino della vedova Lautmannová»256 e che incarnava

«il più potente memoriale del fascismo e delle sue vittime»257

che egli avesse mai conosciuto.

Il film consente di ammirare la maestria di Kaminska nel regalare a un personaggio che avrebbe potuto facilmente tra- sformarsi in una macchietta, una presenza del tutto estranea ai piani originari dei registi: fu infatti solo dopo avere ridiscusso la caratterizzazione comica proposta da Kadár e Klos e avere ottenuto che l’anziana signora Lautmannová acquistasse una dimensione essenzialmente tragica che Ida accettò la parte. La sua Rozália Lautmannová non è soltanto una vecchina buona e dura d’orecchi, ma il corpo e la voce testimoniano un carattere sfaccettato formatosi nel corso di molti anni: è

255. Ján Kadár, «New York Herald Tribune», 23 gennaio 1966, <http://www. criterion.com/current/posts/139-the-shop-on-main-street-not-the-six-million-but- the-one>.

256. Ibid. 257. Ibid.

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testarda ma gentile, indifesa ma determinata, aperta all’ac- coglienza di tutti ma salda nella fede e nelle tradizioni. La sordità la tiene all’oscuro dei provvedimenti filonazisti che stanno prendendo piede nel suo paese, la Slovacchia alle- ata del Terzo Reich, e renderà possibile il malinteso per il quale l’uomo che avrebbe dovuto espropriarla dell’attività commerciale si trasformerà in un valido aiutante. Nell’ultimo capitolo torneremo a trattare del film – a cui Ida prese parte recitando in slovacco – per soffermarci su alcuni interessanti “affioramenti” legati alla lingua yiddish.

Le crescenti tensioni politiche fecero sì che la meritevole creazione di Ida nel film L’abito nero, tratto da un roman- zo di Stanisław Wygodzki,258 fosse accolta con indifferenza

al Festival di Praga.259 Eppure la sua interpretazione di una

madre angosciata in attesa del ritorno del figlio dalla guer- ra – pur ingessata dalla cornice di questo asfittico thriller psi- cologico – non era inferiore a quella dell’anziana bottegaia Lautmannová, protagonista della più sentimentale pellicola cecoslovacca. Entrambe creazioni misurate nei dettagli e di potente drammaticità, non tradiscono in alcun modo la scar- sa esperienza di fronte alla macchina da presa lamentata da Ida e testimoniano la pienezza che caratterizza tutti i suoi personaggi, il richiamo pungente alla tragedia dell’Olocau- sto (anche quando non è esplicitato, come nell’Abito nero) e la versatilità del sentimento materno che sempre li permea. Assai differente fu però l’accoglienza riservata alle due in- terpretazioni: se la prima cadde presto nel dimenticatoio, la seconda meritò a Ida la candidatura all’Oscar. Alla nipote che lamentava il fatto che la vittoria fosse poi andata a Elizabeth Taylor, Ida avrebbe risposto: «Sono soddisfatta, mia cara. So- no un’attrice ebrea e per tutta la vita la cosa più importante

258. Stanisław (Szaja) Wygodzki (1907-1992): scrittore, poeta e traduttore di lette- ratura yiddish. Abbandonò il sionismo, abbracciato in gioventù su ispirazione del padre, per unirsi al movimento comunista. Trascorse la Seconda guerra mondiale in diversi campi di concentramento (tra cui Auschwitz e Dachau), nei quali perse anche una figlia. Tornò in Polonia nel 1947 e da quel momento la sua opera fu dominata dal tema dell’Olocausto e dal trauma dei sopravvissuti. Dopo la cam- pagna antisemita del 1968 si trasferì in Israe le, dove collaborò con la stampa in lingua ebraica e polacca concentrandosi sull’esperienza dei comunisti ebrei, dello stalinismo e dei fatti del 1968. Eugenia Prokop-Janiec, Stanisław Wygodzki, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 10 ottobre 2016:

<http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Wygodzki_Stanis%C5%82aw>. 259. I. Kaminska, My life cit., pp. 262-263.

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è stata il palcoscenico, per questo considero la candidatura un onore per me e per il teatro yiddish».260

In patria, però, il clima interno al Partito Operaio Unifica- to Polacco era di nuovo teso: Gomułka iniziò a diffidare dei funzionari di origine ebraica e dei ceti intellettuali e favorì l’ala più conservatrice e dogmatica del partito, alla quale si associarono gli ex-combattenti dell’Armia Ludowa (Armata Popolare), i cosiddetti “partigiani”, capitanati dal generale Mieczysław Moczar. Insieme, questi due gruppi attaccarono i liberali con una propaganda venata di antisemitismo, che aspirava a epurare il Ministero degli Interni e l’esercito degli ultimi esponenti di origine ebraica, mentre Gomułka inten- sificò la campagna di repressione contro gli intellettuali, ac- cusandoli di non comprendere il ruolo dell’arte in uno stato socialista: l’attività di molti giornali fu ostacolata e circoli di resistenza critica come il club Krzywe Koło smantellati. Ebrei e intellettuali diventarono i capri espiatori anche di un altro conflitto maturato in seno al partito, uno scontro di stampo generazionale che contrapponeva le vecchie guardie dell’ap- parato ai giovani che aspiravano a fare carriera.

La situazione precipitò nell’estate del 1967, quando Israe- le sconfisse la coalizione di stati arabi sostenuta e armata dall’Unione Sovietica, che perse così prestigio e fu presa dal timore di lasciarsi sfuggire l’influenza su quella regione. La Guerra dei Sei Giorni fece detonare le tensioni interne, incrinando anche la posizione del Teatro Statale Yiddish e della sua direttrice. Il 12 giugno il governo polacco ruppe le relazioni diplomatiche con Israe le, espellendone l’ambascia- tore e condannando ufficialmente «l’aggressione», mentre il teatro fu scelto dai rappresentanti di numerose ambasciate come luogo davanti al quale stazionare con le proprie auto in segno di protesta per l’indebita cacciata del collega. Il 19 giugno, al Congresso dei Sindacati dei Lavoratori, Gomułka (che forse temeva un attacco personale per via dell’origine ebraica della moglie) accennò per la prima volta alla pre- senza di «circoli sionisti» e alluse all’esistenza di una «quinta colonna» di ebrei schierati al fianco di Israe le, invitandoli a lasciare la Polonia. Il discorso di Gomułka infiammò una ignobile campagna antisemita, che per ragioni di correttezza

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politica fu sempre definita antisionista. Moczar ne approfit- tò per sferrare l’attacco finale ai vertici del partito, allo sco- po di stanare i fantomatici sionisti nascosti al suo interno; il generale Wojciech Jaruzelski, esponente dei più alti ranghi militari, gli fece eco accusando gli Stati Uniti di capeggiare