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IL TRATTAMENTO PENITENZIARIO

3.7. Le terapie di cura

3.7.2. Le terapie psicologiche

Nello stesso periodo in cui si sperimentarono le terapie farmacologiche e chirurgiche, si sviluppò un altro filone che incentrò gli studi, non tanto sulle devianze psicologiche degli autori, quanto sull’ambiente sociale in cui hanno vissuto i violentatori.

Le terapie pensate dalla scuola comportamentalista non furono meno invasive rispetto a quelle del filone patologico e si vennero a

concretizzare negli anni Sessanta297. Secondo questa scuola, gli

impulsi sessuali derivavano da un comportamento appreso in maniera disadattata pertanto il trattamento doveva mirare a mutare i comportamenti inadatti del violentatore e insegnare nuovi schemi di comportamento. L’obiettivo era trasformare il pensiero distorto dei violentatori e modellarlo in modo tale da correggere l’impulso attraverso un potenziamento della resistenza a questo298.

Il primo strumento utilizzato dagli psicologi per verificare l’effettiva devianza sessuale fu quella del pletismografo penieno consistente in un anello o un tubo che veniva applicato al pene, sensibile alla pressione sanguigna, riempito di mercurio; per le donne esisteva il

297

J. BUORKE, op. cit., p. 195.

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fotopletimsografo vaginale che misurava i fattori di eccitazione. Mentre si monitorava il livello di eccitazione, al paziente venivano mostrate delle immagini adeguate di rapporti consensuali e immagini inadeguate di violenze sessuali. Una volta determinato il livello di eccitazione si utilizzava una delle terapie ritenute più adatta299.

Alcune terapie comportamentali erano:

- La terapia avversiva: si ispirava alla scuola di condizionamento classico e si realizzava mostrando al soggetto una serie di fotografie rappresentanti i comportamenti da modificare e contemporaneamente all’osservazione venivano rilasciate delle scariche elettriche affinché si aveva nel soggetto un condizionamento nell’evitare tali comportamenti;

- La desensibilizzazione sistematica: poiché era indirizzata all’estinzione dell’ansia in contesti sessuali non concernenti le parafilie, constava nella raffigurazione di scene ansiogene al soggetto fino a quando lo stesso non la affrontava fino alla sua completa diminuzione e scomparsa;

- Il ricondizionamento orgasmico: con questa tecnica il soggetto era sottoposto ad un’autostimolazione delle fantasie sessuali, arrivando al momento dell’orgasmo con un mutamento di fantasie più adeguate. Questa tecnica permetteva di associare le due fantasie devianti ad un impulso più debole;

299 J. BOURKE, op. cit., p. 199.

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- La terapia della vergogna: consisteva nell’esposizione da parte del soggetto di comportamenti devianti, ad esempio l’esibizionismo, di fronte a un team di esperti che lo disapprovavano e ridicolizzavano;

- La Covert Sensitization: si componeva di una tecnica secondo la quale il soggetto doveva immaginare un suo atto deviante e

successivamente anche la conseguenze negative dello stesso300.

Sussistevano anche altre terapie della scuola comportamentalista in cui, ad esempio, venivano impartite al paziente lezioni di rilassamento e presentati scenari diversi, oltre a quelli a cui lo stesso era portato ad un comportamento aggressivo; il terapista a quel punto faceva odorare al paziente dell’acido valerianico, in modo tale che associasse quelle scene con un cattivo odore.

Altra terapia, di sicuro più invasiva, fu quella della somministrazione di anectina: il terapista iniettava al paziente una dose di questo farmaco che provocava la paralisi muscolare e sospensione di respirazione. Aveva effetto di due minuti nelle quali il terapista ricordava al paziente che il suo comportamento era sbagliato e del

danno che aveva provocato ad un’altra persona301

.

La scuola comportamentalista pensò anche a degli aiuti per i violentatori, i social skill trainig, addestramento per le abilità sociali, che consistevano in programmi per aiutare i violentatori a rifarsi una

300

I. PETRUCCELLI – L. T. PEDATA, op. cit., 2008, p. 98.

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vita e dare delle indicazioni su come portare avanti una relazione nella giusta maniera. In particolare, alcuni psichiatri ritenevano che il problema stava nel corteggiamento, per questo gli uomini venivano addestrati su come rimorchiare e comunicare con le donne. I violentatori erano degli uomini che non avevano abilità sociali e l’unico modo di entrare in contatto con una donna era lo stupro. Tutte queste terapie non erano altro che dei progetti inseriti all’interno della tradizionale pena della detenzione e non era usuale la volontà di partecipazione dei detenuti ai progetti: meno della metà dei violentatori si sono sottoposti volontariamente ai trattamenti302. A quello che era il pensiero dei neurologi alla fine dell’Ottocento che credevano in una infermità mentale dei violentatori, si oppose il pensiero di Sigmund Freud nei primi anni del XX secolo. Freud è stato l’inventore della psicoanalisi, una scienza che analizza la mente dell’uomo dal conscio all’inconscio e particolarmente collegata con la sfera sessuale. Nelle sue opere, i Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905, ha preso in considerazione la figura del violentatore sessuale spiegando la perversione di codesto come sessualità infantile che non era riuscita ad emergere nell’Io adulto e si manifestava, successivamente, nelle relazioni sessuali303.

302

J. BOURKE, op. cit., p. 203.

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La prospettiva freudiana è stata accolta cinquant’anni dopo quando Benjamin Karpman, primo psicoterapeuta a Washington e scrittore di The sexual offender and his offenses del 1954, ne comprese l’utilità. Karpman descrisse i violentatori come vittime di una malattia psicologica di cui soffrivano e dalla quale dovevano essere curati con un intervento psichiatrico perché gli stupratori non erano altro che delle persone nevrotiche e disperate, emotivamente e socialmente insicure che cercavano di trovare un posto nella società per recuperare un po’ di autostima304

.

La visione di Karpman riscontrò grande successo fra la società civile: il paragone del violentatore sessuale a vittima di una malattia fu utilizzata spesso per spiegare il fenomeno dei reati sessuali. Un seguace di Karpman fu E. F. Hammer, ricercatore psichiatra che concentrò il suo studio nella tesi secondo cui i reati di violenza sessuale venivano commessi dagli agenti per una grave angoscia di castrazione305. Questo fu spiegato dal fatto che la gran parte dei violentatori ammetteva il fatto di trarre poco, o addirittura nessun, piacere dal reato commesso. Hammer, peraltro, differenziava diversi livelli di psicopatologia dei violentatori: gli stupratori di adulti e i

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Qualche anno più tardi Nathan Roth, un psichiatra responsabile del progetto di ricerca sui rei di violenza sessuale, descrisse l’aggressione sessuale come «un tentativo disperato, avventato e frenetico di sconfiggere l’orgoglio ferito, di riparare l’autostima offesa e di sfuggire alla mortificazione. Lo stupratore che esercita la propria forza su una donna sconosciuta sta simbolicamente cercando di ottenere calore e accettazione dalla donna che lo ha disprezzato e tenuto alla larga». Così in J. BOURKE, op. cit., p. 211.

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pedofili. Karpman invece li distingueva in base al livello di immaturità psicosessuale che ne provocava un blocco nella crescita. Altra tendenza spostò il centro focale dall’atto all’attore concentrandosi sulla personalità dello stupratore; T. W. Adorno si accorse di una personalità particolarmente autoritaria che non aveva timori morali o sociali306.

Ma qualsiasi essa fosse la derivazione del problema, era importante trovare una terapia riabilitativa per questi uomini. Di certo tutti erano d’accordo sul fatto che la reclusione non era il miglior modo per aiutarli. L’intervento più funzionale sarebbe stato quello di sedute psicoterapeutiche, ma ciò non era possibile in un ambiente penale, così sperimentarono tecniche come l’ipnosi e la terapia di gruppo. L’ipnosi si sviluppò soprattutto negli anni Ottanta, una tecnica facile ed economicamente conveniente per lo Stato. Ma la terapia di gruppo è stata sicuramente più gradita: comprendeva tecnica dello psicodramma e quella della pittura astratta. Si trattava di progetti che portavano ad una rieducazione degli atteggiamenti e delle emozioni represse, ma che furono messi in discussione per incertezze che si creano sulla diagnosi e la possibilità di guarigione307.

La questione è che nessuna delle soluzioni esposte ha risolto il problema fondamentale di trovare una cura efficace a questi soggetti

306

J. BOURKE, op. cit., p. 216.

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ed è per questo che la scienza si è diretta alla ricerca di altre terapie, meno invasive e più efficaci per la riabilitazione del sex offender.

3.7.3. La terapia cognitivo- comportamentale e la terapia