Sistema 1 e Sistema 2
2.6 L’influenza del tipo di stimolo esterno nella formazione del giudizio
dell’informazione. Alcuni studi hanno mostrato come, a livello più sottile, anche stimoli più semplici possano essere percepiti diversamente da differenti individui. Verranno qui
126 D. A. Schefeule, Framing as a Theory of Media Effects, “Journal of Communication”, 49.1/1999, p. 103.
presentati solamente due di questi fenomeni, il mere exposure effect e il labelling effect, al fine di mostrare come, all’interno di un frame o di uno scenario, anche le singole parole o espressioni e gli oggetti non vengano processati sempre nella stessa maniera.
L’effetto della mera esposizione, il mere exposure effect (MME), è il nome che Zajonc per la prima volta nel 1968 utilizzò per descrivere il risultato dell’esposizione ripetuta a un determinato stimolo:
The hypothesis is offered that mere repeated exposure of the individual to a stimulus object enhances his attitude toward it. By "mere" exposure is meant a condition making the stimulus accessible to the individual's perception. Support for the hypothesis consists of 4 types of evidence […]: (a) the correlation between affective connotation of words and word frequency; (b) the effect of experimentally manipulated frequency of exposure upon the affective connotation of nonsense words and symbols; (c) the correlation between word frequency and the attitude to their referents; (d) the effects of experimentally manipulated frequency of exposure on attitude.128
In altre parole, quando uno stimolo viene presentato più volte o frequentemente, le persone tendono ad avere automaticamente una risposta maggiormente positiva a tale stimolo. Questo effetto è stato ampiamente studiato e comprende un ampio spettro di situazioni, dalla preferenza per forme d’arte o generi musicali già conosciuti, alla migliore predisposizione verso volti conosciuti. Anche senza bisogno di prove sperimentali, molte persone possono averne percepito la presenza anche solo in base alle proprie esperienze quotidiane.
Senza approfondire troppo le numerose applicazioni di questo concetto, è necessario far notare come, anche in assenza di altre influenze, emotive o cognitive, questo fenomeno si presenti autonomamente. Johnson, Thomson e Frincke hanno mostrato come la valutazione di parole non-sense sia influenzata dall’esposizione:
Fourteen Ss rated the goodness of twenty nonsense words. […] The words used were: JANDARA, AFWORBU, BIWOJNI, NANSOMA, ENANWAL, IKTITAK, SARICIK, ZABULON, CIVADRA, LOKANTA, KADIRGA, ADAFNAW, BORULCE, NIJARON, ENSHIMI, INDULAM, TAVHANE, UDIBNON, DILIKLI, and MECBURI. Mean goodness scores were obtained. One week later each 5" was tested individually. […]
128 R. B. Zajonc, Attitudinal effects of mere exposure, “Journal of Personality and Social Psychology”, 9.2/1968, p. 1.
The experimenter […] handed the S a pack of 90 [...] cards. In this pack were the words listed above. The first five words above were presented 10 times apiece, the next five, 5 times apiece, the next five, 2 times apiece, and the last five, once each. The cards were shuffled thoroughly after each […] task, so that they were in a relatively random order.129
L’effetto labelling (traducibile letteralmente con etichettatura) consiste invece in una distorsione della percezione di uno stimolo attraverso l’accostamento di questo con determinate parole, frasi o domande. Ad esempio, è stato dimostrato che:
1 - Un colore ambiguo tra blu e verde viene visto come più vicino al blu se accompagnato dall’etichetta “bluish”, più verde se da “greenish”.130
2 - Un vino bianco detto “dolce” porta i soggetti ad assegnare ad esso un maggiore contenuto di zuccheri rispetto all’accostamento con “secco”.131
129 R.C. Johnson, C.W. Thomson, G. Frincke, Word values, word frequency, and visual duration thresholds, “Psychological Review”, 67.5/1960, pp. 336-337.
130 Cfr. R.F. Pohl, S. Schwarz, S. Sczesny, D. Stahlberg, Hindsight bias in gustatory judgments, “Experimental Psychology”, 50/2003, pp. 107–115.
131 Cfr. M.H. Bornstein, Name codes and color memory, “American Journal of Psychology”, 89/1976, pp. 269–279.
Illustrazione 1: in R. C. Johnson, C. W. Thomson, G. Frincke, Word values, word frequency, and visual duration thresholds,
3 - L’uso di verbi come “schiantarsi” e “urtare” determinano una differente valutazione della velocità dei veicoli in un identico video di un incidente.132
È però stato dimostrato che il nostro sistema percettivo non è influenzato dall’effetto
labelling. Ad esempio, popolazioni con un numero diverso di parole base per definire i
colori hanno mostrato di saperli distinguere percettivamente nella stessa maniera: anche in culture che hanno parole solamente per chiaro e scuro, le persone riescono differenziare, ad esempio, oggetti rossi da verdi.133 Inoltre sembra che la categorizzazione dei colori e le corrispondenti parole seguano, al di là del loro numero, una schema simile, attraverso le differenti lingue: se le parole per i colori in una determinata lingua sono due, saranno “bianco” e “nero”; se sono tre, verrà aggiunto “rosso”; se sono sei, ci saranno anche “giallo”, “blu” e “verde”; se sette avremo anche “marrone”; infine, se undici, comprenderanno, oltre ai precedenti, anche “rosa”, “viola”, “arancione” e “grigio”.134
Quello che possiamo affermare per la percezione, non lo possiamo sostenere per le valutazioni che richiedono compiti cognitivamente più complessi. Per capire meglio la differenza riprendiamo l’esempio 1 che parla di Bluish e Greenish. In questo caso non è richiesta la sola percezione, ma l’inserimento di un esemplare ambiguo in una di due possibili categorie. Nell’esperimento al quale faccio riferimento riguardo alla percezione dei colori, Brown e Lenneberg fanno svolgere ai soggetti un compito di selezione di questo tipo: dopo aver osservato il colore di una carta, pescare lo stesso colore da un insieme di chips di colori diversi.135 La differenza è chiara, nel primo la categorizzazione è mediata da una parola-concetto, nel secondo esperimento no.
Il mere exposure effect e il labelling effect sono effetti di vecchi stimoli che si ripercuotono sull’elaborazione dei nuovi. Ma il rapporto stimolo-elaborazione non è unidirezionale, anche nuovi stimoli possono modificare come viene rielaborata o recuperata nella memoria la vecchia informazione. La memoria non può essere considerata come un hard-disk nel quale sono immagazzinati precisi codici sempre uguali
132 Cfr. E.F. Loftus, J.C. Palmer, Reconstruction of automobile destruction: An example of the interaction between language and memory, “Journal of Verbal Learning and Verbal Behavior”, 13/1974, pp. 585–589.
133 Cfr. R. Brown, E.H. Lenneberg, A study in language and cognition, “Journal of Abnormal and Clinical Psychology”, 49/1954, pp. 454–462.
134 Cfr. B. Berlin, P. Kay, Basic color terms: Their universality and evolution, California University Press, Oakland 1969.
a loro stessi, ma l’informazione precedentemente acquisita è sempre coinvolta in un equilibrio dinamico con quella che arriva online dall’esterno.
Per questo motivo, verranno presentati due fenomeni che si muovono nella direzione opposta ai due precedenti: l’hindsight bias e il misinformation effect.
Numerosi studi hanno mostrato come nuove informazioni, contrarie o favorevoli ai nostri precedenti giudizi, modifichino il ricordo e la sicurezza che avevamo nelle nostre precedenti idee. Questa fallacia è chiamata hindsight bias (traducibile con “pregiudizio del senno di poi”).
Examples of hindsight bias
(1) After a political election, people’s recollections of their pre-election estimates were on average closer to the actual outcome than the original estimates had been.
(2) In an unpublished study from our lab, 46 participants were asked – among other questions – to estimate the number of books Agatha Christie had written. The mean of the estimates was “51”. Later the participants received the true solution of “67”, and then recalled their original estimates. The mean of the recalled estimates was “63”, that is, too close to the solution.
(3) Being asked after the end of a basketball match and in comparison to other people’s pre-game predictions, spectators were convinced that they would have correctly predicted the winning team […]. (4) In a cross-cultural Internet study on hindsight bias […] 227 participants received 20 numerical almanac questions, with half of them accompanied by the true solution (experimental items) and the other half not (control items). Participants were instructed to ignore the solutions (if given) and to generate their estimates independently. However, the mean distance between estimates and solutions was significantly smaller for experimental than for control items.136
Un altro campo nel quale la comprensione dell’hindsight bias è importante è quello giuridico. Granhag e colleghi, due settimane dopo aver fatto vedere un video di una violenza su una donna, hanno chiesto ai soggetti di rispondere di nuovo a un questionario sulle scene osservate, del quale avevano compilato una copia identica subito dopo il video. Una delle condizioni del loro esperimento consisteva nel chiedere, dopo il questionario, quanto i soggetti erano sicuri della risposta. Queste domande sulla propria sicurezza, in un gruppo, venivano fatte solo successivamente all’aver fatto sapere ai soggetti quale fosse la risposta corretta. Risultò che coloro che ricevevano un feedback negativo alle risposte sbagliate calavano il loro livello di sicurezza rispetto a chi non lo
riceveva, mentre ricevendo un feedback positivo lo aumentavano.137 Questo risultato apre degli interrogativi su quanto, in una situazione reale, un testimone possa essere condizionato nelle sue dichiarazioni dalle altre testimonianze o dagli eventuali risultati di altri gradi di appello.
Qualcosa di simile possiamo individuarlo in uno studio che, chiedendo ai soggetti le probabilità che O.J. Simpson fosse assolto in momenti differenti dopo il primo, il secondo e il terzo grado di appello, ha mostrato come la sicurezza di una condanna vari sia a seconda dello stimolo, sia al variare della distanza da questo e il proprio giudizio.138
Il misinformation effects invece consiste nel recupero delle informazioni nella memoria condizionato dagli stimoli esterni, ad esempio dal modo in cui viene posta una domanda. Questa interferenza rende il ricordo meno preciso o crea una falsa memoria.
Uno dei primi studi riguardanti questo fenomeno riguardò l’effetto della domanda posta sul ricordo di un video di un incidente:
137 Cfr. P.A. Granhag, L.A. Stroèmwall, C.M. Allwood, Effects of Reiteration, Hindsight Bias, and Memory on Realism in Eyewitness Confidence, “Applied Cognitive Psychology”, 14/2000, pp. 397-420.
138 Cfr. F.B. Bryant, J.H. Brockway, Hindsight Bias in Reaction to theVerdict in the O. J. Simpson Criminal Trial, “Basic and Applied Social Psychology”, 19.2/1997, pp. 225-241.
Illustrazione 2: in F. B. Bryant, J. H. Brockway, Hindsight Bias in Reaction to theVerdict in the O. J. Simpson Criminal Trial, “Basic and Applied Social Psychology”, 19.2/1997,
One hundred and fifty University of Washington students, in groups of various sizes, were shown a film of a multiple-car accident in which one car, after failing to stop at a stop sign, makes a right- hand turn into the main stream of traffic. In an attempt to avoid a collision, the cars in the oncoming traffic stop suddenly and a five-car, bumper-to-bumper collision results. […]
At the end of the film, a 10-item questionnaire was administered. A diagram of the situation labeled the car that ran the stop sign as “A,” and the cars involved in the collision as “B” through “F.” The first question asked about the speed of Car A in one of two ways:
(1) How fast was Car A going when it ran the stop sign? (2) How fast was Car A going when it turned right?
Seventy-five subjects received the “stop sign” question and 75 received the “turned right” question. The last question was identical for all subjects: “Did you see a stop sign for Car A?” Subjects responded by circling “yes” or “no” on their questionnaires.139
Il 53% del primo gruppo risposero “sì” all’ultima domanda, mentre solo il 35% del secondo risposero di aver visto il segnale di stop. Il risultato confermò l’ipotesi dell’influenza delle domande sui ricordi.
Un’altra applicazione del misinformation effect riguarda la memoria autobiografica. In un esperimento del 2009, Peterson e colleghi, dopo aver condizionato i soggetti con false testimonianze di implausibili (perché troppo retrodatate) primi ricordi d’infanzia, recitate da attori che facevano finta di partecipare all’esperimento, chiesero di compilare un questionario che prevedeva di raccontare il proprio primo ricordo. Confrontando questo gruppo con un gruppo di controllo, risultò che coloro che erano stati condizionati mediamente retrodatavano la loro prima memoria di un anno rispetto a chi non aveva subito influenze, dimostrando così come un contesto collettivo possa condizionare la memoria autobiografica.140
Forse il lettore, oltre a percepire certe analogie tra hindsight bias e misinformation
effect, si sarà accorto pure della somiglianza tra quest’ultimo e il labelling effect. Infatti,
spesso il confine tra un fenomeno e un altro è piuttosto sfumato e, nonostante le distinzioni che abbiamo fatto siano utili per comprenderli, forse, allo stato attuale delle ricerche, non abbiamo ancora raggiunto una classificazione adeguata. Cosa non facile,
139 E. F. Loftus, Leading Questions and the Eyewitness Report, “Cognitive
Psychology”, 7.4/1975, pp. 563-564.
140 Cfr. T. Peterson, S.O. Kaasa, E.F. Loftus, Me Too!: Social Modelling Influences on Early Autobiographical Memories, “Applied Cognitive Psychology”, 23.2/2009,
vista la struttura della nostra mente e del nostro cervello, composta da sottosistemi differenti ma integrati fra loro in maniera enormemente complessa.141
Conclusioni
Il campo delle euristiche e delle fallacie cognitive è variegato e pieno di bolle disciplinari, almeno in parte, autoreferenziali. Spesso, per la necessaria specializzazione degli studiosi in un determinato fenomeno, alcuni risultati rimangono, facendo un’analogia, informazionalmente incapsulati in nicchie di sapere proprio come nei moduli fodoriani, trasmettendo all’esterno solamente la parte più generale delle proprie conoscenze.
Malgrado l’autoreferenzialità di parte degli studi, è difficile trovare un manuale di psicologia sociale o politica che non indichi Tversky e Kahneman come promotori di alcuni dei pilastri fondativi delle recenti ricerche in tali campi.
Nonostante questo ampio riconoscimento, anche per gli autori che mostrano di sapersi orientare nel vasto mondo delle euristiche e nell’ancora più vasto mondo delle scienze cognitive, rimane comprensibilmente difficile sistematizzare un sapere pieno di linguaggi, teorie e risultati differenti e frequentemente pieni di incongruenze.
Paradigmatico di questa condizione è l’incipit del capitolo conclusivo di Cognitive
Illusions, una raccolta di contributi riguardanti le fallacie cognitive, con il quale concludo
questo capitolo:
Research on cognitive illusions has developed a tradition of its own. This book documents the state of the art for an impressive list of cognitive illusions, thus supplying profound insight into the relevant factors causing or modifying these illusions. Looking back at the history of the respective research shows that most of these illusions have been studied in complete isolation without any reference to the other ones, and moreover without any reference to the large body of research on suggestions. As a matter of fact, the editor of this book noted that the first versions of the chapters’ manuscripts contained almost no explicit links to any of the other chapters.
Experimental methods as well as theoretical explanations of cognitive illusions thus resembled an archipelago spread out in a vast ocean without any sailor having visited more than one (or at the most two) of these small islands yet. In trying to further explore this largely unknown territory, we believe that cognitive illusions are more connected than previously acknowledged, that they show parallels to suggestions so that both research domains should benefit from each other methodologically as well as
theoretically, and that both should be placed within the broader context of general cognitive processes.142
142 V. A. Gheorghiu, G. Molz, R.F. Pohl, Suggestion and illusion, in Pohl, Cognitive Illusions, cit., p. 399.
3 / Emozioni, affetti e scorciatoie cognitive nelle
decisioni politiche
Finora abbiamo dato per scontata, accennandola fra le righe, una componente importante nella formazione dei giudizi e del ragionamento, cioè l’influenza degli affetti emotivi sulle nostre scelte. Questa componente è particolarmente importante per le decisioni che le persone si trovano a prendere in ambito politico: spesso, spinta a fornire giudizi in ambiti di cui non ha conoscenza, la gente è costretta ad utilizzare scorciatoie per potersi orientare. Inoltre, come vedremo e come abbiamo osservato in qualche esperimento precedente, l’affetto influenza le modalità di processamento.
How people figure out their positions on specific issues has become a minor chord: The major chord in the analysis of public opinion, endlessly repeated, is how little attention they pay to politics, how rarely they think about even major issues, and how often they have failed to work through a consistent or genuine position on them. Why, then, ask how people make any particular political choice when the whole point to appreciate is how unlikely they are to have given it any thought?143
Esamineremo quindi come gli individui si orientano all’interno delle tematiche politiche e, successivamente come l’affettività modifichi l’approccio dei soggetti di fronte all’informazione.