• Non ci sono risultati.

Sistema 1 e Sistema 2

3.3 Oltre il positivo e il negativo Le sfumature dell’affetto

Finora abbiamo considerato l’affetto come un parametro monodimensionale, ma questa cornice può risultare, come vedremo, limitante.

Prima però è necessario almeno accennare alla distinzione tra affetto e mood (umore). Ci limiteremo solo ad un accenno, sarà sufficiente comprendere che esiste una differenza tra la risposta emotiva dovuta alla presentazione di uno stimolo (affetto) e lo stato emotivo generale del soggetto (mood).176

Un umore negativo porta a ragionamenti più “razionali”, mentre uno positivo porta a un aumento dell’uso di percorsi euristici.177

Il mood influenza quindi le modalità di processamento dell’informazione, mentre l’affetto viene usato soprattutto come un’etichetta emotiva dello stimolo, da utilizzare come strumento di elaborazione. Finora non è stata sottolineata questa divisione per evitare una divagazione dagli altri argomenti presentati. Per mood può essere inteso sia uno stato emotivo passeggero (gioia, tristezza, etc.) che qualcosa di psicologicamente più stabile, come ad esempio la depressione; i singoli affetti influenzano e sono influenzati dall’umore iniziale del soggetto. Come il Sistema 1 e il Sistema 2, queste sono delle astrazioni che permettono di comprendere meglio i processi cognitivi: la distinzione tra

mood ed affetto permette di distinguere una risposta singola ad uno stimolo da uno stato

emotivo generale, ma, allo stesso tempo, una distinzione troppo netta dei due fenomeni rischia invece di mascherare la stretta interdipendenza dinamica che esiste tra questi. Per esempio, la paura delle scelte di un nuovo governo, che influenza la valutazione di questo, è ascrivibile a qualcosa di simile alla likability heuristic o allo stato emotivo dovuto ad una determinata situazione politica? Fin quando parliamo di uno stato continuo, come il disturbo depressivo, la distinzione tra mood e affetto è facile, ma quando trattiamo di fenomeni come quelli riguardanti la politica è molto più difficile distinguerli: non è necessario che un soggetto, durante la sua vita, sia sempre preoccupato per ritenere che una situazione politica sia negativa, quindi il suo stato emotivo deve essere collegato a uno stimolo specifico (il nuovo governo), ma, allo stesso tempo, almeno secondo chi scrive, una preoccupazione simile è uno stato mentale che ha una maggiore continuità rispetto alla risposta ad uno stimolo individuale o ad un’etichettatura affettiva di un

176 Cfr. N. Schwarz, Feelings as Information: Moods Influence Judgments and Processing Strategies, in Gilovich-Griffin-Kahneman, Heuristics and Biases etc., cit. 177 Ibidem.

oggetto isolato (ad esempio: la risposta affettiva negativa che una persona potrebbe avere quando sente affermazioni antisemite).

Tratteremo quindi qualcosa al limite tra affetto e umore, cioè di come le emozioni riguardo a questioni politiche influenzino il processamento dell’informazione.

Recenti studi hanno mostrato come anche la semplice distinzione tra mood positivo e negativo non basti a descrivere il comportamento cognitivo delle persone. Esistono emozioni negative che abbassano lo sforzo cognitivo, ne esistono di positive che lo aumentano.

La rabbia diminuisce il livello di processamento, l’ansia lo aumenta:

The two-dimensional valence model of positive and negative emotion is thus conceptually clean, mapping onto approach and avoidance motives. But it does not account for the distinction raised earlier among different types of negative emotions, such as anger and anxiety. According to the valence model, all negative emotions should be associated with heightened vigilance and with the avoidance of danger consistent with their link to an avoidance motivation more generally. Anxiety conforms to this pattern, but anger does not. Indeed, anger has commonly been equated with behavioral approach, not avoidance, raising further doubts about any simple correspondence between valence and functional approaches to affect.178

Huddy e colleghi, analizzando domande relative alle politiche americane interne ed estere, come ad esempio la guerra in Iraq, hanno individuato una relazione positiva tra quantità d’informazione riguardo a un argomento ed alti livelli di ansia, una negativa tra livello di rabbia e la propria conoscenza delle tematiche. Questo non significa che le persone informate siano più ansiose, ma piuttosto che l’ansia e la rabbia modifichino le modalità di acquisizione e processamento delle informazioni.

Consider perceptions of risk of and support for the Iraq war. Anger leads to a reduced perception of the war’s risks and promotes support for military intervention. In contrast, anxiety heightens perceived risk and reduces support for the war. As a consequence, a combined measure of negative affect lends no insight whatsoever into public opinion about the war […], leading to the erroneous impression that negative emotions did not matter one way or the other in shaping support for the war.179

Questa differenza di processamento è coerente con le situazioni nelle quali è necessario usare le sopracitate emozioni: l’ansia è influenzata dalla percezione di rischio, quindi

178 L. Huddy, S. Feldman, A. Cassese, On the Distinct Political Effects of Anxiety and Anger, in W.R. Neuman, G.E. Marcus, M. MacKuen, A.N. Crigler, The Affect Effect - Dynamics of Emotion in Political Thinking and Behavior, The University of Chicago Press, London 2007, p. 205.

richiede maggiore analisi per individuarne i fattori ambientali; la rabbia, invece, predispone all’azione, quindi si manifesta in situazioni dove viene stimolata la preparazione all’attività, quindi, conseguentemente a ciò, viene richiesto un processamento degli stimoli più rapido, anche a costo di utilizzare scorciatoie cognitive.180

Non necessariamente emozioni negative e positive si escludono a vicenda. Just e colleghi hanno mostrato come la paura verso un candidato alla Casa Bianca sia accompagnata da una speranza diretta verso il suo oppositore.181 Entrambe queste emozioni sembrano portare le persone a cercare maggiori informazioni riguardo alle attività politiche dei candidati, nonostante la ricerca non sia oggettiva, ma piuttosto condizionata dalle disposizioni emotive dei soggetti e dalle loro aspettative:

Individuals who feel hopeful about a candidate are inclined to view the events and to interpret the messages of the campaign in a manner that is consistent with their preferences. That is, individuals not only come to hold consistent emotional appraisals of the candidates but also modify their information search strategy to support their appraisals.182

Questo bias nella ricerca delle informazioni può portare al rischio di generare false speranze nei soggetti già speranzosi rispetto a un candidato, nonostante, al contempo, sia stato dimostrato che le persone più informate abbiano minor rischio di sviluppare speranze irrealistiche:

Whereas previous research has shown that fear stimulates information seeking behavior, we find that hope in fact spurs use of important campaign communication including political conventions and television network news. It is reasonable to think that because hope, like fear, is a transformative emotion, people seek support for their future expectations. In the search for information, however, hope may bias the process of information-seeking. The intimate association of hope and fear is further illustrated by the fact that both can stimulate an individual to seek out information during the campaign. The classical philosophers who inveighed against hope for clouding judgment were correct. There is a caveat, however. People who are exposed to information are less likely to hold false beliefs about future outcomes. Respondents who paid attention to the media (notably television news that was preoccupied with the horserace) were not likely to hold false hope for the losing candidate.183

180 Ivi, pp. 202-230.

181 Cfr. M.R. Just, A.N. Crigler, T.L. Belt, Don’t Give Up Hope: Emotions, Candidate Appraisals, and Votes, in Neuman-Marcus-MacKuen-Crigler, The Affect Effect etc., cit., pp. 231-260

182 Ivi, p. 239. 183 Ivi, p. 252.

Come è possibile intuire da questi esempi, la dinamica dietro al rapporto tra affetto e cognizione è molto più complessa di quanto una semplice divisione tra affetto positivo e negativo possa presentarcela. È difficile fare un discrimine tra le differenti emozioni: se tra ansia e rabbia può essere semplice, quali differenze qualitative o quantitative ci sono tra la stessa ansia e la paura? Quali ci sono tra speranza ed entusiasmo?

Una distinzione definitoria può essere relativamente semplice, ma più complicato è riuscire ad elaborarne una adatta all’applicazione agli studi psicologici e sociologici. Come evitare che queste definizioni siano completamente discrezionali?

Schreiber, come anche altri, ha ipotizzato che la base delle nostre emozioni e cognizioni riguardanti temi più generali, in questo caso politici, siano una rimodulazione dei processi cognitivi utilizzati dagli esseri umani in ambiti più ristretti:

While answering questions about national politics, the political sophisticates showed activation above a resting baseline in the medial frontal and the medial posterior cortices, the main areas of Raichle’s default state network and areas that have been implicated in other studies of social cognition. The political novices, however, showed decreases in activity in both of these regions, suggesting that they had to increase their level of explicit cognitive effort in responding to the questions. My interpretation of these results is that political sophisticates are able to automatically use the mental tools that have developed for evaluating everyday politics and apply them to national politics. Political novices, however, do not possess sufficient experience or knowledge about how to apply the values and skills they use to navigate the politics of family and social life to the questions of national politics.184

Se questa supposizione, riguardante l’utilizzo di circuiti cerebrali ricalibrati, adibiti inizialmente solamente a problemi micro-sociali, per il processamento di questioni macro-sociali o politiche, fosse veritiera, potremmo riuscire a ottenere migliori definizioni delle emozioni attraverso lo studio di situazioni più facilmente manipolabili in laboratorio (situazioni microsociali) oppure utilizzare i risultati delle ricerche neurologiche per arrivare a definire un numero limitato e discreto di emozioni. Recenti studi hanno dimostrato il rapporto tra disgusto e la regione cerebrale dell’insula, come quello tra paura e amigdala.185 Inoltre, una lesione di queste strutture neurali, oltre a

184 D. Schreiber, Political Cognition as Social Cognition: Are We All Political Sophisticates?, in. Neuman-Marcus-MacKuen-Crigler, The Affect Effect etc., cit., pp. 56-57.

185 Cfr. F. Sambataro, S. Dimalta, A. Di Giorgio, P. Taurisano, G. Blasi, T. Scarabino, G. Giannatempo, M. Nardini, A. Bertolino, Preferential responses in amygdala and insula during presentation of facial contempt and disgust, “European Journal of Neuroscience”, 24/2006, pp. 2355–2362.

limitare la possibilità di provare l’emozione corrispondente, impedisce ai soggetti pure di riconoscerla sul volto delle altre persone.186 Sebbene la localizzazione precisa dei processi mentali sia stata scartata187, l’individuazione dei percorsi neurali che vengono attivati specificatamente per una determinata emozione può aiutare a capire quali emozioni “basilari” mettere a fuoco nelle ricerche psico-sociali. Senza una chiara e comune suddivisione delle emozioni, fondata su dati sperimentali, il confronto tra i dati delle ricerche rimarrà complicato, a causa della differente definizione soggettiva e non empiricamente fondata delle componenti delle analisi.

Conclusioni

Alla luce dei risultati presentati in questo capitolo, risulta difficile separare le forme di processamento cognitivo da quelle affettive. Le emozioni accompagnano forse tutte le attività svolte all’interno del nostro cervello, fungendo sia da scorciatoie cognitive sia da catalizzatori di specifici processamenti. L’integrazione delle due componenti risulta di una complessità sconcertante, infatti è stato dimostrato che pure la velocità di processamento delle singole parole è condizionata dalla componente affettiva.188

Abbiamo iniziato il nostro percorso con le fallacie cognitive relative ai giudizi probabilistici, ma, forse, proprio lo stesso punto di partenza può essere stato fuorviante. Infatti, se il cervello è una stratificazione di strutture che implementano le parti più primitive sottostanti,189 allora il nostro percorso espositivo si è mosso inversamente al percorso evolutivo. Sappiamo che gran parte delle facoltà cosiddette superiori sono attribuite dai neuroscienziati alla parte più giovane del nostro cervello, cioè la corteccia cerebrale e, in particolare, la neocorteccia, che negli uomini costituisce circa il 76% dell’intero cervello.190 Se queste facoltà superiori, che comprendono, tra gli altri, il

186 Per la lesione dell’amigdala cfr. N. Tsuchiya, F. Moradi, C. Felsen, M. Yamazaki, R. Adolphs, Intact rapid detection of fearful faces in the absence of the amygdala, “Nature Neuroscience”, 12.10/2009. pp. 1224-1225.

187 Cfr. C. Morabito, La mente nel cervello. Un'introduzione storica alla

neuropsicologia cognitiva, Laterza, Bari 2004.

188 Cfr. A.B. Warriner, V. Kuperman, M. Brysbaert, Norms of valence, arousal, and dominance for 13,915 English lemmas, “Behavior Research Methods”, 45.4/2013, pp.

1191-1207.

189 Cfr. J.M. Allman, Evolving brains, Scientific American Library, 1999.

190 Cfr. C.R. Noback, N.L. Strominger, R.J. Demarest, D.A. Ruggiero, The human

pensiero astratto, quello simbolico e quello conscio, sono svolte dalle strutture filogeneticamente più recenti del nostro cervello, è possibile considerare queste come la base della cognizione umana?

Sarebbe più plausibile ritenere che queste ultime siano estensioni di modalità di processamento più antiche, cioè di quelle risposte automatiche che possiamo ritrovare in forme di vita neurologicamente più semplici.

Quindi, probabilmente, la componente affettiva, che condividiamo con un maggior numero di esseri viventi rispetto alle facoltà superiori, ha una fondazione filogenetica più antica ed è la componente più profonda della nostra cognizione.

Partendo da questa prospettiva, se esiste una mappatura simbolica delle informazioni processate e immagazzinate dal nostro cervello, come quella che Fodor chiama language

of thought, questa rimane posteriore ad una mappatura affettiva e meno cosciente. Con le

parole di Damasio possiamo affermare che:

L'evoluzione sembra aver assemblato i meccanismi cerebrali dell'emozione e dei sentimenti procedendo per gradi. Dapprima viene il meccanismo per produrre reazioni a un oggetto o a un evento, orientate verso l 'oggetto stesso o le circostanze: il meccanismo dell'emozione. Poi viene il meccanismo per produrre una mappa cerebrale e successivamente un'immagine mentale - un'idea – delle reazioni e dello stato dell'organismo che ne risulta: il meccanismo del sentimento.

Il primo dispositivo, quello dell'emozione, consentì agli organismi di rispondere in modo efficace, sebbene non creativo, a numerose circostanze che, a seconda dei casi, potevano essere favorevoli o minacciose - circostanze ed esiti rispettivamente «positivi» o «negativi» per la vita. Il secondo meccanismo, quello del sentimento, introdusse una sorta di allarme mentale per rilevare le circostanze buone o cattive, e prolungò l'impatto delle emozioni influenzando in modo duraturo attenzione e memoria. Alla fine, in una proficua combinazione con i ricordi del passato, l'immaginazione e il ragionamento, i sentimenti portarono all'emergere della previsione e alla possibilità di creare risposte nuove, non più stereotipate.

Come capita spesso quando aggiunge nuovi dispositivi ad altri preesistenti, la natura usò i meccanismi dell'emozione come punto di partenza e rimediò altre componenti alla bell'e meglio. Al principio era l'emozione - ma al principio dell'emozione era l'azione.191

Per Damasio infatti i sentimenti non sarebbero altro che, in parole povere, coscienza degli stati affettivi, o emozioni, che, a loro volta, non sono altro che elaborazioni del cervello del nostro stato fisiologico. Quindi, seguendo questo modello, la complessità delle

191 A.R. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano 2003, pp. 103-104.

rappresentazioni sarebbe fondata sulle stratificazioni dell’elaborazione dello stato del nostro corpo immerso nell’ambiente esterno.

La mia scelta d’intraprendere un percorso che partisse dagli errori che commettiamo rispetto a giudizi normativamente corretti è stata dettata dalla scelta di sviluppare l’argomentazione partendo dalla concezione razionale dell’essere umano che culturalmente possediamo, in modo da risultare più facilmente percorribile ad un eventuale lettore. Arrivati a questo punto, però, la domanda potrebbe non essere più: come

mai a volte non riusciamo a elaborare risposte razionalmente valide? Quanto piuttosto: come mai, qualche volta, riusciamo a farlo?

4 / Questa tesi è una truffa? Osservazioni sul campo

di ricerca affrontato

“I placed too much faith in underpowered studies” ha recentemente sostenuto

Kahneman.192 Infatti, gli studi che hanno costituito la sua fortuna hanno campioni troppo piccoli per essere considerati statisticamente validi e, spesso, i soggetti, essendo di solito studenti, non sono rappresentativi della popolazione intera. Quello che vale per i lavori di Kahneman è altrettanto valido per gran parte degli studi citati sinora in questo testo: campioni piccoli e scarsa rappresentatività di questi. Uno studio recente ha replicato 28 famosi studi sperimentali di psicologia, mostrando come spesso i risultati di questi non fossero replicabili attraverso la ripetizione dei test con più ampi e diversificati campioni.193 Sebbene non sia stato riprodotto alcuno degli studi che ho precedente citato, non dubito che alcuni di questi avrebbero potuto dimostrarsi non validi. Un’altra pecca di alcuni studi presentati, in particolare quelli del terzo capitolo, è la loro non riproducibilità: oltre a utilizzare spesso campioni ridotti, basano le loro conclusioni su interviste che utilizzano parametri intrecciati indissolubilmente al contesto storico e sociopolitico del momento nel quale sono raccolti e, spesso, anche quando questi sono confrontabili con altri campioni (come con le periodiche interviste del NES), c’è il rischio di non aver inserito nello studio una variabile fondamentale che avrebbe potuto rivoluzionare i risultati.

Quindi, non essendo metodologicamente validi, questi studi possono essere usati solo come suggerimenti empirici della teoria che vogliamo dimostrare, ma difficilmente possono essere sfruttati secondo il principio di falsificabilità, per minare le teorie generali, poiché possono semplicemente venire assunti, ad hoc, come casi nei quali un fenomeno generale non si è presentato.

Se è un truismo che le discipline che studiano l’uomo non possano essere comprese nella loro complessità attraverso il mero utilizzo delle sole metodologie delle scienze naturali, a causa delle proprietà emergenti che incontriamo nell’osservazione dell’essere

192 A. McCook, "I placed too much faith in underpowered studies." Nobel Prize

winner admits mistakes in Retraction Watch, 2017. URL:

https://retractionwatch.com/2017/02/20/placed-much-faith-underpowered-studies- nobel-prize-winner-admits-mistakes/.

193 Cfr. R.A. Klein, et al., Many Labs 2: Investigating Variation in Replicability

umano, è altrettanto evidente, a mio parere, che questo ramo della psicologia sia abbagliato da questa illusione.

Sembra ci sia una proliferazione di piccoli studi di dubbia validità, piuttosto che il tentativo di svilupparne pochi ma significativi. Inoltre, studiando le numerose bibliografie degli articoli, ho notato come quasi non esista una comunicazione tra antropologia e studi sul processamento dell’informazione. Ben lungi dall’accostare la metodologia etnografica a quella psicologica sperimentale, ritengo però che, forse, qualche lettura nel secondo campo di ricerca potrebbe diminuire la presenza di certe ingenuità teoriche riscontrabili nel primo, come quella presentata riguardo all’uso della parola “sofisticazione”. D’altronde, i collegamenti non mi sembrano poi così frequenti, anche se ne esistono, nemmeno con le neuroscienze, soprattutto con la ricerca delle basi fisiologiche dei processi cognitivi euristici. La psicologia sperimentale sembra porsi tra le instabili conclusioni dell’antropologia e i “freddi” dati neurofisiologici. Una terza direttrice, che abbiamo parzialmente intrapreso nel terzo capitolo, può essere quella che dalla psicologia cognitiva, passando per la psicologia sociale e politica, sfocia nel mondo delle scienze sociali. Attorno a questa terza via ho costruito il percorso che mi ha portato da Tversky e Kahneman alle ricerche riguardanti le emozioni e la loro influenza nell’elaborazione dell’informazione.

Invece di sfruttare questi spunti teorici provenienti dai saperi adiacenti, mi sembra, e come abbiamo visto non sono il solo a crederlo, che gli psicologi sperimentali, in particolare quelli che studiano le fallacie cognitive, tendano a chiudersi nella loro piccola nicchia di expertise. Il disciplinary bias, diffuso in gran parte della conoscenza accademica,194 è quanto mai forte in questa disciplina.

L’impressione che mi è rimasta dopo centinaia di papers letti, è che nella psicologia dei bias venga effettuato uno sforzo enorme per poi poter riuscire a dire molto poco e che, spesso, gli esperimenti siano quasi meri tentativi di conferma empirica di un’intuizione precedente, ma privi della ricerca di uno sviluppo teorico sistematico. Queste critiche non significano che abbia affrontato un campo disciplinare senza alcuna validità. Infatti, spogliando questi dati di una validità scientifica metodologicamente ineccepibile, gli esperimenti fin qui trattati rimangono strumenti empirici ragionevolmente utili a comprendere come gli esseri umani interpretino il mondo. Se è

194 Cfr. R.Klavans, K. W. Boyack, Quantitative evaluation of large maps of science,

vero che hanno pecche, teorizzazioni troppo generiche e risultati dubbi, gli studi raccolti in questo testo ci permettono perlomeno di scartare costruzioni teoriche più antiche e, col