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Infrastrutture e artigianato a supporto del ciclo agrario

3. Il monastero della Santa Croce di Fonte Avellana

3.4 I prodotti della terra

3.4.5 Infrastrutture e artigianato a supporto del ciclo agrario

Tra le principali opere di valorizzazione dei terreni, realizzate nelle pertinenze del monastero, la gestione delle risorse idriche rappresenta sicuramente il maggior apporto innovativo. Le principali opere di sistemazione idraulica riguardavano la realizzazione di bacini per la cattura di acqua piovana132 e di canali artificiali (aquimen o aquimine), la derivazione di fiumi e torrenti133 per costituire un flusso di acque più regolare e costante da usare a fini irrigui o come forza motrice per i mulini idraulici. Vennero, inoltre, realizzate opere di drenaggio dei campi, tramite canali di scolo o di adduzione da una sorgente o da un pozzo per orti e giardini. L’introduzione di miglioramenti e tecniche irrigue sono testimoniati dalla frequenza con cui ricorrono nei documenti termini come aquis e aquinalis.

La più singolare opera di drenaggio che emerge è la mollia134, di solito connessa a una vigna (Chiappa, 2008). Si tratta di un ristagno d’acqua creato ad arte ai piedi del vigneto tramite solchi per rendere asciutto il suolo135. Accanto a questa prima accezione ne compare un’altra in cui il termine invece potrebbe indicare un terreno irriguo soggetto a ristagni, creati dalle precipitazioni atmosferiche oppure dalla tracimazione di grossi corsi d’acqua136. Le mollie dovevano perciò corrispondere a terreni pascolativi se non addirittura, nella stagione estiva a prati irrigui (Fiecconi, 1981).

Particolare rilevanza assumevano inoltre le strutture realizzate a supporto del ciclo agrario, come i monti frumentari e sementieri, necessari per poter

126 CFA Vol. 1, doc., n. 59, a. 1083, pp. 144-145; n. 91, a. 1101, pp. 207-208; n. 131, a. 1119, pp. 289-290; n. 160, a. 1127, pp. 343-344; CFA Vol. 2, doc., n. 202, a. 1144, pp. 21-22; n. 204, a. 1145, pp. 25-26; n. 303, a. 1186, pp. 208-209.

127 CFA Vol. 1, doc., n. 39, a. 1076, pp. 100-102; CFA Vol. 2, doc., n. 357, a. 1196, pp. 329-330; CFA Vol. 1, doc., n. 121, a. 1116, pp. 265-266; n. 144, a. 1122, pp. 312-313; CFA Vol. 2, doc., n. 206, a. 1146, pp. 29-30; n. 220, a. 1149, pp. 55-56.

128 CFA Vol. 1, doc., n. 164, a. 1128, pp. 351-352. 129 CFA Vol. 1, doc., n. 27, a. [1068-1069], pp. 71-72.

130 CFA Vol. 2, doc.,n. 298, a. 1182, pp. 199; n. 321, a. 1190, pp. 249-250; n. 356, a. 1196, pp. 325-328; n. 366, a. 1198, pp. 347-348; n. 371, a. 1199, pp. 357-358.

131 CFA Vol. 1, doc., n. 140, a. 1120, pp. 305-306. 132 CFA Vol. 2, doc., n.372, a. 1199, pp. 359-360.

133 CFA Vol. 1, doc., n. 114, a. 1110, pp. 252-253, Vol. 6, Pergg nn 440-462 Coll. Germ.

134 Mollia (locus cavus per quem aquae decurrunt) C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Bologna 1971.

135 CFA Vol. 2, doc.,n. 237, a. 1154, pp. 89-91. 136 CFA Vol. 2, doc.,n. 223, a. 1149, pp. 61-62.

prestare ai contadini più poveri il grano e l’orzo per la semina; vi erano inoltre magazzini, attrezzi agricoli, di stalla, o per le bestie da lavoro ad uso comune. In pratica tutte le strutture senza di cui nessuna azienda avrebbe potuto funzionare e durare. La capillare divisione del lavoro agricolo praticata nelle pertinenze dell’eremo, le continue opere di valorizzazione dei terreni (dissodamenti e bonifica delle terre) e la necessità di far fronte ai bisogni locali, determinarono la nascita di forme di artigianato locale legate alle attività rurali e in particolare alla fabbricazione di utensili e strumenti da lavoro connessi all’agricoltura. Nelle CFA sono, infatti, ricordate spesso figure come faber, scarpenterus, murator, senescalcus, ecc.

Nell’ambito delle infrastrutture a supporto dell’agricoltura emergono i mulini. La struttura molitoria (molendinus137 o mulinus), sempre collegata a una condotta d’acqua, naturale o artificiale che ne permetteva il funzionamento138, rappresenta una categoria a sé tra gli insediamenti rurali. Essa costituisce, infatti, un complesso rurale a carattere industriale139, che in area avellanita si trovava associato ad altre strutture affini, già esistenti nei secoli XI e XII, quali la salina, la solfenaia, la scotaneta140 e la carbonaria (Chiappa, 2008). In particolare le saline del litorale adriatico141 rifornivano il sale commercializzato nell’entroterra, il cui uso era principalmente legato alla conservazione dei cibi, alla farmacologia, alla concia delle pelli e nelle pratiche liturgiche.

Il mulino, presente soprattutto nelle grandi proprietà signorili ed ecclesiastiche142, giocava un ruolo molto importante nell’economia agricola medioevale. La molitura, infatti, oltre a garantire al proprietario una rendita sicura, permetteva inoltre di verificare le rese della terra, garantendo la sicura riscossione dei canoni (Archetti, 1982). La documentazione fornisce purtroppo, solo scarse e non molto dettagliate descrizioni riguardanti la struttura architettonica e il meccanismo dei mulini143.

L’eremo di Fonte Avellana, tendeva sempre a mantenere la proprietà dei mulini e i diritti su di essi, escludendoli dalle terre concesse e cercando di organizzare una rete compatta di strutture molitorie all’interno delle proprie pertinenze e in particolare lungo la valle del Cesano. Il mulino era considerato un ottimo investimento e la sua installazione divenne una miglioria preferenziale e pertanto favorita144. Sul finire del XII secolo, per i signori laici il mulino sembra

137 CFA Vol. 1, doc.,n. 114, a. 1110, pagg. 252-253.

138 Negli atti notarili per indicare il mulino idraulico compaiono anche i termini aquimolus e aquimulus In alcuni casi isolati compare anche il termine ligatura che veniva ad indicare una gora da mulino, cioè un canale artificiale che serviva ad alimentare le macine.

139 CFA Vol. 2, doc.,n. 297, a. 1182, pp. 196-198.

140 La scotaneta era una piantagione di scotano, un albero utilizzato per tingere le stoffe. 141 CFA Vol. 1, doc.,n. 71, a. 1085, pp. 167-169.

142 L’alto costo degli impianti molitori non poteva essere sostenuto da tutti, cosicché i mulini sono per lo più di proprietà signorile, di enti ecclesiastici e comuni (Bloch, 1970).

143 Un documento interessante a tale proposito potrebbe rivelarsi quello in cui nel 1193 Cecilia dona alla chiesa di Santa Croce di Fonte Avellana alcune sue proprietà tra cui un mulino. Il testo ne descrive alcune parti: “...cursus aquarum et rivas fluminis et rotas et asia et posas et catastas molendinorum cum licentia levandi et ponendi...” CFA Vol. 2, doc.,n. 339, a. 1193, pp 283-284. 144 CFA Vol. 2, doc.,n. 372, a. 1199, pp. 359-360.

assumere un’importanza ancora maggiore (Chiappa, 2008). Anche la figura del mugnaio cambiò: da dipendente del signore diventò libero laborator, una sorta di “operaio specializzato” a tutti gli effetti. Dalle CFA emerge chiaramente come le condizioni fatte dai proprietari laici ai mugnai fossero più pesanti di quelle imposte da Fonte Avellana che effettuava concessioni parziali o in affitto, chiedendo in cambio oneri molto lievi, tentando così di rendere i mulini più produttivi e mantenendone la proprietà e lo ius145.

In linea generale, si concretizzano, quindi, unità agricole autonome e autosufficienti che favorivano, inoltre, l’innovazione tecnica e forme di lavoro anche di natura cooperativa tra i contadini nelle attività produttive e nella realizzazione di opere e grandi lavori stagionali. Vennero quindi migliorate le abitazioni dei coloni, che tra il X e XIII secolo abiteranno sia nei piccoli centri rurali che nelle pievi, nelle corti, nelle ville (borghi colonici accentrati), nei casali (insediamenti plurifamiliari di case rurali) e casalini, (gruppi di piccole case rustiche ma anche case singole sui fondi), in singole146 abitazioni sparse nei poderi (casalino, casa, domus), e si realizzano piccoli borghi, anche fortificati, al fine di permettere alle famiglie coloniche di poter vivere insieme, dignitosamente e raggiungere facilmente i loro lotti terrieri.

Figura 31 – Mulino ad acqua, miniatura del XIV secolo. Fonte: Archivio di Luciano Benassi.

145 CFA Vol. 1, doc., n. 15, a. [1060], pp. 36-39; n. 114, a. 1110, pp. 252-253; n. 121, a. 1116, pp. 265-266; n. 137, a. 1120, p. 301; n. 147, a. 1122, pp. 318-319; n. 150, a. 11[10] o 11[25], pp. 324- 325; n. 156, a. 1126, p. 336; n. 185, a. 1136, pp. 397-398; CFA Vol. 2, doc., n. 216, a. 1148, pp. 47- 48; n. 232, a. 1152, pp. 79-81; n. 242, a. 1155, pp. 98-99; n. 257, a. 1160, p. 128; n. 260, a. 1161, pp. 133- 135; n. 280, a. 1172, pp. 165-166; n. 297, a. 1182, pp. 196-197; n. 303, a. 1186, pp. 208- 209; n. 304, a. 1186, pp. 210-212; n. 342, a. 1194, pp. 291-293; n. 353, a. 1196, pp. 319-320; n. 356, a. 1196, pp. 325-328; n. 370, a. 1199, pp. 355-356.

146 Questo era dovuto anche ad alcuni contratti agrari, dove veniva previsto l’obbligo della residenza sul fondo per il colono.

All’interno di queste “unità produttive aziendali” si univano al bene terra diversi insediamenti colonici, i borghi e le chiese, gli hospitium, i magazzini e le domus puerorum147, i mulini, i frantoi, gli accessi, i pozzi e i sistemi irrigui, il bosco, i pascoli e le aree incolte, e si andava così costituendo una vera e propria rete rurale strettamente interconnessa che nella gestione diretta dell’eremo trovava supporto e indirizzo. Anche diversi castra (castelli o semplici costruzioni fortificate), con le rispettive curtes, risultano fortemente influenzati dall’eremo, in particolare quelli presenti sul versante orientale del Monte Catria. Connessi ai castelli vi sono, infatti, i terreni, lavorati e utilizzati da piccoli proprietari, concessionari o affittuari a vario titolo.

Gli hospitale rappresentavano importanti punti di riferimento per il territorio. Presenti nelle vicinanze dei monasteri o edificati nei punti di più intenso transito venivano promossi grazie alle donazioni di famiglie nobili e gestiti dai monaci in opere assistenziali per le popolazioni rurali, ma anche come ricoveri per poveri, viandanti e malati. Altri insediamenti sparsi, ma sempre dipendenti dall’eremo, erano le cellas vel ecclesias agrorum, complessi agricoli, spesso sotto la protezione di un castello, adibiti alla coltivazione e all’allevamento di animali, dove venivano mandati i monaci malati e bisognosi di una più ricca alimentazione di carne.

Infine, divenne strumento di gestione della terra anche il denaro. Versare liquidità contro l’immobilità dei beni agrari era un modo per creare nuovi rapporti di autosufficienza e il pegno diventava un modo usuale per dare liquidità a chi possedeva e gestiva i terreni. Aumentavano i prestiti in denaro ai contadini, che a differenza dei prestiti usuali, spesso usura camuffata, l’eremo riscattava in cambio di parte dei prodotti del raccolto e l’assicurazione alla permanenza sul fondo della famiglia contadina.

Grazie anche all’aumento della liquidità le attività artigianali e del piccolo commercio incominciarono a diffondersi e si sviluppò così una uova economia di mercato. Nelle Chartulae venditionis si incomincia a parlare di denaro come forma di pagamento. Esempi di pagamenti in contanti per la permuta e l’acquisto di terra si hanno già nel 1076 e nel 1094, dove si registrano ben 13 atti di acquisto.

147 Abitazioni sparse nel contado, utilizzate stagionalmente per accogliere la manodopera avventizia.