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Le proprietà collettive nella Regione Marche

3. Il monastero della Santa Croce di Fonte Avellana

3.8 Le proprietà collettive e l’Università Agraria degli Uomini Originari d

3.8.1 Le proprietà collettive nella Regione Marche

Le forme antiche di godimento delle risorse da parte di gruppi umani, costituiscono un aspetto fondamentale e interessante di tutta la montagna Marchigiana. Le numerose associazioni agrarie presenti sul territorio marchigiano sono una forte testimonianza di quel collettivismo agrario che si incontra spessissimo nelle zone montane dell’Appennino centrale italiano. La precaria natura del clima e le difficili condizioni strutturali dei terreni di montagna e le loro scarse rese, sono gli elementi di affermazione di tali strutture socio economiche. Tali territori, infatti, si addicono alla gestione collettiva, che su grandi estensioni, trova facilmente sostento con la coltivazione del bosco e lo sfruttamento del pascolo.

Le forme organizzate di società contadine, già negli antichissimi tempi dei latini, vedevano la forma consortile quale organizzazione efficiente per il sostentamento di nuclei familiari anche numerosi. Ben presto tali modelli hanno lasciato spazio a forme individuali di coltivazione agricola, anche grazie al miglioramento delle pratiche di coltivazione dei territori di pianura, marginando i domini collettivi nelle aree montane interne della regione.

Con le invasioni barbariche lungo l’adriatico, si ebbe un abbandono dei territori che subivano con frequenza saccheggi e razzie e il ritorno delle popolazioni verso aree montane, in cui gli abitanti delle numerose città picene costruirono e abitarono castelli e ville, riorganizzando la vita sociale e la lavorazione della terra, ritornando a modelli che seppur superati, erano svolti in aree più sicure anche se meno fertili. Proprio in questa fase si ebbe la creazione di Comunità famigliari che per necessità di coltivazione in aree in cui le risorse scarseggiavano o anche per potersi difendere dall’attacco di forestieri o dalle prepotenze di qualche signorotto locale. Tutto ciò trova conferma nella pagine del Nobili-Vitelleschi che sottolinea quanto segue:

La piccola proprietà non riuscirebbe a sopravvivere nelle zone montane, sia perché per porne un bosco ceduo a rotazione occorre una grande estensione, non potendosi procedere nel taglio saltuariamente ed entro il confine di ristretti appezzamenti e sia perché il pascolo per esercitarsi, ha bisogno di grandi estensioni di terreno.196

Con l’affermarsi nel medioevo la struttura politico-sociale del sistema feudale si evolve e i grossi centri cittadini aumentano la loro importanza economica e sociale diventando anche centri verso cui nuclei sociali più piccoli chiedevano protezione in cambio della concessione delle terre (accomendatio), mantenendo però il diritto di utilizzo all’uso e al godimento delle stesse. Questi poi, assunto il potere politico delle terre, le retrocedevano in uso ai popolani stessi.

In questo contesto nell’area marchigiana si ebbe una profonda trasformazione della libera proprietà e l’uso di un certo territorio da parte delle numerose Comunità Famigliari presenti nei territori montani. In questo modo le proprietà collettive perdono il loro diritto di pieno dominio sui beni mantenendo

196 Atti della giunta per l’inchiesta agraria sulla condizione della classe agricola, Roma 1884, Vol. XI, Tomo II.

la concessione di esercitare un uso civico essenziale per il soddisfacimento dei bisogni della vita. Solo alcune Comunità Famigliari riescono tenacemente a tenere la propria autonomia a fianco del Comune. Con l’affermarsi dei grossi centri urbani nell’area pedemontana, i coltivatori di tali terre sono indotti a estendere disboscamenti e dissodamenti confinando la gestione degli usi civici, in aree montane meno appetibili per le esigenze di un’agricoltura in fase di sviluppo.

Nei secoli successivi si assiste a una progressiva spartizione fra le famiglie di utenti per l’utilizzo di queste aree a scopo agricolo. Così la legislazione, negli stati preunitari e più tardi nel Regno Italico, si orienta verso leggi e provvedimenti di abolizione tendendo alla trasformazione della proprietà collettiva in private. Per le provincie pontificie, soprattutto il Motu proprio di Pio VII del 1801, decretando la demanializzazione, l’incameramento e la successiva vendita dei beni comunali, frazionali e collettivi, mette in moto un lungo e complesso movimento di proprietà per cui queste terre, delle quali le popolazioni godono ab immemorabili, passano, sempre gravate di servitù, nelle mani di ricchi proprietari privati i quali, presto o tardi, entrano in conflitto con gli utenti per la definizione dei rispettivi diritti.

Quelle che restano invendute sono retrocesse ai comuni e solo in pochi casi tornano subito alla collettività degli utilisti che, consorziati in associazione privata (Comunanza o Università Agraria), riacquistano, con anni di vicissitudini le terre in piena libertà, come nel caso, dell’Università Agraria degli uomini Originari (UUOO) di Frontone (Anselmi, 1979)

La prima indagine storica sulle comunanze agrarie delle Marche risale all’inchiesta agraria Jacini del 1884 (Fratesi, 2009). La rilevazione statistica dell’inchiesta identifica un numero elevato di Comunanze pari a 356 e una superficie complessiva di circa 22 mila ettari.

Tabella 1 - Le Comunanze Agrarie nelle Marche secondo l’inchiesta Jacini.

Provincie Macerata Pesaro Urbino Piceno Ascoli Ancona Tot.a

Numero Comunanze 72,0 46,0 171,0 67,0 356,0

Superficie (ha) 7.180,5 6.957,3 6.957,3 2.126,5 22.340,6

% comunanze su totale

Regione 32,1 31,1 27,2 9,5 100,0

% su SAT provincie 2,68 2,52 3,06 1,14

Fonte: Inchiesta agraria Jacini, Appendice statistica, 1884. (SAT: Superficie Agricola Totale).

Negli anni le proprietà collettive regionali hanno subito numerose evoluzioni, rendendo la classificazione e l’identificazione piuttosto complessa. Una seconda indicazione sulla ripartizione delle Comunanze Agrarie marchigiane, suddivise per provincia, superficie agricola e ordinamento colturale viene realizzata nel 1953 dal Ciaffi. Altre ricostruzioni storico geografiche (Cerreti, 1983; Melelli, 1983; Gobbi, 1988; Lussu, 1989) con proprie ricognizioni storiche

derivate dalle diverse inchieste agrarie, a partire da quella Jacini fino alle più recenti, dichiarano differenti consistenze di tali beni .

Lo studio condotto da Finco et al. nel 2006 tenta una quantificazione delle comunanze alla luce delle analisi effettuate. Gli autori sottolineano che i dati che vengono prodotti devono essere trattati con cautela perché forniscono un ordine di grandezza del patrimonio collettivo che va opportunamente verificato e attualizzato attraverso indagini locali dedicate. Secondo questo studio le comunanze agrarie interessano tutte le quattro province marchigiane e sono in totale 264, meno numerose di quanto rilevato dall’Inchiesta Jacini, ma con una estensione di territorio agro-forestale molto più vasta rispetto a quanto presentato dalla prima inchiesta. Se rapportate alla SAU regionale, le comunanze agrarie nel complesso ricoprono l’8% della superficie agricola utile regionale.

Tabella 2 – Le Comunanze Agrarie nella Regione Marche (stima del 2006).

Provincie Macerata Pesaro Urbino Piceno Ascoli Ancona Tot.

Numero Comunanze 66 23 101 74 264 Superficie (ha) 19.529 8.092 8.553 4.715 40.890 % comunanze su tot. Regione 48 20 21 12 100 % comunanze su SAU provincie 13 6 8 4 8

Fonte: elaborazioni Finco et al. (2006).

Le comunanze ricadono prevalentemente in zona montana, sia a seguito dei processi di privatizzazione dei terreni arabili, sia per la coincidenza con l’utilizzazione agro-silvo-pastorale tradizionali. In particolare le attività di pascolo necessitavano di estensioni relativamente ampie e continue in determinati ambienti e la gestione di estensioni così ampie difficilmente poteva avvenire, in certi contesti storici, nell’ambito della proprietà privata.

Rapportando la consistenza dei beni di godimento collettivo alla superficie agricola montana della regione (pari a circa 208 mila ettari), risulta che le comunanze gestiscono potenzialmente il 20% del territorio montano regionale (tab. 3). In una dimensione provinciale, Macerata e Ascoli, investono rispettivamente il 34% e il 23% del territorio montano, quindi una dimensione considerevole. L’analisi dello scenario rivela soprattutto nel caso di Macerata un’evidente relazione con l’attività zootecnica a tutt’oggi molto dinamica all’interno di questo territorio provinciale.

Le attività economiche delle comunanze legate alle originarie fonti di sostentamento, rimangono l’utilizzazione delle risorse boschive e dei pascoli, e a queste, in alcuni casi, si aggiungono i proventi derivanti da altri servizi (mulini, frantoi, forni) e dagli affitti dei terreni coltivabili. In passato vi potevano essere delle attività alternative, come per esempio l’attività forestale registrata nel 1832 (Gobbi, 1994) sui faggeti e castagneti nelle comunanze di Sarnano, Montemonaco e Montefortino, che oltre legnatico vedeva la produzione del

tannino estratto sia dalla pianta dello scotano che dalla corteccia del castagno e che serviva per la concia delle pelli.

Sul territorio maceratese (Forti et al.,1992; Finco et al., 2006), alcune comunanze continuano ancora oggi ad essere attive a differenza di altre che sembrano aver patito la totale marginalizzazione. Alcune realtà si sono costituite in Consorzi forestali per la gestione del patrimonio boschivo e la vendita di legname. Al di là dei dati di estensione globali risulta interessante ricordare che vi sono proprietà comuni con estensioni cospicue che quindi gestiscono potenzialmente un patrimonio ambientale di grande valore, come nel caso dell’UUOO di Frontone con circa duemila ettari (Finco e Valentini, 2008). Tabella 3 – Le Comunanze Agrarie e superficie agricola montana nella regione Marche.

Provincie Macerata Pesaro Urbino Piceno Ancona Ascoli Tot.

Sup. totale montana (ha) 56.767,4 70.715,0 37.265,7 43.901,6 208.649,9 % su sup. montana

provincie 34,4 11,4 23,0 10,7

% sup. comunanze/sup.

montana Regione. 9,4 3,9 4,1 2,3 19,6

Fonte: elaborazioni Finco et al. (2006).

Nel comprensorio del Monte Caria in Provincia di Pesaro e Urbino e più precisamente nel comune di Frontone, ha tutt’oggi sede l’Università degli Uomini Originari di Frontone. Una società di Frontonesi, aventi dominio Collettivo sulle montagne del Monte Catria, del Monte Acuto e del Monte Tenetra, riconosciuto e tutelato dallo Stato come ente morale per gli effetti della Legge del 4 agosto 1894 n. 397197. Il patrimonio collettivo si estende oggi su di una superficie di 2.111 ettari circa, dove la proprietà dei beni appartiene all’Ente, mentre l’usufrutto e l’amministrazione ai condomini o soci e ai loro discendenti in perpetuo.

Nel passato queste superfici hanno rappresentato una risorsa indispensabile nell’economia agrosilvopastore locale. Per i frontonesi sotto certi aspetti lo ha tuttora, anche se oggi, per le mutate condizioni dei tempi si rende sempre più difficile l’utilizzo e l’utile che ne deriva è sempre meno consistente(Celestini, 1988).