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2. Il monachesimo

2.2 La Regola di San Benedetto

La prima manifestazione di una forma cenobitica organizzata in occidente, si ebbe con Martino di Tours († 397), che intorno al 370 fondò una serie di monasteri in Francia. Verso la fine del IV secolo, il monachesimo gallo-romano si diffuse ulteriormente, affermandosi anche nelle isole e sulle coste del Mediterraneo, in Italia, in Spagna e in Irlanda con figure quali san Girolamo († 420), che tradusse in latino, agli inizi del V secolo, il sistema di regole pacomiane, Cassiano († 435) e san Patrizio († 461). Tutte queste prime formazioni monastiche furono nel tempo segnate profondamente dalla Regola di san Benedetto da Norcia (480-547), che costituì nei secoli successivi il modello più seguito. Egli portò a sintesi le esperienze passate e codificò definitivamente i caratteri del cenobitismo occidentale in cui la vita monastica non è più vista come fuga dal mondo, bensì come preciso impegno sociale. La vita di san Benedetto è stata scritta9 da san Gregorio Magno (540-604), il papa che conferì al monachesimo occidentale un orientamento chiaramente cenobitico, con un forte accento missionario.

Benedetto nacque a Norcia da un’agiata famiglia e fu inviato a Roma per gli studi. Deluso dal clima decadente della città, determinato anche dalla contesa del supremo pontificato, si ritirò nella solitudine pressoché assoluta ad Affile per dedicarsi alla vita religiosa. Dopo un aspro percorso spirituale, secondo la tradizione viene invitato, a seguito della morte dell’abate, ad assumere il governo del monastero di Vicovaro (45 km da Roma, lungo la Tiburtina Valeria). Ma i tentativi di Benedetto di creare i presupposti per una nuova vita spirituale si infrangono contro l’ostinata volontà dei monaci. Riprende il suo percorso per una nuova vita spirituale accompagnato da un numeroso gruppo di seguaci che lo riconoscono come maestro.

L’idea di vita monastica di Benedetto è quella cenobitica degli illustri esempi d’oriente, in cui la comunità, autonoma e indipendente, vede i monaci vivere insieme condividendo gli stessi spazi sotto la guida di un abate, padre di una grande famiglia. La figura del capo della famiglia monastica, il padre cui guardano tutti i figli, tra loro fratelli, aiuta a mettere a fuoco il significato e l’intensità dei legami sentimentali e affettivi che si instauravano all’interno dei monasteri. Con questo spirito fondò così dodici piccoli monasteri10, ognuno con dodici monaci e un proprio abate e tutti sotto la sua guida spirituale. Tra il 525 e il 529 decise di abbandonare Subiaco e si diresse verso Cassino, dove edificò il tredicesimo monastero dedicandosi alla formazione dei discepoli. È proprio a Cassino che si edifica un monastero e si realizza quell’ideale monastico maturato in lunghi anni di vita contemplativa.

La costruzione di Montecassino vede Benedetto impegnato come architetto e organizzatore della nuova struttura. Sull’idea architettonica della villa romana il monastero rappresenta, quindi, la casa in cui la comunità dei frati rimane

9 Secondo libro dei Dialoghi, composti fra il 593 e il 594.

10 Dei dodici monasteri voluti da San Benedetto nella valle sublacense, l'unico sopravvissuto fu quello di Santa Scolastica, che, sino alla fine del XII secolo, fu il solo monastero di Subiaco. In origine si chiamò "Monastero di San Silvestro", successivamente (IX secolo) fu detto "Monastero di San Benedetto e di Santa Scolastica" e nel XIV secolo prese il nome attuale.

separata dal mondo e assolutamente disinteressata a esso. Viene ripreso quanto già presente nella tradizione, ovvero seguire totalmente il Cristo nell’imitazione della prima comunità apostolica. Qui san Benedetto scrisse nel 534 la sua Sancta Regula , sul modello delle esperienze monastiche orientali di san Pacomio, di san Basilio di Cesarea e della letteratura già esistente. Combinò l’insistenza sulla disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali, al servizio del Signore.

La Regola consiste di un prologo e 73 capitoli, e definisce, in un piano coerente e dettagliato, l’organizzazione della comunità. I cardini del cenobio, secondo Benedetto, devono essere la stabilitas loci e la conversatio11. La comunità monastica deve, quindi, vivere in una singola costruzione o in un complesso di edifici, sotto la direzione di un abate eletto dai confratelli. I novizi devono verificare per un anno intero la loro vocazione all’attitudine per la vita monastica rinunciando a ogni proprietà personale; al termine prendono i voti impegnandosi a osservare le regole della comunità e rimanendo con essa fino alla morte. La vita monastica benedettina è una vita contemplativa in cui viene data particolare importanza alla celebrazione liturgica e alla pratica della lectio divina12, che medita sulle Sacre Scritture e le attualizza. Nel complesso la Regola, con la sua assoluta autorità, è una guida eminentemente pratica, sia per la gestione di una comunità cenobitica sia per la vita spirituale del monaco. I capisaldi della vita benedettina, opus Dei, lectio divina e opus manuum (Opera di Dio, studio delle cose divine, lavoro manuale) scandiscono i tempi e le giornate dei monaci.

Riassunti nel successivo motto ora et labora, sintetizzano l’ideale di vita benedettino che nei secoli successivi caratterizzerà l’evoluzione del monachesimo cristiano e in particolare la rivalutazione del concetto di lavoro. In particolare Benedetto dedica a esso il capitolo 48 della Regola, in cui si afferma che “i monaci devono, senza lamentarsi, aiutare, perché allora sono veri monaci, quando vivono col lavoro delle loro mani, come i nostri padri e gli Apostoli”. Per la Regola, il monastero poteva possedere costruzioni e terreni ma nella maggior parte dei casi il lavoro della terra esterna all’edificio doveva essere eseguito da affittuari. Inoltre, san Benedetto, obbligando i monaci a vivere all’interno del monastero, impedì loro una diretta partecipazione alla cura delle anime e li distolse da ogni attività politica. Nonostante la preferenza per la vita cenobitica, Benedetto approvava la professione eremitica, pur considerandola rara e anche piuttosto pericolosa. Era quindi possibile, anche durante tutto il medioevo, che a qualche distanza dal monastero vi fosse la presenza di pratiche eremitiche, spesso portate avanti da membri della stessa comunità.

Coloro che sceglievano questo stile di vita dovevano comunque prima compiere la loro formazione nella comunità, perché “coloro che non sono in

11 L'obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso monastero e la buona condotta morale, la pietà reciproca e l'obbedienza all'abate.

12 La lectio divina era la quotidiana lettura meditata e spirituale delle Sacre Scritture, dell’Antico e del Nuovo Testamento volta alla ricerca di Dio attraverso la Sua parola. Tale pratica era ben conosciuta al monachesimo delle origini e consisteva in un esercizio di lettura e di ripetizione delle parole fino ad imparare il testo a memoria: la ruminatio della Sacra Scrittura.

quel fervore di vita monastica ch’è proprio dei principianti, ma han percorso un lungo tirocinio nel monastero, e addestratisi con l’aiuto di molti, sono già divenuti esperti a combattere contro il demonio; sicché dalla lotta sostenuta insieme con i fratelli son bene esercitati per il combattimento singolare della solitudine”.

Figura 11 – Particolare dell’affresco di G.A. Bazzi (c.a. 1505); Monaci a pranzo nel refettorio dell’Abbazia di Chiaravalle Milanese.