QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE
PERCORSI GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
2. Implicazioni di struttura
3.1. Intimidazione esterna …
La cifra dell’associazione mafiosa, sebbene l’art. 416-bis, comma terzo, cod.
pen. non prenda posizione sulla qualificazione come interna o come esterna dell’efficacia intimidatoria del vincolo associativo e dei conseguenti assoggettamento ed omertà, per l’effetto includendo nell’area della rilevanza penale anche l’efficacia intimidatoria interna, è la prospezione verso l’esterno, più che della “potenza”, della “prepotenza”, a venire in linea di conto, l’associazione nascendo per agire nell’ambiente su cui ambisce di proiettare il proprio dominio.
La giurisprudenza dimostra di avere acquisito consapevolezza di ciò sin dalle prime pronunce sull’art. 416-bis cod. pen., se è vero che già nella lontana Sez. 5, n. 4307 del 19/12/1997, Magnelli, Rv. 211071-01 si specifica come, «ai fini della sussistenza del reato di associazione di tipo mafioso[,] l’intimidazione interna al sodalizio, pur se rilevante sotto il profilo dell’estrinsecazione del metodo mafioso, non può prescindere dall’intimidazione esterna, poiché elemento caratteristico dell’associazione in questione è il riverbero, la proiezione esterna, il radicamento nel territorio in cui essa vive; assoggettamento ed omertà devono pertanto
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riferirsi […] ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo i terzi a trovarsi, per effetto della diffusa convinzione della loro esposizione a pericolo, in stato di soggezione di fronte alla forza dei ‘prevaricanti’».
3.2. (Segue) … con particolare riferimento alle mafie etniche.
La «carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo», dunque, deve avere una dimensione inevitabilmente, sebbene non solo, esterna: «si manifesta [anzitutto] internamente attraverso l’adozione di uno stretto regime di controllo degli associati» e – in un momento “logicamente”, ma non di necessità
“temporalmente”, successivo – «si proietta anche all’esterno attraverso un’opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale»: interessante è rilevare come tali affermazioni si leggano in Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Lee, Rv. 269747-01, che ha ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 416-bis cod. pen. il gruppo criminale nigeriano noto come “Eye”, particolarmente attivo in Castel Volturno nelle attività di sfruttamento della prostituzione e di narcotraffico.
In relazione «alla articolazione locale [abruzzese-marchigiana] “Pesha Nest”
[nuovamente] della associazione nigeriana “Eiye”» (o Eye), sovviene ora – a definire la carica intimidatrice propriamente esterna come fattispecie di accumulo di un serbatoio di agiti minacciosi assistiti da un’effettiva capacità di far ricorso alla violenza – un’altra pronuncia della medesima Sezione, Sez. 2, n. 14225 del 13/01/2021, Johnson, Rv. 281126-01, alla quale si debbono due affermazioni di principio meritevoli di essere ricordate:
- da un lato, quella per cui, sebbene, «per la prova del reato[, sia] necessario che sia dimostrata l'esistenza di una forza di intimidazione accumulata attraverso la consumazione di delitti a base violenta idonei ad ingenerare timore», tuttavia
«tali azioni violente non devono essere necessariamente contestuali alle condotte di partecipazione, potendo preesistere alle stesse; né è necessario che il singolo partecipe abbia posto in essere direttamente le azioni che hanno contribuito a consolidare il capitale criminale del sodalizio»;
- dall’altro lato, quella per cui, «per le mafie a base etnica, la forza di intimidazione del gruppo non deve essere necessariamente diretta all'assoggettamento della popolazione di un territorio, ma può anche essere funzionale al controllo ed alla sottomissione di un gruppo di persone ristretto in quanto facente capo ad una medesima comunità».
CAPITOLO V - PERCORSI GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
103 In conclusione, si rintraccia, nell’impostazione della giurisprudenza, la tensione dell’associazione di tipo mafioso all’egemonia tipica di un ordinamento (come plasticamente traspare dall’osservazione espressa in motivazione da Sez.
2, n. 14225 del 2021, par. 1.1.6, p. 6, a termini della quale «l'associazione Eiye pur non essendo diretta alla occupazione di un territorio è orientata verso l'accrescimento del potere di controllo sulle comunità nigeriane, profilandosi come una associazione antistatuale su base entica con finalità aggregante»).
L’associazione di tipo mafioso ambisce ad imporsi come ordinamento, che è qualificabile come tale pur quando frontalmente antigiuridico e che, come tale, affermatosi di imperio al proprio interno, ossia nei confronti dei propri adepti, proietta all’esterno un’assoluta capacità di dominio, oltreché sul “quisque de populo”, in quanto «strumento indiretto o passivo o, quanto meno, testimon[e]
mut[o] dei delitti e degli illeciti commessi dal sodalizio criminale» (Sez. 6, n. 2402 del 23/06/1999, D’Alessandro, Rv. 214923-01), anche sui delinquenti in concorrenza, o comunque sui malfattori non passivi e non muti, in quanto semplicemente soccombenti rispetto al monopolio della forza illecita esercitato dal sodalizio stesso.
4. Articolazioni territoriali delle associazioni di tipo mafioso, partecipazione all’una o all’altra ed immutazione del fatto ai sensi dell’art.
521 cod. proc. pen.
Il riferimento di Sez. 2, n. 14225 del 2021, ad un’articolazione locale del sodalizio “Eiye” (o “Eye”) offre l’occasione di accennare al tema delle partizioni interne delle associazioni di tipo mafioso.
È stato affermato che non ricorre una violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.
qualora l’imputato, rinviato a giudizio per la condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, sia stato ritenuto responsabile di aver preso parte ad una diversa articolazione locale della stessa organizzazione criminale operante nel medesimo territorio, atteso che ciò non comporta un’inammissibile immutazione del fatto, ma una sua «mera specificazione», in ragione soltanto di una «diversa denominazione del gruppo criminale di riferimento». Il principio è stato enunciato da Sez. 5, n. 14888 del 17/02/2021, D'Onofrio, Rv. 281040-02, in materia di concrezioni ’ndranghetiste torinesi, con riferimento alla partecipazione di un imputato alla ’ndrangheta, a seguito della ritenuta – dai giudici di merito nei numerosi gradi di giudizio che si sono susseguiti anche a seguito di sentenze di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione – inesistenza della “cabina di regia” definita “crimine”).
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5.1. L’apparente paradosso del rinverdire del tema della carica