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Duplice necessità avvertita dalle Sezioni Unite: arginare la deriva dell’affermazione di sufficienza della sola adesione formale e precisare dell’affermazione di sufficienza della sola adesione formale e precisare

QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE

AFFILIAZIONE RITUALE, GRAVE INDIZIO DI PARTECIPAZIONE AD ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO. ANALISI DEGLI SNODI

9. Duplice necessità avvertita dalle Sezioni Unite: arginare la deriva dell’affermazione di sufficienza della sola adesione formale e precisare dell’affermazione di sufficienza della sola adesione formale e precisare

l’imperfetta formulazione dell’art. 416, comma primo, cod. pen.

Fatte le superiori puntualizzazioni, nella progressione motivazionale della sentenza in commento – secondo il tracciato che poc’anzi s’è cercato di illuminare – verso l’approdo della risoluzione della quaestio relativa all’entità della rilevanza dell’affiliazione rituale, un momento essenziale è rappresentato dalla disamina della natura del delitto di partecipazione.

I “profili” che legittimano le Sezioni Unite, le quali ne rendono esplicitamente conto, ad addentrarsi in tale disamina sono due:

- il primo, di carattere generale-sistemico, è enunciato in apertura della discussione in diritto, laddove Esse – riassumendo i contenuti dell’ordinanza di rimessione, che ritengono metta in guardia dal rischio d’una doppia «deriva ermeneutica», costituita dalla «sufficienza, attraverso indebiti automatismi probatori, della

CAPITOLO VI - AFFILIAZIONE RITUALE, GRAVE INDIZIO DI PARTECIPAZIONE AD ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO

137 sola adesione formale ad una cosca criminale ai fini della configurabilità del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa» e dalla «necessità della realizzazione di condotte causali strumentalmente orientate verso gli obiettivi dell'associazione ai fini della punibilità» – si proiettano alla «ricerca di un punto di equilibrio tra l'esigenza di non lasciare impunite forme di reità di particolare allarme sociale e il rispetto dei principi costituzionali in materia penale»;

- il secondo, di carattere particolare-esegetico, afferisce direttamente alla formulazione dell’art. 416-bis, comma primo, cod. pen., dacché, premesso che il novum conseguente all’introduzione della previsione del delitto di associazione di tipo mafioso «è rappresentato dal fulcro dell’incriminazione, incentrato sul metodo utilizzato dagli adepti», l’«imperfezione terminologica [della disposizione incriminatrice], influenzata dalla dimensione sociologica del fenomeno e dalla realtà empirico-criminologica di volta in volta interessata», «ha obbligato dottrina e giurisprudenza ad una complessa attività ermeneutica con forti sollecitazioni “evolutive”».

10.1. Osservazioni su detta duplice necessità. Quanto al primo profilo … Entrambi i suddetti profili sono estremamente densi di significati, che non è possibile approfondire in questa sede.

Ci si consente tuttavia di brevemente accennare a due considerazioni relative, rispettivamente, all’uno e all’altro.

Con riferimento al primo profilo, la ricerca del suddetto «punto di equilibrio», che dovrebbe realisticamente esprimere un “punto di medietà” tra la «sola adesione formale» e la «realizzazione di condotte causali», pare porsi in tensione con l’obiezione, collocantesi a monte della ricerca di qualsivoglia punto di equilibrio o medietà, secondo cui, come rilevato dall’Ufficio della Procura Generale, «utilizzare il paradigma causale in relazione al rituale di affiliazione costituirebbe un […] errore» – prima ancora che «pratico, perché» – come già visto – «trasformerebbe in un problema di diritto sostanziale, con ricadute astratte e generali, un classico problema di prova» – intrinsecamente

«dogmatico, perché finirebbe per modificare per via giurisprudenziale la struttura legale del reato, individuando un evento non tipizzato, preesistente rispetto alla sua causa (la condotta partecipativa)».

10.2. (Segue) … e quanto al secondo.

Con riferimento al secondo profilo, la ritenuta «imperfezione terminologica»

affliggente l’art. 416-bis cod. pen., in particolare con riguardo al suo comma primo, da rapportarsi però anche al terzo, denota una certa qual presa di distanze delle Sezioni Unite rispetto all’interpretazione del dettato normativo seguita dalle medesime a partire dalla sentenza n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199388-01.

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Più nel dettaglio: nella sentenza Demitry – fattasi carico di superare la tesi secondo cui non vi sarebbe spazio per la configurabilità del concorso esterno in quanto la condotta del concorrente sarebbe in toto sovrapponibile a quella del partecipe – leggesi che partecipe «è colui che fa parte dell'associazione, è colui che - come si esprime la sentenza 3663/94 della sezione feriale - "entra nell'associazione e ne diventa parte". [… I]l legislatore, nell'usare la locuzione "far parte" rispetto alla formula "per il solo fatto di partecipare", adottata in pressoché tutti gli altri reati associativi, "ha avuto consapevolezza di una peculiare caratterizzazione del rapporto associato-associazione nel contesto mafioso, consapevolezza che si è tradotta, normativamente, in una maggiore tipizzazione della figura del partecipe". "[… U]na condotta, per essere considerata aderente al tipo […], deve rispecchiare un grado di compenetrazione del soggetto con l'organismo criminale tale da potersi sostenere che egli, appunto, faccia parte di esso"»: talché, mentre, secondo la sentenza Demitry – che, riprendendo Sez. F., n. 3663 del 01/09/1994, Graci, edifica le fondamenta su cui sono sviluppati gli insegnamenti di tutte le successive pronunce delle Sezioni Unite sino ad oggi [in progressione: sentenza Mannino 1;

Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002 (dep. 2003), Carnevale, e Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino (breviter, Mannino 2)] – il «far parte» dell’art. 416-bis, comma primo, cod. pen. costituisce espressione, non già d’una minore, ma all’opposto d’una «maggiore tipizzazione della figura del partecipe» rispetto agli altri reati associativi cd. puri, con in testa l’associazione per delinquere semplice (art. 416 cod. pen.), oggi, invece, stante la lettera della sentenza in commento, l’«imperfezione terminologica» dell’art. 416-bis cod. pen. espone il fianco ad un deficit di tassatività della fattispecie, che, in ragione d’una insufficiente caratterizzazione sociologico-criminologica, necessita di essere ricostruita in chiave sistemica.

10.3. (Segue) … con particolare riguardo alla non coincidenza tra la sentenza in commento e gli arresti precedenti.

Ora, tenuto conto che la sentenza in commento si pone purtuttavia in linea di continuità rispetto alla sentenza Demitry, seguita soprattutto dalla sentenza Mannino 2, con riguardo alla scissione dell’indagine sulla condotta di partecipazione nei due piani dei requisiti di fattispecie e della prova, sembrerebbe aprirsi la necessità di verificare se, in rapporto al primo di detti piani, l’evidenziato disallineamento della sentenza in commento rispetto alla sentenza Demitry, e quindi implicitamente anche rispetto alla sentenza Mannino 2, in punto di esegesi del «far parte» dell’associazione, comporti, di riflesso, un ripensamento dell’assetto dei rapporti tra partecipazione e concorso esterno.

Trattasi di un’esigenza che potrebbe trovare un’ulteriore duplice ragion d’essere:

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139 - anzitutto, in relazione all’avvicinamento della sentenza in commento alla prospettiva delle «derivazioni causali» tra esercizio del metodo mafioso e condizioni di omertà ed assoggettamento che ne derivano, di cui all’adesivamente richiamata Sez. 6, n. 9001 del 02/07/2019, dep. 2020, Demasi, Rv. 278617-01, dal momento che, consistendo tralaticiamente l’essenza del concorso esterno nell’offerta d’un contributo causalmente rilevante per la vita dell’associazione, sovviene di doversi distinguere la causalità partecipativa da quella (solo) concorsuale;

- secondariamente, in relazione alla mutata cornice delle coordinate attinenti, di per sé, al concorso esterno a seguito di Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, Chioccini, secondo cui, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, è «innegabilmente» richiesta «la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi», dal momento che siffatta più strenue caratterizzazione del dolo dell’elemento circostanziale rispetto al dolo generico del concorrente esterno (alla stregua della sentenza Mannino 2), a sua volta contrapposto al dolo specifico del partecipe, sembrerebbe implicare un’esigenza di intensificazione del dolo del concorrente esterno, che tuttavia, se portato al livello del dolo specifico, si distinguerebbe (come del resto affermato dalle sentenze ante e post litteram non coordinate con l’insegnamento della sentenza Mannino 2) per il sol fatto che il partecipe vuole, mentre il concorrente non vuole, far parte dell’associazione.

11. Natura del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. secondo le Sezioni Unite.

In relazione, dunque, alla natura del reato, par di potersi affermare che le Sezioni Unite tratteggino la partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso come reato di pericolo concreto.

La ragione della cautela nel (sommessamente tentare di) proporre un’interpretazione del pensiero delle Sezioni Unite sul punto sarà chiara subito in appresso.

In prima battuta, affermano Esse che non si può «mettere in dubbio la natura di reato di pericolo, atteso che le finalità programmatiche del sodalizio costituiscono la fonte di un pericolo incombente per l'ordine pubblico, l'ordine economico e la collettività intera in sé considerata e nell'esercizio dei propri diritti».

In seconda battuta, affrontando il significato da attribuire alla formula «si avvalgono» (art. 416-bis, comma terzo, cod. pen.: «L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva […]»), e pervenendo al rilievo – nella ricostruzione di quello di cui all’art. 416-bis cod. pen. come «un

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reato a struttura "mista" o "complessa"», richiedente «un quid pluris rispetto alla sola organizzazione pluripersonale e al programma criminoso» – della centralità, non delle finalità perseguite dall’associazione di tipo mafioso, bensì dal metodo per perseguirle, i.e. il cd. metodo mafioso, giungono alla conclusione che «forza intimidatrice del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà costituiscono altrettanti elementi necessari ed essenziali» per l’integrazione della fattispecie, il cui elemento caratterizzante è dunque «una vis che, promanante dal vincolo associativo, è capace di generare» – ossia creare e quindi causalmente determinare –

«una condizione di assoggettamento e di omertà», fermo tuttavia che «la necessità che la capacità intimidatrice sia formata, esternata ed obiettivamente percepita» va disgiunta dalle

«modalità (del tutto "libere") con cui tale capacità si esteriorizza, potendo prescindere da

"contenuti" di violenza e minaccia». Siffatta caratterizzazione della vis la qualifica – ad avviso delle Sezioni Unite – alla stregua di una «carica intimidatoria, spesso identificata come "fama criminale", che rappresenta una sorta di "avviamento" grazie al quale l'organizzazione mafiosa proietta le sue attività nel futuro».

In terza battuta, guadagnano le Sezioni Unite la qualifica di concretezza del pericolo sul rilievo che «occorre che il sodalizio mafioso, nel contesto di riferimento, abbia realizzato una capacità intimidatrice effettiva ed obiettivamente riscontrabile», così da «essere

“concretamente” [enfasi nell’originale] in grado di porre in pericolo l'ordine pubblico, l'ordine economico e la libertà di partecipazione alla vita politica, non essendo sufficiente il mero pericolo che i suoi elementi costitutivi possano manifestarsi».

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