QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE
3. Traffico di influenze e millantato credito
3.1. La tesi della continuità normativa
Secondo una prima opzione interpretativa, sussiste continuità normativa tra il reato di millanteria formalmente abrogato e quello di traffico di influenze, atteso che in quest’ultima fattispecie risulta attualmente ricompresa anche la condotta di chi, vantando un’influenza - meramente asserita - presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità per remunerare il pubblico agente (Sez. 6, n. 1869 del 07/10/2020, dep.
2021, Gangi, Rv. 280348; ricollegandosi a Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, dep.
2017, Rigano, Rv. 269735 e in continuità con Sez. 6, n. 17980 del 14/03/2019, Nigro, Rv. 275730. Nello stesso senso Sez. 1, n. 23877 del 05/05/2021, Abbondandolo, Rv. 281614).
In una tale direzione orienta la genesi della norma.
Se, in primo tempo, il "millantare credito" era stato interpretato esclusivamente come vanteria di un’influenza inesistente, successivamente, avuto riguardo al bene interesse tutelato dall’art. 346 cod. pen. – costituito dal prestigio della pubblica amministrazione e non invece dal patrimonio del solvens - si era ritenuto che ad integrare il reato rilevasse anche solo il vanto dell’influenza sul pubblico ufficiale; una tale prospettazione, quali che fossero i rapporti
CAPITOLO III - IL TRAFFICO DI INFLUENZE: LA PROBLEMATICA NOZIONE DELLA MEDIAZIONE ILLECITA ED I RAPPORTI CON LE FIGURE CRIMINOSE CONTIGUE
83 effettivamente intrattenuti con esso dall’agente, offende in ogni caso l’immagine della pubblica amministrazione (v. ex plurimis, Sez. 6, n. 16255 del 04/03/2003, Pirosu, Rv. 224872; Sez. 6, n. 13479, del 17/03/2010, D'Alessio, Rv. 246734).
È esistita, dunque, una figura di millantato credito, di matrice giurisprudenziale, che ha costituito l’antesignano dell’art. 346-bis cod. pen., siccome prescindente dalla esistenza effettiva delle relazioni vantate dal trafficante.
Proprio alla luce di tale ermeneusi e tenuto conto delle indicazioni evincibili dalla Relazione alla novella del 2019, che ha dichiaratamente perseguito una abrogatio sine abolitione – con indicazione non vincolante per l’interprete, ma che non può essere ignorata in presenza di un testo normativo con essa obiettivamente compatibile - si è affermata la tesi della continuità normativa tra l’ipotesi prevista dall’art. 346, comma secondo, cod. pen. ed il rinovellato art. 346-bis cod. pen.
Depone nella stessa direzione la comparazione tra gli elementi di struttura tra le fattispecie incriminatrici.
Difatti, salvo che:
a) per la previsione della punibilità del c.d. compratore di fumo, ossia del soggetto il quale intenda trarre vantaggi da tale influenza, ai sensi del comma secondo del novellato art. 346-bis cod. pen. (non contenuta nella pregressa ipotesi di millantato credito, nell’ambito della quale questi assumeva, al contrario, la veste di danneggiato dal reato);
b) per la non perfetta coincidenza fra le figure-bersaglio, verso le quali la millanteria poteva essere espletata (il "pubblico ufficiale" e l' "impiegato che presti un pubblico servizio", nell’abrogato art. 346 cod. pen.; il
"pubblico ufficiale" e l’ "incaricato di un pubblico servizio", quanto a quest’ultimo a prescindere dall’esistenza di un rapporto impiegatizio, nell’attuale art. 346-bis cod. pen. );
ossia per profili nel complesso esterni al nucleo della incriminazione, il cui disvalore rimane invariato, quel che rileva è la sostanziale sovrapponibilità sia della condotta strumentale (stante l’equipollenza semantica fra le espressioni
"sfruttando o vantando relazioni (...) asserite" e "millantando credito") dei due reati, sia della condotta "principale", consistente nella ricezione o promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità.
In questa linea ricostruttiva, la più recente Sez. 6, n. 35581 del 12/05/2021, Grasso, Rv. 281996, ha evidenziato, a favore della tesi della continuità, che la fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen. è stata introdotta per estendere l’area della rilevanza penale, senza alcun intento selettivo rispetto alle situazioni già sanzionate, ma per ampliarne, semmai, lo spazio, risultando indubbiamente
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funzionale a tale fine la valorizzazione nel tessuto normativo del fine cui la condotta è orientata.
Sez. 1, n. 23877 del 05/05/2021, Abbondandolo, Rv. 281614, aderendo alla impostazione che individua un rapporto di successione tra le due norme incriminatrici, ha diffusamente argomentato che non vi è ragione di accedere a letture restrittive dell’inciso "relazioni...asserite", poiché sarebbe in tal modo svilito il significato della contrapposizione che si rinviene nella disposizione di cui all’art. 346-bis cod. pen., tra dette relazioni e le "relazioni esistenti".
"Asserite" sono dunque le relazioni fatte oggetto di vanteria senza un minimo dato di realtà, cioè quelle inesistenti, e la loro spendita è tratto di condotta che ben può assorbire il richiamo, operato dalla norma abrogata, al "pretesto" di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale, perché in ambedue i casi si prescinde dall’ancoraggio della condotta ad un dato preesistente, ossia ad una relazione effettivamente in essere col pubblico ufficiale.
Né può dirsi che, così interpretato il sintagma "relazioni...asserite", la norma incriminatrice non sia più funzionale alla protezione del bene giuridico cui è preordinata, atteso che anche gli accordi conclusi non già all’insaputa di un pubblico ufficiale ignaro, bensì in mancanza di una qualche relazione di conoscenza con chi assicura di poter intervenire in modo da incidere sulle sue determinazioni, costituiscono un pericoloso, ancorché eventuale, antecedente delle più gravi condotte corruttive e meritano pertanto la stessa considerazione, in via di anticipazione della soglia di punibilità.
Si è osservato, nelle diverse pronunce citate, che ove si sostenesse che la condotta già incriminata dall’art. 346, comma secondo, cod. pen. debba invece refluire nella norma-rete della truffa - come vedremo essere sostenuto da coloro che negano la continuità normativa tra le fattispecie in comparazione – sarebbe ribaltata, sul piano assiologico, la voluntas legis, posto che la millanteria sarebbe punita meno gravemente rispetto a quanto sarebbe avvenuto nella vigenza dell’art. 346 cod. pen. ed anche della condotta di cui all’art. 346-bis cod. pen. per l’ipotesi della remunerazione del mediatore, che, invece, dal previgente art. 346 (primo comma) era sanzionata meno gravemente e, dunque, ritenuta espressiva di un minor disvalore penale.
Peraltro, non può non tenersi conto della diversità di oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 17642 del 19/02/2003, Di Maio ed altro, Rv. 227138); motivo, questo, per il quale si era in passato ipotizzato il concorso tra i due reati (Sez. 6, n. 9470 del 05/11/2009 (dep. 2010), Sighinolfi, Rv. 246399), alla condizione che alla millanteria si accompagnasse un’ulteriore attività ingannatoria, costituita, ad esempio, dalla predisposizione di atti falsi (Sez.
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85 6, n. 9960 del 28/12/2016 (dep. 2017), Grasso, Rv. 269755); lì dove il concorso tra le dette fattispecie incriminatrici è stato più di recente ritenuto non configurabile da Sez. 6, n. 35581 del 12/05/2021, Grasso, Rv. 281996, determinandosi l’assorbimento della truffa nel traffico nell’ipotesi in cui la mendace prospettazione da parte del trader, al privato interessato, di un futuro vantaggio e della necessità, a tal fine, di remunerare sé stesso od un ipotetico pubblico agente, sia vestita da ulteriori comportamenti decettivi.
Alla tesi contraria alla continuità normativa osterebbe, infine, un dato incontrovertibile, costituito dalla sottoposizione a pena, ai sensi dell’art. 346-bis, del "compratore di fumo", il quale sia altresì vittima dell’ipotizzata truffa; e ciò perché non appare logicamente concepibile, anche sul piano della conseguente responsabilità civile, l’attribuzione al medesimo soggetto di un ruolo ancipite, di correo e di vittima, in rapporto alla medesima condotta.