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La nozione di mediazione illecita

QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE

1. La nozione di mediazione illecita

A pochi anni di vita dalla sua introduzione, avvenuta con legge 6 novembre 2012, n. 190, e sebbene in parte riscritta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, la fattispecie incriminatrice del traffico di influenze ha evidenziato non pochi aspetti di complessità interpretativa.

L’art. 346-bis cod. pen. delinea, allo stato, due condotte tra loro alternative, che differiscono in ordine al profilo giustificativo della promessa/dazione del compratore di influenze.

Nella prima ipotesi (mediazione c.d. onerosa) l’erogazione indebita costituisce il corrispettivo della mediazione illecita e vale a remunerare lo stesso trafficante.

Nella seconda (mediazione c.d. gratuita) la corresponsione è effettuata all’intermediario affinché questi, a sua volta, remuneri il pubblico agente in relazione all’esercizio delle sue funzioni o poteri. L’utilitas promessa o erogata dal

"cliente" costituisce il prezzo che l’intermediario dovrà versare al pubblico agente per ottenere uno specifico atto dell'ufficio, al fine di "asservirlo" stabilmente, o semplicemente per instaurare una relazione privilegiata per il futuro.

Nell’ambito della descritta struttura bipolare (in cui onerosità e gratuità vengono declinate dalla prospettiva del trader), la novella del 2019 ha poi ulteriormente riconfigurato la fattispecie, espandendone l’area applicativa.

Basti pensare che, se, nel testo previgente, il prezzo della mediazione, a prescindere dalla natura onerosa o gratuita del traffico, doveva comunque essere finalizzato all’ottenimento di un atto antidoveroso - identificabile nel compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio ovvero nella omissione o nel ritardo di un atto dell’ufficio – e tale previsione aveva una innegabile funzione selettiva, nel nuovo paradigma tale proiezione finalistica realizza un’aggravante, enunciata nel comma 4, parte seconda, dell’art. 346-bis cod. pen.

Stefania Riccio

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Ciò in coerenza con la nuova struttura della norma che, come si intuisce dall’ampliamento della clausola di illiceità speciale, realizza un presidio di tutela anticipata per ogni tipo di corruzione, anche di tipo funzionale (connotata, questa, dalla dematerializzazione dell’atto).

Ebbene, a fronte di una fattispecie così ridisegnata, uno snodo irrisolto era costituito dalla previsione del requisito di illiceità speciale costituito dalla illiceità della mediazione c.d. onerosa, requisito di illiceità che non è peraltro l’unico, essendo stabilito, altresì, che l’erogazione, nelle forme della dazione o promessa del danaro o di altra utilità, avvenga "indebitamente".

Sez. 6, n. 40518 del 08/07/2021, Alemanno, Rv. 282119 ha messo a fuoco il sintagma "mediazione illecita" – già al centro delle riflessioni della dottrina, per la sua ambiguità semantica – e lo ha fatto muovendo dal presupposto che l’illiceità riferita alla mediazione non possa essere svalutata, come se si trattasse di un predicato meramente pleonastico.

Con attenta opera ricostruttiva, in via preliminare la Corte ha individuato il nucleo dell’antigiuridicità penale della fattispecie non tanto nello sfruttamento (effettivo o meramente asserito) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il trafficante consegue la dazione o promessa), quanto nella "influenza illecita" esercitata sull’attività della pubblica amministrazione o sui soggetti istituzionali evocati dalla norma.

In particolare, attraverso l’equiparazione, in termini sanzionatori, della intermediazione finalizzata alla corruzione del pubblico agente e della mediazione "illecita", il legislatore ha voluto porre l’accento tonico sulla proiezione finalistica della condotta, la quale deve essere orientata, in ogni caso, alla commissione di un illecito.

Detto altrimenti, la prestazione di una interferenza illecita deve costituire l’oggetto del sinallagma tra le parti (le quali, nell’attuale assetto, rispondono entrambe, data la struttura bilaterale del reato).

Le difficoltà per l’interprete derivano, e ne è consapevole la Corte, dall’assenza di una disciplina extrapenale del lobbying, inteso quale rappresentanza di interessi particolari presso decisori pubblici che, in altre moderne democrazie pluralistiche, costituisce pratica fisiologica e positivizzata2.

2 Si segnala, nell’Unione Europea, l’lnterinstitutional agreement on a common Transparency Register between the Parliament and the Commission del 23 giugno 2011, secondo cui «Rientrano nell'ambito di applicazione del registro tutte le attività svolte allo scopo di influenzare, direttamente o indirettamente, l'elaborazione o l'attuazione delle politiche e i processi decisionali delle

CAPITOLO III - IL TRAFFICO DI INFLUENZE: LA PROBLEMATICA NOZIONE DELLA MEDIAZIONE ILLECITA ED I RAPPORTI CON LE FIGURE CRIMINOSE CONTIGUE

79 L’interesse per il tema è accentuato, come messo in evidenza da acuta dottrina, dall’emersione di sempre più numerosi e potenti centri di interesse, che operano quali corpi intermedi tra i singoli cittadini e i decisori pubblici, ad integrare un modello dinamico di democrazia rappresentativa, ovvero un

«modello di democrazia 'ragionevole' (di ispirazione anglosassone) dove, circolarmente, partiti, interessi settoriali e verità parziali ( ... ) si confrontano e si scontrano fra loro, offrendo al decisore pubblico un ventaglio di opzioni da portare a sintesi in nome dell’interesse generale».

Consapevole, si diceva, della mancanza di un sostrato di disciplina del

lobbysmo che certamente avrebbe agevolato il compito ricostruttivo, la sentenza Alemanno evidenzia come il deficit di determinatezza derivante dalla tecnica di formulazione dell’art. 346-bis cod. pen. rechi in sé il rischio di attrarre nell’area di rilevanza penale “a discapito del principio di legalità, le più svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, connotate anche solo da opacità o scarsa trasparenza, ovvero quel

"sottobosco" di contatti informali o di aderenze difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologici, quanto all’interesse perseguito”.

Di qui la necessità di preferire una ermeneusi che riduca il più possibile quanto di ambiguo vi è nel testo della norma, per ancorarsi ad elementi certi.

Su questa base metodologica, si è ritenuto che l’unica lettura che consenta di soddisfare l’istanza di tassatività è, allo stato, quella che valorizza il fine cui la mediazione è preordinata, sicché la mediazione intanto può dirsi illecita in quanto sia finalizzata alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente.

Una tale prospettiva, di tipo teleologico, appare coerente con le istanze di tutela che avevano ispirato l’introduzione del reato di cui all’art. 346-bis cod. pen., su impulso delle fonti pattizie sovranazionali (art. 12 della Convenzione di Strasburgo del 1999, ratificata dall’Italia con legge 28 giugno 2012, n. 118 e art.

istituzioni dell'Unione, a prescindere dai canali o mezzi di comunicazione impiegati, quali l’esternalizzazione, i media, i contratti con intermediari spedalizzati, i centri di studi, le

«piattaforme», i forum, le campagne e le iniziative adottate a livello locale. Dette attività comprendono, inter alia, i contatti con membri, funzionari o altro personale delle istituzioni dell'Unione, la preparazione, la divulgazione e la trasmissione di lettere, materiale informativo o documenti di dibattito e di sintesi, e l’organizzazione di eventi, riunioni, attività promozionali e iniziative sociali o conferenze, cui siano stati invitati membri, funzionari o altro personale delle istituzioni dell'Unione. Sono altresì inclusi i contributi volontari e la partecipazione a consultazioni formali su futuri atti legislativi o altri atti giuridici dell'Unione ovvero ad altre consultazioni aperte».

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18 della Convenzione di Merida del 2003, ratificata con legge 3 agosto 2009, n.

116).

In particolare, con la criminalizzazione del traffico di influenze si sono voluti perseguire accordi prodromici ai reati di corruzione - secondo una tecnica di anticipazione della tutela dei valori di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione - aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente, al punto che si è parlato in dottrina di un “microsistema scalare a lesività crescente”, disegnato dalla disciplina riformata dei reati contro la pubblica amministrazione, in cui si collocano, nell’ordine, i reati di traffico di influenze, di corruzione per l’esercizio della funzione e di corruzione propria.

Ancora, nel delimitare il reato dalle fattispecie contigue, la Corte si muove lungo la direttrice tracciata da Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, (dep. 2020), Bolla, Rv. 279555, la quale aveva già individuato, quale limite negativo del traffico, l’assenza di un’effettiva corruzione dei soggetti pubblici con i quali il mediatore svolge l’attività di mediazione; e ciò in quanto la clausola di esclusione espressa con cui la norma esordisce, ampliata dall’intervento di riforma più recente, esige che non vi sia concorso in alcuna delle fattispecie corruttive indicate dalla stessa norma. Qualora il pagamento indebito programmato andasse a buon fine, si realizzerebbe, difatti, un concorso trilaterale in corruzione tra gli aderenti al patto d’influenza e il pubblico ufficiale indebitamente remunerato.

Sez. 6, n. 1182 del 14/10/21 (dep. 2022), Guarnieri, Rv. 282453, ragionando nella medesima prospettiva, sostiene che non può costituire oggetto di incriminazione il contratto di mediazione di per sé, diversamente ponendosi la fattispecie incriminatrice in attrito con i principi, oltre che di tipicità, di materialità del fatto e di offensività.

Il mero sfruttamento di una relazione personale – effettiva o potenziale - tra il trafficante e il pubblico agente-bersaglio non può invero assumere rilevanza penale quando le parti aspirino al conseguimento di un obiettivo lecito, che sia solo propiziato dall’intervento del tradens.

Del resto, che la connotazione di illiceità della mediazione non possa identificarsi nella difformità dal tipo legale, id est nella illegittimità del negozio, è impostazione coerente con la condivisa interpretazione per la quale la figura di mediazione evocata dalla norma incriminatrice non si identifica esclusivamente con il contratto tipico disciplinato dagli artt. 1754 e ss. cod. civ., dovendo ritenersi incluso nella previsione anche quel sistema di relazioni informali riferibili alle figure di facilitatori, faccendieri o, genericamente, procacciatori d’affari, che sfuggono ad una precisa classificazione ed alla riconduzione nel detto schema giuridico civilistico.

CAPITOLO III - IL TRAFFICO DI INFLUENZE: LA PROBLEMATICA NOZIONE DELLA MEDIAZIONE ILLECITA ED I RAPPORTI CON LE FIGURE CRIMINOSE CONTIGUE

81 Anche la sentenza Guarnieri correla l’illiceità della mediazione onerosa allo

"scopo", dell’attività d’influenza.

La mediazione si connota come illecita se la volontà delle parti è orientata alla commissione di un reato potenzialmente foriero di vantaggi per il compratore di influenze, di modo che essa possa ritenersi espressione della intenzione di inquinare l’esercizio della funzione del pubblico agente, di condizionarlo, di alterare la comparazione degli interessi; di compromettere, in altri termini, l’uso stesso della discrezionalità.

La pronuncia in rassegna analizza, altresì, il profilo processuale dell’accertamento della illiceità, evidenziando come il quantum dimostrativo richiesto sia diversamente modulato a seconda dello stato in cui il procedimento si trova. Potranno assumere rilievo, a tali fini, «le aspettative specifiche del committente, cioè il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che si intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto».

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