QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE
LA CONFIGURABILITÀ DEL REATO COMPLESSO NELL’IPOTESI DI ATTI PERSECUTORI SEGUITI DA OMICIDIO DELLA VITTIMA
3. La soluzione delle Sezioni Unite
Al fine di dirimere l’alternativa rimessa, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dovere in primis perimetrare il tema di indagine, così da evitare improprie commistioni tra categorie giuridiche che vanno, invece, tenute distinte.
Viene al riguardo confermato che, ai fini della soluzione del contrasto, non possano assumere rilevanza né la norma sul concorso apparente di norme (art.
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15 cod. pen.), né, per altro verso, la clausola di riserva contenuta nell’art. 612-bis cod. pen.
Quanto all’art. 15 cod. pen., la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha invero chiarito che il principio di astratta specialità (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668), costituente l’unico criterio risolutivo del concorso apparente di norme, implica una comparazione strutturale fra le fattispecie astratte, analizzate in tutti i diversi elementi costitutivi che concorrono a definirle, perché è solo un tale raffronto che permette di individuare la convergenza tra norme e, dunque, di affermare la applicabilità esclusiva di una sola tra esse (Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864).
E’ già stato chiarito dagli indirizzi in contrasto che un tale raffronto all'evidenza non è possibile quanto alle fattispecie incriminatrici dell’omicidio e degli atti persecutori, le quali non presentano requisiti di struttura sovrapponibili né con riguardo alle condotte, né con riguardo agli eventi.
E del resto, ad esiti analoghi si perverrebbe anche ove si applicasse il criterio c.d. valoriale di soluzione del conflitto apparente - oramai superato dall’elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite - fondato sulla omogeneità degli interessi tutelati (Sez. 5, n. 13164 del 01/10/1999, Melluccio, Rv. 214712), essendo i reati a raffronto offensivi l’uno della vita, l’altro della libertà morale della persona.
Allo stesso modo, la radicale difformità strutturale delle fattispecie incriminatrici dell'omicidio e degli atti persecutori impedisce l’operatività della clausola di riserva di cui all’art. 612-bis cod. pen., non potendo il fatto persecutorio integrare di per sé il fatto omicidiario.
Al contrario – prestando convinta adesione al secondo degli orientamenti in contrasto - le Sezioni Unite sanciscono che unico referente normativo per la soluzione della questione resta l'art. 84 cod. pen., anche per i termini nei quali il quesito stesso è stato formulato, dovendosi verificare se l’ipotesi in cui l’omicidio abbia costituito l'acme degli atti persecutori in danno della vittima sia o meno riconducibile al paradigma del reato complesso, che detta norma disciplina, con conseguente inoperatività dei meccanismi di cumulo sanzionatorio.
L’operazione interpretativa da compiere pone la necessità di definire, in primis, i tratti strutturali che identificano il reato complesso.
Nell’ambito di tale categoria dogmatica, caratterizzata da un eccesso definitorio e classificatorio quasi esasperante, tra interpretazioni restrittive ed estensive, il caso posto al vaglio delle Sezioni Unite impone di confrontarsi con il cd. reato complesso circostanziato, nel quale, ad una fattispecie-base prevista
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39 come reato – l’omicidio - si aggiunge, quale circostanza aggravante, un fatto autonomamente incriminato da altra disposizione di legge – gli atti persecutori.
Tanto premesso, la Corte osserva, che, ai fini della configurabilità del reato complesso, data l’inequivoca ed insuperabile formulazione testuale della norma, occorre che i reati che lo compongono siano inseriti nella sua struttura nella loro completa configurazione tipica ed inoltre che essi costituiscano componenti necessarie del reato e non invece occasionali modalità esecutive della condotta (onde l’estraneità alla categoria del «reato eventualmente complesso»).
Accanto a tali requisiti, ulteriori connotazioni del reato complesso le Sezioni Unite deducono dalla ratio e dalla collocazione dell’istituto.
In particolare, l'unificazione legislativa dei reati postula un substrato sostanziale costituito da:
- l’unicità del contesto criminoso, essendo necessaria la contestualità, sia pure per un limitato segmento temporale, delle condotte;
- la comune matrice ideologica, dovendo i fatti di reato unificati convergere verso una unitaria direzione finalistica.
Si tratta di elementi aggreganti che la norma, nella sua formulazione
“minimalista”, non menziona, ma impliciti nel duplice riferimento alla identità della vittima e dell’autore ad esprimere.
Tanto impone di individuare un vincolo connettivo tra reati in presenza del quale soltanto ha senso il trattamento sanzionatorio di massimo rigore previsto per l’ipotesi aggravata.
A fronte del vivace dibattito dottrinale teso ad identificare il principio generale del quale l’art. 84 sarebbe espressione - di volta in volta rinvenuto in quelli della specialità in concreto, della sussidiarietà, della consunzione o del ne bis in idem sostanziale, nonché della specialità in astratto quale fondamento dell'art.
15 cod. pen., di cui, secondo una tradizionale impostazione, l'art. 84 sarebbe una sostanziale duplicazione – le Sezioni Unite ritengono che il reato complesso sia una tipica proiezione normativa del ne bis in idem sostanziale, principio di matrice europeista - che trova riconoscimento, quale diritto fondamentale dell'individuo, nell'art. 4 Prot. 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - ma oggetto di recente e reiterata affermazione nella giurisprudenza costituzionale.
In questa scia si collocano:
- Corte cost., sent. n. 200 del 2016, che ha ribadito i criteri per identificare la medesimezza del fatto ex art. 649 cod. proc. pen., la quale ricorre quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, comprensivo di condotta, evento, nesso di causalità, nelle circostanze di tempo, di luogo e di
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persona della sua verificazione (mentre resta estraneo alla nozione il profilo dell’inquadramento giuridico);
- Corte cost., sent. n. 43 del 2018, in cui la Consulta ha dato atto dell’evoluzione progressiva, in ambito eurounitario, della nozione di ne bis in idem, inteso inizialmente come divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro e, di seguito – proprio per l’impatto della sentenza della Corte EDU, A e B c. Norvegia del 2016 - come facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi, nella sostanza, come preordinati ad un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva;
- Corte cost. n. 236 del 2016, pronunciatasi in relazione ai limiti edittali del reato di alterazione di stato di cui all’art. 567 cod. pen., sulla necessaria proporzionalità tra illecito e pena, ormai assurta a canone di sistema, riconosciuto dall’art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti fondamentali di Nizza, così come ritenuto dalla giurisprudenza di Strasburgo, in relazione all’art. 3 della Convenzione EDU.
Ragionando in questa prospettiva, la previsione edittale della pena dell'ergastolo appare alla Corte ampiamente adeguata rispetto ad un fatto complessivo che comprende sia l'offensività propria dell’omicidio che quella conseguente alla condotta persecutoria (né l’eventuale neutralizzazione della aggravante, per effetto del bilanciamento con elementi di attenuazione della pena, ove ritenuti equivalenti o prevalenti, può assumere rilevanza in senso contrario).
Premesso tale inquadramento teorico in ordine ai criteri che permettono di individuare un reato complesso, le Sezioni Unite ritengono che i requisiti per la ravvisabilità di tale figura siano tutti sussistenti nella fattispecie aggravata del reato di omicidio di cui all'art. 576, primo comma, n. 5.1, cod. pen. rispetto al reato di atti persecutori.
Anzitutto, la fattispecie tipica di atti persecutori entra nella struttura della previsione circostanziale, da un lato attraverso la citazione testuale della relativa norma incriminatrice, dall’altro attraverso la prevista identità dell’autore e della vittima della relativa condotta, ossia dei soggetti fra i quali si svolge l'azione persecutoria.
A suffragare questa interpretazione vi è il contenuto dei lavori preparatori al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, introduttivo della inedita circostanza aggravante in esame, volta a reprimere, attraverso la previsione della pena massima dell’ergastolo in funzione dissuasiva, un fenomeno criminologico drammaticamente ingravescente, ossia l’omicidio posto in essere, in una escalation di vessazioni e condotte prevaricatrici, al culmine degli atti persecutori nei confronti della vittima, da parte dell’autore di tali atti.
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41 Dunque, è coerente con le ragioni della introduzione della ipotesi circostanziale una lettura per cui i fatti di omicidio volontario e di atti persecutori siano connotati da unitarietà spazio temporale, sia pure limitatamente all’ultimo segmento del reato abituale, e da una ottica finalistica unitaria.
La pronuncia affronta poi l’ulteriore snodo ermeneutico derivante dalla imperfetta tecnica redazionale della norma, la cui catalogazione come n. 5.1 dell’art. 576 cod. pen., quasi si trattasse di un sottotipo della aggravante cd.
sessuale dell’omicidio di cui al precedente n. 5, non risulta esente da ambiguità.
Secondo la Corte nella sua massima espressione nomofilattica, il fatto che nella disposizione di cui al n. 5.1 non sia espressamente prevista la contestualità dei fatti di omicidio e degli atti persecutori – invece contemplata per la disposizione di cui al n. 5, in cui l'omicidio si affianca a reati di maltrattamenti, lesioni deformanti, prostituzione e pornografia minorile, violenza sessuale - assume un peculiare significato; se, per i casi di cui al n. 5, il nesso di occasionalità limita alla mera contestualità dei fatti il presupposto dell'assorbimento nel delitto di omicidio degli altri reati ivi indicati, di contro, l'assenza del riferimento a questa correlazione, nella formulazione di cui n. 5.1 dell'art. 576 cod. pen., ha l’effetto di far riespandere il presupposto sostanziale del reato complesso nella sua interezza.
In tale ipotesi, di conseguenza, oltre alla contestualità dei fatti criminosi l’assorbimento presuppone anche l'unicità di prospettiva finalistica tra omicidio ed atti persecutori.
Dunque, nelle due circostanze viene in rilievo una diversa soglia di configurabilità del reato complesso, modulata anche sul differente disvalore dei reati che si accompagnano all’omicidio.
Da ultimo, le Sezioni Unite valutano inconferente, e comunque inidonea a scalfire il paradigma legale così come ricostruito, la giurisprudenza di legittimità che ammette, invece, il concorso fra i reati di atti persecutori e di lesioni personali.
Il riferimento è a Sez. 5, n. 11409 del 08/10/2015, dep. 2016, C., Rv. 266341, la quale ha ritenuto procedibile il reato di atti persecutori, in quanto connesso con quello di lesioni, anche nel caso in cui la procedibilità d'ufficio per quest'ultimo delitto sia determinata dalla contestazione dell'aggravante in discussione. Si tratta di un arresto che non rileva perché il concorso apparente di cui all'art. 15 cod. pen. è stato escluso per l’inesistenza di un rapporto di specialità fra le relative norme incriminatrici, tenuto conto sia degli elementi strutturali dei reati che della loro oggettività giuridica (Sez. 5, n. 10051 del 19/01/2017, B., Rv.
269456; Sez. 5, n. 54923 del 08/06/2016, V., Rv. 268408), ma che non affronta la diversa questione dell'applicabilità o meno della disciplina del reato complesso ex art. 84 cod. pen.
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Gli effetti distorsivi derivanti dal possibile assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di lesioni che, pur tenuto conto dell'aumento di pena previsto dall'art. 585 cod. pen. per la richiamata aggravante, resta comunque meno gravemente punito, sarebbero ad ogni modo depotenziati nella loro ricorrenza, in quanto i fatti causativi delle lesioni personali (normalmente collaterali agli atti persecutori, il cui obiettivo primario è la sopraffazione della vittima) difficilmente potranno essere valutati come inclusi nella prospettiva finalistica del contesto persecutorio, con la conseguenza che i due reati manterranno la loro autonomia e specifica offensività.
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43 Indice delle sentenze citate
Sentenze della Corte di cassazione
Sez. 3, n. 698 del 30/11/2006, dep. 2007, Maccarrone, Rv. 236073 Sez. 3, n. 21335 del 15/04/2010, L. Rv. 247633
Sez. 1, n. 29167 del 26/05/2017, Nwajobi, Rv. 270281
Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, dep. 2018, Ghelli, Rv. 272839, n.m. sul punto Sez. 1, n. 20786 del 12/04/2019, P., Rv. 275481
Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Barbato, Rv. 280774 Sez. 3, n. 30931 del 13/10/2020, G., Rv. 280101
Sez. 6, n. 14402 del 05/11/2020, dep. 2021, Bovo, Rv. 280966 Sezioni Unite
Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donelli, Rv 231799, Rv. 231800 Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302
Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962
Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722 Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668
Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902 Corte costituzionale
Corte cost., sent. n. 249 del 2010 Corte cost., sent. n. 200 del 2016 Corte cost., sent. n. 236 del 2016 Corte cost., sent. n. 38 del 2018
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Corte EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8/06/1976
Corte EDU, Grande Camera, Zolotukhin c. Russia, 10/02/2009 Corte EDU, Grande Stevens e altri c. Italia, 4/03/2014
Corte EDU, A. e B. c. Norvegia, 15/11/2016 Corte di Giustizia Europea
CGE, Grande sez., 20 marzo 2018, Menci, C-524/15 CGE, Garlsson Real Estate SA e altri C. Consob C-537/16 CGE, Di Puma e Zecca c. Consob, C 596/16, C-597/16
SEZIONE II