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I termini del contrasto

QUESTIONI DI DIRITTO SOSTANZIALE

LA CONFIGURABILITÀ DEL REATO COMPLESSO NELL’IPOTESI DI ATTI PERSECUTORI SEGUITI DA OMICIDIO DELLA VITTIMA

2. I termini del contrasto

2.1 L’orientamento a favore del concorso di reati

Una prima pronuncia (Sez. 1, n. 20786 del 12/04/2019, P., Rv. 275481) aveva ritenuto configurabile il concorso di reati tra il delitto di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma 1, n. 5.1. cod. pen. e quello di atti persecutori, non sussistendo relazione di specialità tra le rispettive fattispecie.

Il presupposto logico-giuridico di tale assunto è che l’art. 84 cod. pen., norma regolativa del reato complesso, riguardi l’interferenza tra fattispecie incriminatrici, in particolare tra gli elementi oggettivi dei rispettivi tipi normativi.

Stefania Riccio

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Dalla lettera della disposizione, lì dove stabilisce che il concorso di reati non opera quando la legge considera come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un solo reato fatti che costituiscono, per sé stessi, reato, si evince difatti, che l’accento tonico è posto su fatti, ossia su accadimenti umani; e per fatti devono intendersi elementi oggettivi e non invece la relazione, meramente soggettiva, tra l’accadimento e il suo autore.

Al contrario, il legislatore ha posto in risalto, nella configurazione dell’aggravante in disamina, l’identità soggettiva dell’autore della condotta omicidiaria e di quella persecutoria, lasciando comprendere che il disvalore aggiuntivo che colora di gravità la condotta sta nell’essere l’autore del fatto omicidiario la stessa persona che ha in precedenza oppresso la vittima con atti persecutori e ha ricevuto una notevole spinta criminosa dal contesto di sopraffazione in cui si è strutturata la relazione con la stessa.

Se, dunque, l’elemento aggravante ha natura soggettiva e prescinde dalle note modali della condotta, consegue che non vi è relazione di interferenza tra le fattispecie incriminatrici; e, del resto, anche gli eventi alternativamente previsti dall’art. 612-bis cod. pen. non attingono la integrità fisica e nulla hanno a che vedere con l’evento morte, tipico del delitto di omicidio.

Di qui la ritenuta compatibilità tra i detti reati, che ben possono concorrere, perché il delitto di atti persecutori, di natura abituale e a condotta tipizzata, non involge la commissione dell’omicidio, reato che è invece a consumazione istantanea e a struttura causalmente orientata.

L’opzione interpretativa espressa dalla Prima sezione è supportata da Sez.

U., n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668, per la quale il criterio di individuazione del concorso apparente di norme si impernia sugli stessi criteri valutativi del rapporto di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., basato sulla comparazione astratta tra fattispecie; onde l’assorbimento va escluso quando le fattispecie non evidenzino, come nel caso in scrutinio, affinità sul piano strutturale.

2.2. L’orientamento che ravvisa un concorso apparente di norme.

In consapevole contrasto con tale arresto, quanto alla alternativa esegetica unicità/pluralità di reati, si poneva Sez. 3, n. 30931 del 13/10/2020, G., Rv.

280101, da cui è stato estrapolato il seguente principio di diritto: “Sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di atti persecutori e quello di omicidio (nella specie, tentato) aggravato ex art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., che deve considerarsi quale reato complesso ai sensi dell'art. 84, comma primo, cod. pen., assorbendo integralmente il disvalore

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35 della fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa”.

La decisione evidenzia che, sebbene l’art. 576, comma 1, n. 5.1 cod. pen. dia effettivamente rilevanza al fatto che l’omicidio sia commesso “dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della persona offesa”, tuttavia

“l’infelice e incerta formulazione della norma non può giustificarne un’interpretazione soggettivistica, incentrata sul tipo d’autore, senza considerare che la pena si giustifica non per ciò che l’agente è, ma per ciò che ha fatto”.

In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che sia stato preceduto da condotte persecutorie tragicamente culminate, appunto, nella soppressione della vita dell’offeso, come ben evidenziano le ragioni ispiratrici della introduzione dell’aggravante di cui al n. 5.1, intesa a reprimere l’allarmante fenomeno sociale, in progressiva crescita, dell’aumento del numero di omicidi consumati ai danni delle vittime di atti persecutori.

In tal senso sembrano deporre i lavori parlamentari, nel corso dei quali si era riconosciuta “la necessità di una connessione tra i due fatti, tale da giustificare la severa pena dell’ergastolo”, e la previsione dell’identità della vittima dei due delitti – inserita dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, in sede di conversione del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 - quale presupposto di operatività dell’aggravante, era un chiaro sintomo della volontà legislativa di punire più gravemente l’omicidio solo se vi fosse un vincolo connettivo con i precedenti atti persecutori.

La sentenza ravvisa un concorso meramente apparente di norme incriminatrici, anche sulla considerazione che la diversa conclusione condurrebbe a un’interpretazione non rispettosa del principio del ne bis in idem sostanziale, posto a fondamento della disciplina del reato complesso, il quale vieta che uno stesso fatto venga addossato giuridicamente due volte alla stessa persona, nei casi in cui l’applicazione di una sola norma incriminatrice assorba il disvalore del suo intero comportamento.

A tale orientamento aderisce espressamente l’ordinanza di rimessione (Sez.

5, n. 14916 del 1 marzo 2021).

Muovendo da un’attenta analisi di ciascuna delle sopra riportate opzioni interpretative, la Quinta sezione puntualizza come il principio affermato da Sez.

3, n. 30931 del 13/10/2020, G., Rv. 280101, sia stato pronunciato in relazione ad una fattispecie nella quale il ricorrente lamentava la violazione del principio del ne bis in idem processuale, essendo stato già condannato con sentenza irrevocabile per tentato omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma primo, n. 5.1, cod.

pen., e nuovamente sottoposto a processo per i medesimi fatti a titolo di atti persecutori (oltre che per violenza sessuale e sequestro di persona); lì dove nella

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questione che occupa viene piuttosto in rilievo una questione di ne bis in idem sostanziale.

Al proposito, pur nella consapevolezza che le nozioni di bis in idem processuale e di bis in idem sostanziale non sono sovrapponibili - in quanto la prima preclude una seconda iniziativa processuale lì dove il medesimo fatto, nella sua dimensione storico-naturalistica, sia stato oggetto di una pronuncia divenuta definitiva, prescindendosi al riguardo dalle eventuali differenti qualificazioni giuridiche, mentre la seconda concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte e prescinde dal raffronto con il fatto storico1 - la Sezione rimettente considera che il differente spettro applicativo del ne bis in idem, nelle sue varie declinazioni, non priva di rilevanza la questione controversa posta allo scrutinio delle Sezioni Unite.

Ciò posto, la pronuncia condivide con le precedenti l’idea che la clausola di riserva prevista dall’art. 612-bis cod. pen. non sia idonea ad orientare l’interprete nella soluzione della questione, in quanto attiene all’ipotesi in cui un unico fatto sia suscettibile di qualificazione giuridica multipla; mentre nel caso in scrutinio viene in rilievo una duplicità di fatti-reato, autonomamente suscettibili di integrare due distinte fattispecie incriminatrici.

Ciò determina per un verso l’ inapplicabilità dell’art. 15 cod. pen., che disciplina il fenomeno della convergenza di più norme incriminatrici su un identico fatto, regolandolo mediante il principio di specialità, e, per altro verso, la applicabilità dell’art. 84 cod. pen., risolutivo del conflitto di norme, che, sia pur come concretizzazione del principio del ne bis in idem sostanziale e specificazione del principio di specialità sancito a livello generale dall’art. 15 cod. pen., disciplina il reato complesso nell’ambito del capo III del codice, intitolato al concorso di reati.

Non osta alla ricostruzione preferita il fatto che i due reati sono astrattamente diversi, perché ciò che rileva è la formulazione, a livello di fattispecie astratta, di un’aggravante del delitto di omicidio che racchiude in sé la tipizzazione del delitto di atti persecutori, prevedendo, tra l’altro, un trattamento sanzionatorio (la pena dell’ergastolo) più rigoroso di quello che sarebbe applicabile in caso di concorso di reati (trenta anni di reclusione).

Ancora, l’interpretazione “soggettivistica” dell’aggravante di cui all’art. 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen., basata sulla mera identità soggettiva dell’autore del delitto di omicidio con quello degli atti persecutori, propugnata ex adverso,

1In tal senso, Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, dep. 2018, Ghelli, Rv. 272839, non massimata sul punto;

Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Barbato, Rv. 280774

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37 deve essere superata perché finisce col dilatare lo spazio applicativo della circostanza e per diluire ogni altro collegamento - fattuale, temporale o finalistico - con il delitto di atti persecutori; e riedita il paradigma del “tipo d’autore”, in contrasto con l’impostazione oggettivistica del diritto penale e con i principi di materialità e di offensività che ne sono i presidi costituzionali.

Sul punto, viene richiamato l’insegnamento di cui a Corte cost., n. 249 del 2010 che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’aggravante della clandestinità, di cui all’art. 61 n. 11-bis cod. pen., rilevò come in essa le qualità della persona refluissero nella qualità generale preventivamente stabilità dalla legge, «in base ad una presunzione assoluta, che identifica un tipo d’autore assoggettato, sempre e comunque, ad un più severo trattamento», per stigmatizzare sia la carenza di carica offensiva di una tale circostanza rispetto alla gravità del reato base, sia il fondamento esclusivamente soggettivo di essa, condizioni entrambe concorrenti nella violazione del principio di offensività, che, anche in rapporto agli elementi accidentali del reato, pone pur sempre il fatto alla base della responsabilità penale e prescrive rigorosamente che un soggetto debba essere sanzionato “per le condotte tenute e non per le sue qualità personali”.

Anche la disomogeneità linguistica con la locuzione adoperata dal legislatore nel precedente n. 5, comma 1, dell’art. 576 cod. pen. non è ostativa alla lettura proposta.

L’aggravante di cui al n. 5 è collegata, difatti, alla commissione non soltanto di un delitto abituale (come i maltrattamenti in famiglia), ma altresì (ed in misura prevalente) di delitti non abituali, come la prostituzione minorile, la pornografia minorile, e i delitti di violenza sessuale, sicché il collegamento temporale e finalistico è stato solo genericamente individuato dal sintagma “in occasione”; lì

dove l’omicidio commesso dallo stalker ai danni della propria vittima, piuttosto che avvenire “in occasione” o “contestualmente” agli atti persecutori, è preceduto e preparato da quest’ultimi, in una logica che può definirsi di progressione criminosa.

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