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A questo punto della trattazione, e preso atto delle profonde modifiche che la riforma ha esercitato nell'ordinamento lavoristico, si possono iniziare a delineare alcune delle proposte elaborate per fronteggiare il problema della rinnovata solitudine del lavoratore dinanzi al rischio di essere licenziato. Quello che si ritiene essere il trait d'union tra le diverse proposte è la ricerca del rafforzamento della posizione del lavoratore rispetto al datore di lavoro e alla dinamica del licenziamento, all'interno o all'esterno del rapporto contrattuale.

283 V. SPEZIALE, Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti tra law and

economics e vincoli costituzionali, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" .IT –

259/2015, rielaborazione della relazione tenuta a Napoli il 24 giugno 2015 nell’Incontro di Studio “La nuova disciplina dei licenziamenti individuali: dalla

legge Fornero al Jobs Act”

284 S. GIUBBONI, Profili costituzionali del contratto di lavoro a tutele crescenti, in

Tra le reazioni più significative della dottrina vi è stato, una volta appurata l'insufficienza della disciplina speciale in tema di licenziamenti, il recupero degli strumenti del diritto comune al quale, ad ogni modo, le relazioni lavoristiche possono indubbiamente essere ricondotte data la loro natura contrattuale. Tali ricostruzioni, a partire dagli strumenti che offre il diritto civile, sottolineano l'importanza del corretto adempimento di entrambe le parti e da qui costruiscono la giustiziabilità di eventuali lesioni arrecate alla sfera giuridica del lavoratore.

In realtà anche prima delle Riforme era stata ricondotta da alcuni la reintegrazione al diritto comune dei contratti285, anche da parte

giurisprudenza286 e si affermava che, se nella consapevolezza della

incoercibilità dell’ordine di reintegra287 la tutela reintegratoria fosse

stata in un certo senso demitizzata, quel che sarebbe restato dell’art. 18 era in sostanza sovrapponibile con la tutela approntata dal diritto comune dei contratti, sia per quel che concerneva la permanenza (giuridica) del rapporto, sia per quel che concerneva la liquidazione del risarcimento, con la sola differenza data dal diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione, che al diritto comune era ovviamente sconosciuta. A maggior ragione, dopo l’introduzione con la legge del

285 P. ALBI, Garanzia dei diritti e stabilità del rapporto di lavoro, Giuffrè, 2013, p. 176 e s.

286 Cass. Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141 e 18 giugno 2012, n. 9965

2015, si ritiene che la tutela reale di diritto comune possa garantire al lavoratore risultati migliori. Proprio per questo, in realtà, si pone il dubbio circa l’utilizzabilità dello strumento integrativo del diritto generale rispetto a quello speciale, dato il sostanziale contrasto che si configurerebbe tra il risultato perseguito attraverso l'impiego del diritto comune e il diritto speciale. Il problema non è semplice da risolvere e peraltro impone considerazioni diversificate anche in relazione alla tipologia del vizio che viene in considerazione, ed è difficile dare una soluzione unitaria288. Proprio per questo si propone una costruzione che

definisca la disciplina della nullità, nelle sue diverse qualificazioni ed espressioni, come effettivamente il testo normativo consente: l'articolo 18, comma I, indica alcune ipotesi di licenziamento nullo, prevede una clausola di chiusura, contempla espressamente il motivo illecito determinante ex articolo 1345 e richiama tutti gli altri casi di nullità previsti dall'ordinamento. Allora, un tentativo di non ritenere definitivamente cancellata dall'ordinamento la tutela reintegratoria può consistere nella costruzione sistematica di fattispecie in cui il licenziamento integri gli estremi della nullità civilistica a prescindere dall'accertamento dell'assenza di giusta causa o giustificato motivo, esprimendo una diversa categoria di disvalore giuridico, che può consistere nella contrarietà a norme imperative (art 1418 c.c.), nella

288 C. CESTER, I licenziamenti nel jobs act, in WP C.S.D.L.E. "Massimo

illiceità della causa (art. 1343 c.c.), nell'illiceità del motivo (art. 1345 c.c.) e nella frode alla legge (art. 1344 c.c.).

Ipotesi che consentono questo tipo di ricostruzione sono il licenziamento intimato per causa di trasferimento d'azienda in violazione dell'articolo 2112 c.c.; il licenziamento in frode alla legge ad esempio nel caso del lavoratore assunto in prova posto in essere al solo fine di eludere la disciplina sulle assunzioni obbligatorie; il caso del lavoratore licenziato prima di un trasferimento d'azienda e subito dopo riassunto dal cessionario, con conseguente elusione della regola sulla responsabilità solidale, sia del diritto del dipendente alla conservazione del medesimo trattamento economico. Quanto al motivo illecito, si pensi semplicemente al licenziamento intimato a causa della domanda o della fruizione di congedi parentali o familiari.

In tutti questi casi non si può ritenere che la nullità civilistica sia assora la disciplina speciale sui licenziamenti e quindi si possa applicare la c.d. Tutela reale di diritto comune.

Ancora, si potrebbe configurare l'opzione reintegratoria in tutti i casi in cui, dal vaglio dei motivi operato dal giudice, emerga che il licenziamento ha assunto il carattere della “pretestuosità”, vale a dire che integri “una sorta di abuso del diritto”289, valorizzando la

differenza tra un “comune vizio di legittimità del recesso” e il vizio “consistente nell'avere in mala fede esternato un motivo pretestuoso,

anche indipendente dalla fattispecie di frode alla legge o di motivo illecito determinante.”290

Un'altra questione che si è posta, confinante con la tematica in analisi, è quello del licenziamento formalmente comminato per ragioni economiche ma in realtà causato da motivi disciplinari, al fine di evitare il pur remoto rischio dell'ordine di reintegrazione291

Anche qui sembra si possano ravvisare spazi per il ricorso, oltre che alla tutela avverso il licenziamento discriminatorio292, ai rimedi

civilistici293.

In prima battuta, si può costruire un’ipotesi di nullità del licenziamento per motivo illecito determinante294, solo che per poter accedere alla

corrispondente tutela reale il lavoratore dovrà comunque dimostrare la ricorrenza del motivo illecito determinante ed esclusivo, con l'esito, 290 A. PERULLI, Contatto a tutele crescenti e NASPI: un mutamento di

“paradigma” per il diritto del lavoro? in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura

di), Contratto a tutele crescenti e NASPI, decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22

e n. 23, Giappichelli, Torino, 2016, p. 44

291 G. PROIA, Il contratto di lavoro subordinato a tutele crescenti, cit., p. 80-81 292 B. CARUSO, Il contratto a tutele crescenti tra politica e diritto: variazioni sul

tema, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, IT, 2015, 265; M. MAGNANI, Correzioni e persistenti aporie del regime sanzionatorio dei licenziamenti: il cd. contratto a tutele crescenti, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, IT, 2015,

256

293 A. PERULLI, Il contratto a tutele crescenti e la NASPI: un “mutamento di

paradigma” per il diritto del lavoro?, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura

di), Contratto a tutele crescenti, cit., p. 4; V. SPEZIALE, cit., p. 7; L. FIORILLO, La tutela del lavoratore in caso di licenziamento per giusta causa e

giustificato motivo, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), p.122.

294 A. TERZI, Jobs act, le modifiche all’art. 18 dello Statuto: le vere ragioni, le

conseguenze concrete, in www.questionegiustizia.it, 19 dicembre 2014, p. 5 del

dattiloscritto

Giurisprudenza: Trib. Arezzo, 29 ottobre 2013 (menzionata da L. NOGLER, G. BOLEGO, cit., p. 407), ove pure è stata accertata la “manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo dedotto”; Trib. Latina, 21 gennaio 2013; Trib. Milano, 27 giugno 2014, est. DI LORENZO, in www.wikilabour.it; Trib. Bari, 3 aprile 2015, est. PAZIENZA, in www.wikilabour.it

paradossale, di doversi incolparsi di una condotta disciplinarmente rilevante e dimostrare che quello sia stato il reale motivo del licenziamento.

Ancora, un'ipotesi siffatta potrebbe configurare una condotta in frode alla legge295, ma è una strada non facile da percorrere, si potrebbe

replicare che la nullità in questione è “generica” (cioè non prevista espressamente dalla legge in relazione al licenziamento) e dunque estranea all’art. 2, comma 1 del decreto296. Superata questa obiezione,

si potrebbe, poi, contestare la

sussistenza del presupposto della norma codicistica, che è costituito dalla legittimità, per così dire, apparente, dell’atto in frode e della sua contrarietà solo indiretta alla legge e che in questo caso non sarebbe integrato, in quanto, trovandoci nell'ambito di condotte da sanzionare, esse siano dichiaratamente illegittime297.

D’altra parte, lo stesso decreto prevede la tutela solo indennitaria anche in presenza di un giustificato motivo oggettivo basato su un fatto che si riveli manifestamente insussistente e tale formulazione risulta in sé tale da poter autorizzare la frode.

Affrontando la questione da un punto di vista sostanziale, e ferma restando ovviamente la rilevanza assorbente di motivi discriminatori o

295 V. SPEZIALE, Il contratto, cit., p. 40

296 C. CESTER, Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in F. CARINCI, C. CESTER (a cura di), Il licenziamento all’indomani del d.lgs. n. 23/2015

(contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti), cit., p. 115

illeciti (pur con onere probatorio a carico del lavoratore)298 si è poi

proposta una valorizzazione dei motivi discriminatori del licenziamento, a partire dalla tendenza legislativa a darne una lettura oggettiva e della possibilità di ampliare il novero di cause discriminatorie ex art 15 Statuto, conferendovi un valore non tassativo ma solo esemplificativo299.

Sempre nella direzione di un rafforzamento della posizione del lavoratore nel rapporto contrattuale, ma questa volta percorrendo la strada della contrattazione e della derogabilità in melius, lo strumento negoziale delle clasuole di stabilità si è rivelato un'altra opzione di indubbia utilità.

Accordi sostanzilmente analoghi, come la conservazione della disciplina dell’art. 18 dello Statuto ai rapporti esclusi per legge sono già stati stipulati e hanno per lo più ottenuto l’avallo della giurisprudenza, che ha ritenuto la materia disponibile per le parti e dunque regolabile in melius, eccezion fatta per la fattispecie della giusta causa300.

298 M. MISCIONE, Tutele crescenti: un’ipotesi di rinnovamento, cit., p. 749 s.; C. ZOLI, I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, cit., p. 90 s.; A. PERULLI, Il contratto a tutela crescenti e la NASPI, cit., p. 43 s.; C. PONTERIO, Licenziamento illegittimo, cit., p. 29

299 A. PERULLI, Contatto a tutele crescenti e NASPI: un mutamento di

“paradigma” per il diritto del lavoro? in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura

di), Contratto a tutele crescenti e NASPI, decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22

e n. 23, Giappichelli, Torino 2016, p. 39

300 C. CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. "Massimo

Le clausole di stabilità, in determinate ipotesi, in cui il lavoratore sia dotato di una certa forza contrattuale in ragione di una specifica professionalità, potrebbero rappresentare uno strumento pressoché indispensabile – paradossalmente – proprio affinché possa realizzarsi la mobilità da un posto di lavoro ad un altro. La mobilità, infatti, contrariamente a quelli che dovrebbero essere gli scopi della riforma, risulta frenata dalla nuova disciplina riservata ai nuovi assunti, alla quale chi è attualmente titolare di un rapporto di lavoro costituito con contratto stipulato anteriormente al 7 marzo 2015, faticherebbe evidentemente ad adattarsi301.

Il nuovo quadro normativo sembra porre qualche problema in più circa la legittimità di siffatte clausole. Potrebbe darsi che la nuova disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo, a causa dell'ancoraggio al raggiungimento di obiettivi generali di politica occupazionale attraverso un incisivo intervento sull’assetto di poteri all’interno del rapporto di lavoro, arrivi a rivestire nell'ordinamento un ruolo di disciplina di ordine pubblico econmico, e pertanto, più difficilmente derogabile; inoltre differentemente dalla legge n. 604 del 1966, la nuova disciplina non contiene l'espressa previsione della derogabilità da parte di una disciplina di miglior favore.

Tuttavia, è difficile negare che una conclusione di questo genere segnerebbe davvero in profondità la libertà contrattuale302.

301 F. SCARPELLI, La disciplina dei licenziamenti, cit., p. 7 s.

302 C. CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. "Massimo

Le ricostruzioni finora presentate, senza alcuna pretesa di esaustività, ma con il solo intento di rendere l'idea della varietà e vivacità delle reazioni alla riforma che si stanno presentando nell'ordinamento giuslavoristico, presentano indubbi profili di interesse. A parere di chi scrive, tuttavia, rischiano di non risultare effettivamente applicabili se non in casi marginali e di non scalfire il centro del problema, ossia il “comune vizio di legittimità del recesso” ai danni del comune lavoratore. Da un punto di vista concettuale si caratterizzano per essere tentativi di ripristinare la disciplina preesistente della stabilità del rapporto di lavoro, sulla base di diversi presupposti normativi; pertanto non forniscono una risposta rispetto alla questione principale posta nella presente indagine, vale a dire se ci sia, e, eventualmente, quale sia, uno strumento diverso dalla stabilità del rapporto di lavoro che possa liberare il lavoratore dal metus del licenziamento.

3.1.3 - Il nesso tra l'efficacia delle garanzie del