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La giustapposizione finora delineata tra l'ordinamento spagnolo e quello italiano, con attenzione alle recenti riforme in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, necessita, per svolgere la funzione di supporto all'analisi cui è preposta, che i quadri legislativi

sinora analizzati siano collocati nel contesto sociale ed economico di cui fanno parte.

Le situazioni italiana e spagnola differiscono sotto diversi punti di vista rilevanti per il diritto del lavoro: il diverso peso dei settori produttivi e in particolare di quello delle costruzioni, sovradimensionato in Spagna; il livello del carico fiscale e sul lavoro e dei costi dell'energia, in Italia più alto delle medie europee e dei livelli spagnoli; il grande peso del debito pubblico che in Italia è fra i più alti d’Europa; la debolezza degli investimenti pubblici e privati, più grave in Italia263.

Nonostante ciò, l’analisi delle riforme inerenti il mercato del lavoro approvate in Spagna negli ultimi anni può essere utile per riflettere sull'esperienza vissuta dal diritto del lavoro italiano. Come si è visto nel corso dell'analisi sinora svolta nei due ordinamenti l'evoluzione della regola della stabilità ha avuto un percorso simile, ha instaurato un rapporto sinergico con un mercato del lavoro

ancorato a un determinato modello culturale e produttivo (quello industriale) che, in seguito è stato identificato come eccessivamente rigido dalle istituzioni internazionali.

Entrambi i contesti sono stati gravemente colpiti dalla crisi economica, con pesanti ripercussioni sul debito nazionale e sulla fiducia in esso riposta dagli investitori esteri. In seguito a tali criticità le osservazioni 263 T. TREU, Le riforme del lavoro: Spagna e Italia, in Diritto delle Relazioni

delle istituzioni comunitarie sono diventante sempre più cogenti, fino a diventare raccomandazioni perentorie di un cambiamento radicale delle regole a tutela del mercato del lavoro. Le riforme adottate sono state improntate alla realizzazione di uno schema concettuale di flexicurity, anche se in entrambi i casi la componente della flexibility si è rivelata preponderante rispetto a quello della security.

Nel diritto italiano il valore della stabilità dell'impiego è stato subito ancorato alla Costituzione, come espressione della tutela del diritto al lavoro ex art. 4264; scriveva Gino Giungi, non a caso, che « la tutela del

posto di lavoro e`di fatto l’unico profilo normativo in cui si sia realizzata una forma di tutela del diritto al lavoro »265.

Sul piano operativo, ha svolto un ruolo cruciale nel giustificare l'esistenza e la portata del controllo giudiziale sulle ragioni del licenziamento come affermato, poco prima delle ultime riforme , dalla Suprema Corte266: «Stante il principio della stabilità del rapporto di

lavoro a tempo indeterminato e pur nei limiti del controllo giudiziale limitato ai presupposti di legittimità, al fine di integrare il giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, non è sufficiente un generico programma di riduzione dei costi; infatti la norma pretende ragioni che giustifichino il licenziamento, cioè cause 264 L. NOGLER, La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del

bilanciamento tra i «princìpi costituzionali», in Dir. lav. rel. ind, 2007, p. 611 s.

265 G.GIUGNI, Le trasformazioni dello stato sociale in L. MENGONI, U. ROMAGNOLI, G. GIUGNI, T. TREU, (a cura di M. NAPOLI) Costituzione,

lavoro, pluralismo sociale, Vita e Pensiero, Milano, 1998, p. 63

che con il loro peso si impongano sulla esigenza di stabilità e, come tali, siano serie e non convenientemente eludibili»

Il licenziamento veniva vagliato, quindi non solo alla luce di un principio di adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini, ma anche da un punto di vista assiologico di necessità della scelta e di ponderazione degli interessi: il giudice selezionava le ragioni economiche ammissibili a far retrocedere il diritto alla stabilità dell’impiego, che costituivano in sé e per sé, nel momento stesso in cui ritenute poziori rispetto all'interesse al mantenimento del rapporto di lavoro, il risultato della composizione del conflitto di valori compiuta dal giudice.

Con tale attività, il giudice non attuava un controllo di opportunità delle scelte aziendali, ma vagliava la legalità della scelta datoriale, nel senso pieno dell'espressione e comprensivo, pertanto di un ricorso al principio di proporzionalità che si compone dei parametri valutativi dell'adeguatezza, della necessità e dell’impiego del mezzo meno afflittivo dell’interesse postergato267.

Il simbolo del principio della stabilità del rapporto di lavoro era l'articolo 18 che, a detta di alcuni268, è stato oggetto di un'esaltazione

partigiana (“l'articolo 18 è divenuto un monstrum”269), in un senso

267 A. PERULLI, Razionalità e proporzionalità nel diritto del lavoro, in Dir. lav.

rel. ind, 2005; A. ANDREONI, Lavoro, diritti sociali e sviluppo economico. I percorsi costituzionali, Giappichelli, Torino, 2006

268 L. CAVALLARO, A cosa serve l’art. 18, Roma, 2012 269 F. CARINCI, Ripensando il nuovo articolo 18, cit.

come “supremo baluardo” a tutela del patrimonio garantista in difesa di un corretto svolgimento del rapporto di lavoro270 e nell'altro, come

retaggio obsoleto e causa principale del gap tra insiders e outsiders271.

Quello che sembra potersi affermare è che in Italia, come in Spagna, a partire dalla incontestata debolezza del lavoratore nell'ambito dello svolgimento del rapporto contrattuale, la tutela predisposta dall'articolo 18 è stata caricata della funzione, ulteriore rispetto a quella di evitare licenziamenti illegittimi, di norma di chiusura dell'intero ordinamento lavoristico272.

È stata definita <<un significativo avamposto nel cammino di tutela del lavoratore subordinato, quando non addirittura la “madre” di tutte le tutele273>>, la <<chiave di volta dell'insieme delle tutele a favore di

chi presta lavoro in regime di squilibrio contrattuale274>> e si è

affermato che <<Non è un caso che il peculiare regime di tutela «forte», così come introdotto dall’art. 18, abbia consentito che in dottrina da subito si parlasse di questa norma come di una norma “perno”, chiave di volta dell’intero sistema di garanzie approntato

270 V. SPEZIALE, Il licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro, cit., p. 305 s.

271 P. ICHINO, Nuova disciplina dei licenziamenti tra property e liability rule, Relazione introduttiva al Convegno promosso dal entro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano”, Pescara 11 e 12 maggio 2012, in

Dir. Prat. Lav., 2012, 25, p. 1545 s.

272 A. PERULLI, titolo, cit.,

273 C CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. "Massimo

D'Antona", IT – 273/2015, scritto destinato a M. PERSIANI, F. CARINCI

(diretto da),Trattato di diritto del lavoro, Vol. V, L’estinzione del rapporto di

lavoro subordinato, Cap. VIII, Le tutele, Sez. II; S. GIUBBONI, Profili costituzionali, cit., p. 18

dallo Statuto >>275 e che <<non offrire un’adeguata tutela contro

l’abuso nell’esercizio dei poteri datoriali (ed in particolare quello di recedere dal rapporto) a fronte della – possibile – rivendicazione da parte di un lavoratore di un diritto equivale a privare quest’ultimo del suo contenuto essenziale276>>. La dottrina risalente tracciava

l’indissolubile legame tra la stabilità del rapporto e l’esercizio dei diritti nascenti sul posto di lavoro, insito nella struttura e nella ratio dell’articolo 18 originario277. Era, infatti, la possibilità di far valere il

diritto alla reintegrazione a consentire al lavoratore il libero esercizio dei propri diritti individuali e collettivi278.

L'articolo 18, pertanto, oltre ad assolvere la funzione che gli era propria, di norma di tutela avverso i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo ha assunto, fin da subito, l'ulteriore fisionomia di meta-tutela di tutti i diritti spettanti al lavoratore nel contesto del rapporto contrattuale: solo se consapevole di essere al riparo dalla minaccia di un licenziamento ritorsivo, il prestatore di lavoro sarebbe stato libero di intentare un'azione volta a reagire a un eventuale inadempimento di parte datoriale.

Su questo sfondo normativo e concettuale le riforme del 2012 e, soprattutto, quella del 2015, hanno avuto un impatto dirompente 275 C. M. FERRI, cit.

276 V. SPEZIALE, Il contratto a tempo indeterminato, p. 15; F. SCARPELLI, La

disciplina dei licenziamenti, cit., p. 3

277 M. D'ANTONA, cit.

proprio perché, per la prima volta da quando è stato emanato, hanno modificato la norma che aveva assunto una posizione tanto cruciale nell'ordinamento lavoristico279. Si affermava che la protezione di

qualsivoglia aspetto del rapporto ha <<la consistenza della neve al sole se il lavoratore non gode di un'adeguata tutela contro il licenziamento ingiustificato, giacché il timore di perdere il posto di lavoro costituisce “la ragione più vistosa e percepibile della disparità di potere”, una vera e propria spada di Damocle in capo a chi presta lavoro.>>280 e che la

stabilità del rapporto di lavoro costituiva uno strumento di garanzia di tutti i diritti che lo Statuto pone in capo ai lavoratori che, senza l'articolo 18, sarebbero stati privati di parte del loro significato e della concreta operatività281.”

Si ritiene, pertanto, che la riforma, con la eliminazione di fatto della reintegra e la previsione di indennizzi risarcitori tali da non costituire un limite effettivo per le imprese con grande potenzialità economica, abbia fortemente indebolito la posizione del lavoratore nella esecuzione del contratto282.

La nuova disciplina, dunque, secondo i commentatori, proietta i suoi effetti ben al di là della mera protezione in caso di licenziamento 279 V. SPEZIALE, Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti tra law and

economics e vincoli costituzionalità, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona", IT

– 259/2015

280 DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1976, p. 75

281 C. M. FERRI, Brevi osservazioni sull’art. 18 dello statuto dei lavoratori tra

tutela del lavoro ed evoluzione delle fattispecie contrattuali, in Politica del diritto, 2, 2009, p. 270

282 A. ZOPPOLI, Legittimità costituzionale del contratto di lavoro a tutele

ingiustificato: incide in modo palese sulla “effettività” del Diritto del lavoro, quale strumento capace di garantire, nel corso del rapporto, diritti fondamentali del lavoratore di origine costituzionale283. Le

tutele, infatti, pur formalmente esistenti, sono prive di strumenti che ne garantiscano la concreta applicazione, perché è la stessa rivendicazione del diritto ad essere di fatto impedita dalla possibilità di un licenziamento non particolarmente oneroso284.

3.1.2 - Ipotesi ricostruttive: rafforzare la posizione