La nozione di stabilità che si era configurata alla fine del secolo scorso, sebbene sottoposta ad un graduale processo di erosione, aveva mantenuto intatto il suo nucleo concettuale. La crisi economica che ha investito l'Europa a partire dall'inizio nel nuovo millennio e l'approccio (neoliberista) che le istituzioni europee hanno assunto di fronte al problema hanno, invece, scardinato il concetto stesso di stabilità del rapporto di lavoro, in favore di un modello di flexicurity la cui realizzazione, almeno nei paesi dell'Europa mediterranea, è stata parziale e ha avuto esiti contraddittori.
L'Unione Europea, soprattutto attraverso l'operato della Commissione, si è posta a capo di un processo di gestione centralizzata della crisi economica, avvalendosi, a tal fine, non di strumenti normativi vincolanti, bensì di fonti di soft law, prodotte attraverso il coordinamento multilivello tra istituzioni europee e Stati membri che possono essere sinteticamente definite nel loro insieme Metodo Aperto di Coordinamento122; la scelta delle tecniche normative impiegate
dall'Unione Europea in ambito di definizione delle governances da realizzare a livello nazionale è di grande rilievo per comprendere il ruolo che l'UE sta svolgendo nella definizione dei processi di riforma dei mercati del lavoro nazionali (e, per quello che riguarda l'oggetto della presente indagine, delle normative in tema di licenziamento). In forza della natura non vincolante di queste fonti normative, la produzione legislativa dell'Unione Europea risulta svincolata dai limiti sul riparto di competenze con gli Stati fissato dai Trattati, e può dunque intervenire in materie di competenza statale o sulle quali manchino direttive di armonizzazione. Si ricorda, a tal proposito,una distinzione operata dalla dottrina123 tra il MAC relativo al coordinamento delle
politiche sulle materie menzionate nel Trattato, e quello che, al contrario, si caratterizza per avere ad oggetto ambiti non nominati nel Trattato. Su tali materie lo stesso Consiglio di Lisbona prevede 122 C. M. RADAELLI, The open method of coordination: a new governance
architecure for the European Union?, Swedish Institute for European Policy
Studies, Rapport 1, 2003, p. 51
123 C. DE LA PORTE, The soft open method of co-ordination in social protection, European Trade Union Yearbook 2001, 2001, p. 34
espressamente “l'applicazione di un nuovo metodo di coordinamento aperto inteso come strumento per diffondere la migliore pratica e conseguire una maggiore convergenza verso le finalità principali dell'UE. Tale metodo, concepito per assistere gli Stati membri nell'elaborazione progressiva delle loro politiche, implica […] un'impostazione totalmente decentrata [che] sarà applicata coerentemente con il principio di sussidiarietà, a cui l'Unione, gli Stati membri, i livelli regionali e locali, nonché le parti sociali e la società civile parteciperanno attivamente mediante diverse forme di partenariato. Un metodo di analisi comparativa delle migliori pratiche in materia di gestione del cambiamento sarà messo a punto dalla Commissione europea, di concerto con vari fornitori e utenti, segnatamente le parti sociali, le imprese e le ONG.”124
Tale formula descrive quella che viene definita governance europea, descritta nel Libro Bianco del 2001125 come una modalità di esercizio
flessibile da parte dell'Unione del potere ricevuto dagli Stati membri, basata su un più intenso coinvolgimento dei cittadini e in grado di tenere in considerazione, al momento di definire le linee politiche, le diverse realtà locali che coesistono nell'Unione.
Oltre a al di là dell'efficacia di tale Metodo nel perseguire gli obiettivi che si propone, quello che ci si chiede è il ruolo che tale fonte
124 Conclusioni della presidenza del Consiglio Europeo, Lisbona 23 e 24 marzo 2000, parr. 37-38
125 Comunicazione della Commissione del 25 luglio 2001, Governance europea -
normativa ricopra all'interno del sistema dell'Unione e il modo in cui si atteggi nei confronti degli Stati membri; in altri termini, si paventa la possibilità che divenga più vincolante del previsto, fino a diventare un modello alternativo, anziché complementare e sussidiario, rispetto al metodo tradizionale con cui l'Unione produce diritto126 e a trasformarsi
surrettiziamente da soft law in hard law. In mancanza di un sistema di sanzioni correlato, è una fonte giuridica priva della componente coercitiva, essenziale affinchè si possa configurare una norma giuridica in senso stretto, ma ciò non toglie che possa svolgere un ruolo nell'influenzare le decisioni dei Governi nazionali.
Nel solco di questa tecnica di produzione legislativa si inseriscono le comunicazioni con cui la Commissione e il Consiglio hanno posto al centro del dibattito europeo sulla crescita e sull'occupazione la nozione di flexecurity.
Le fasi iniziali di questo processo risalgono agli anni '90: flessibilità e sicurezza vengono collegate da un nesso funzionale finalizzato alla promozione della crescita e dell'occupazione127,
che verrà confermato da quello che è stato il terzo pilastro delle direttive per l'occupazione, approvate tra il 1997 e il 2002, relativo 126 J. BROUILLET, M. RIGAUX, F. VANDAMME, Le modele social europeen:
source ou motear de la construction européenne?, in Droit Social, 1, p. 1179
127 Libro Bianco di Delors, Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le
vie da percorrere per entrare nel XXI secolo COM (1993)700; in dottrina, F.
VALDES DAL RE, Il dibattito sulla flessicurezza all'interno dell'Unione
Europea in Loy G., (a cura di), Diritto del lavoro e crisi economica. Misure contro l’emergenza ed evoluzione legislativa in Italia, Spagna e Francia, 2011,
all'adattabilità dell'impresa, in cui gli interlocutori sociali vengono invitati a modernizzare l'organizzazione del lavoro comprendendo forme di lavoro flessibile “al fine di far sì che le imprese risultino competitive produttive e adattabili alle relazioni industriali (così come) a raggiungere il necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza”128. Nel
rapporto conosciuto come Rapporto Kok,129 pochi anni dopo, si legge
che per poter rendere effettivamente dinamiche sia l'occupazione che la produttività, l'Europa avrebbe dovuto realizzare una serie di condizioni, prima tra tutte l'aumento dell'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, trovando, grazie alla collaborazione responsabile di Governi e parti sociali, l'opportuno equilibrio tra flessibilità e sicurezza130.
La nozione di sicurezza ha mantenuto il suo nucleo tradizionale (diritto dei lavoratori a un'adeguata crescita personale e sociale grazie e attraverso lo svolgimento di lavori dignitosi) ma si trasformano i modi e le forme, nonché gli strumenti con cui questa condizione viene realizzata: non più sicurezza del singolo posto di lavoro, vale a dire stabilità del rapporto di lavoro, bensì sicurezza proveniente dal sistema nel suo complesso131, garantita dalla disponibilità di un flusso
permanente di risorse, derivanti non solo dal reddito da lavoro, ma 128 Punto 13, III, della Comunicazione della Commissione, Modernizzare
l'organizzazione del lavoro. Un approccio positivo al cambiamento, COM 592
129 Facing the challenge. The Lisbon strategy for growth and employment. Report
from the high level group chaired by Wim Kok, Lussemburgo 2004
130 Report, cit., p. 33
131 P. MARTIN, Modernizar la protecciòn social para garantizar los mercados de
trabajo transicionales, In AA.VV., Estudios sobre la estrategia europea de la flexiseguridad: una aproximacion critica, Bomarzo, 2009, p. 163 s.
anche dalle prestazioni di disoccupazione, sussidi che si situano al di fuori della relazione contrattuale e si pongono nell'ambito della protezione sociale e delle politiche del lavoro.
L'ingresso nel dibattito europeo del termine flexicurity avviene nel marzo 2006 quando il Consiglio da una parte invita gli Stati ad adottare un approccio “integrato di flessicurezza adeguato agli specifici quadri istituzionali, tenendo conto della segmentazione del mercato del lavoro” e per altro verso annuncia l'intenzione della Commissione di elaborare in accordo con gli Stati membri un insieme di principi comuni sulla flexecurity.
A distanza di pochi mesi, la Commissione licenzia il Libro Verde “modernizzare il diritto del lavoro per affrontare le sfide del secolo XXI”, in cui indica le istanze principali che dovrebbero caratterizzare il processo di modernizzazione del diritto del lavoro in modo da renderlo adatto a sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona. Essa è definita come “una strategia per accrescere allo stesso tempo e deliberatamente la flessibilità del mercato del lavoro, l'organizzazione del lavoro e le relazioni di lavoro da un lato, e la sicurezza- sicurezza dell'impiego e sicurezza sociale- specialmente per i gruppi più deboli all'interno e all'esterno del mercato del lavoro dall'altro.”132
132 T. WILTHAGEN, F. TROS, The concept of flexicurity. A new approach to
La Commissione ha indicato i “percorsi di flexicurity” da realizzare attraverso quattro componenti: accordi contrattuali flessibili e affidabili; politiche attive del mercato del lavoro efficienti che rafforzino la sicurezza nella transazione lavorativa; lifelong learning efficace e sistematico; regolamentazione moderna sulla sicurezza sociale che contribuiscano anche a una buona mobilità del mercato del lavoro. L'attuazione di questo indirizzo richiede l'alleggerimento delle tutele poste a garanzia del singolo posto di lavoro e la contestuale previsione di forme di assistenza al reddito e di misure attive di sostegno durante i periodi di disoccupazione, tali da garantire un passaggio agevole da un posto di lavoro all'altro133.
L'elaborazione della strategia sinora descritta è ispirata al modello danese, ritenuto dalla Commissione stessa il migliore quanto ad applicazione della flexicurity sul mercato del lavoro.134
Il sistema, nato nei primi anni '90 e definito “triangolo d'oro”, si erge su tre pilastri: ad una scarsa tutela a presidio della stabilità del rapporto di lavoro (caratterizzata da un breve termine di preavviso e dal pagamento di un'indennità risarcitoria per i soli dipendenti con elevata anzianità), fa da contrappeso un robusto sistema di indennizzi e sussidi, volto a sostenere il lavoratore durante le fasi di transito da un
133 M. T. CARINCI Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, in Il diritto del
lavoro al tempo della crisi. Atti del XVII Convegno nazionale di diritto del
lavoro, Pisa, 7-9 giugno, 2012, p. 165 134 Libro Verde 2006, p.11
impiego all'altro. Esso si in articola in indennità erogate da un sistema assicurativo privato sulla base di fondi ad adesione individuale volontaria, alimentati in larga parte da contributi statali e in un insieme di provvidenze economiche a carico del sistema pubblico di sicurezza sociale: in totale il lavoratore può percepire fino all'equivalente del 90% dell'ultima retribuzione percepita per il primo biennio dalla perdita del posto di lavoro
L'erogazione di tali sussidi viene poi subordinata, e in questo si sostanzia il terzo pilastro, all'accettazione di offerte di formazione, riqualificazione, training on the job predisposte dai servizi per l'impiego con cadenze temporali e periodi minimi predefiniti135 .
Si può affermare che fino al 2008 il sistema abbia conseguito i risultati previsti: la consistente mobilità ha fluidificato le dinamiche di domanda e offerta nel mercato del lavoro, consentendo alle imprese di adattarsi agevolmente ai mutamenti delle condizioni del mercato, garantendo un'elevata produttività, consentendo l'abbassamento di un tasso di disoccupazione che era diventato considerevole (10% nel 1970, 30% nel 1990, 2,8% nel 2007)136 e mantenendo intatta la
sensazione di sicurezza dei lavoratori che potevano affidarsi al sistema di tutele economiche sopra descritto. Dal momento che la gestione dei fondi assicurativi è di competenza dei sindacati (c.d. “sistema
135 T. M. ANDERSEN, A flexicurity labour market in the great recession: the case
of Denmarch, in Discussion paper series, IZA DP n. 5710, 2011
Ghent”)137 essi non hanno visto una riduzione della loro forza
rivendicativa e del loro peso sul piano nazionale, anzi, l'equilibrio del sistema di fonda su un rapporto collaborativo con lo Stato e le parti datoriali138.
Gli elogi al sistema non mancano, sebbene anch'esso sia stato colpito dalla crisi del 2008, in termini di nuovo aumento della disoccupazione139, ma non mancano nemmeno le valutazioni circa la
sua irriproducibilità140 in contesti radicalmente diversi, come sono
quelli in analisi nel presente studio.141
Per realizzare effettivamente un mercato del lavoro inclusivo e rispettoso della dignità del lavoratore è necessario che la flexibility sia supportata e controbilanciata da una forte componente di security, che può essere garantita solo da uno stato sociale molto solido142, e il
sistema danese, infatti, si fonda su finanziamenti per buona parte di provenienza pubblica: il sistema richiede un impegno ingente (3-4% 137 S. LEONARDI, Sul libro verde “modernizzare il diritto del lavoro per
rispondere alle sfide del XXI secolo”, in Riv. Giur. Lav., 2007, I, pp. 145 s.
138 B. AMOROSO Luci e ombre del modello sociale danese, in Dir. lav. Merc., 2010, p. 227
139 Da un tasso di disoccupazione del 3,5% rilevato nel 2008, vi è stato un rapido incremento al 6% nel 2009, al 7,7% nel 2010, per poi tornare ad abbassarsi lievemente fino al 6,6 del 2013
140 AA. VV., I giuslavoristi e il Libro verde "Modernizzare il diritto del lavoro per
rispondere alle sfide del XX secolo", 31/03/2007, Documento inviato al forum di
consultazione della Commissine Europea sul Libro Verde del 2006
141 A. RICCOBONO, Il dibattito su flessibilità e rimodulazione delle tutele. La
modernizzazione del diritto del lavoro tra crisi economica e possibili percorsi di riforma, in G. LOY, (a cura di), Diritto del lavoro e crisi economica. Misure contro l’emergenza ed evoluzione legislativa in Italia, Spagna e Francia, 2011,
Ediesse, ROMA, p. 169 s.
142 J. P. LANDA ZAPIRAN, Introducciòn, in AA. VV., Estudios sobre la estrategia
del PIL nel 2012), che viene sostenuto da un'elevata tassazione sul lavoro143. A tal proposito giova anche ricordare l'efficienza del prelievo
fiscale in Danimarca, dal momento che il tasso di evasione di fiscale non supera il 5% del PIL.